di Lorenzo Mortara
Usato dagli stalinisti
come spot pubblicitario per la loro politica controrivoluzionaria,
non miglior fortuna Gramsci ha trovato presso gli estremisti per i
quali resta a tutt’oggi un idealista più o meno crociano. Se i
primi l’hanno fatto sempre in malafede, l’averlo fatto in buona,
non scagiona i secondi da un altro uso improprio.
A
differenza di Bordiga che si vantava, non senza una nostra sardonica
approvazione, di non averlo mai letto, Gramsci in effetti per
formazione proveniva dal Croce, ma per nostra fortuna non si fermò
al neohegelismo. Arrivò al marxismo tra tanti errori come la maggior
parte dei compagni, ma ci arrivò senz’altro e se la sua vita non
fosse stata bruscamente interrotta dal fascismo, certamente l’avrebbe
anche perfezionato, costringendo forse gli estremisti a rimangiarsi
le accuse.
L’accusa
di idealismo viene da una fantomatica sinistra comunista che
crede evidentemente che basti etichettarsi tale per aver diritto
alla patente di sacerdotessa del materialismo dialettico. Per
sua disgrazia non esiste una sinistra comunista, essendo
quest’espressione nient’altro che un sinonimo di marxismo, che ai
tempi della sedicente sinistra comunista prende il nome di
bolscevismo e poi al massimo di trotskismo, mai di sinistra
comunista. La sinistra comunista è solo l’estremismo di sinistra,
altro nome non è scientificamente corretto, quand’anche possa
avere un significato storico, documentario, e quindi insignificante
più o meno come tutto il resto. Almeno per noi marxisti. Perché?
Perché per il marxismo non siamo noi a decidere cosa siamo, ma la
Storia. E la Storia si avvicinò agli estremisti quando qualcuno fece
anche per loro la rivoluzione, ma quando sopravvenne la
controrivoluzione ed essa cominciò ad allontanarsi da noi, gli
estremisti non furono più in grado di avvicinarla manco di un
centimetro. Ed è per questo che son passati alla Storia per quello
che sono: inguaribili settari. Il settario è un marxista scentrato,
che vede tutto sfocato a sinistra. Con questa lente sbagliata, un
marxista in formazione diventa un idealista, un estremista testone un
marxista, e un riformista rischia di passare addirittura per
fascista.
C’è
sempre qualcosa di vero nelle sentenze di un settario, ma sono sempre
connotazioni esagerate, caricaturali. Quelle su Gramsci, come
vedremo, non fanno eccezione.
GRAMSCI
CON LA RIVOLUZIONE
ESTREMISTI
CONTRO GRAMSCI
Per mostrare l’idealismo
di Gramsci, viene quasi sempre citato a sproposito il suo famoso
articolo La
rivoluzione contro il «Capitale».
Pubblicato il 24 Dicembre del 1917 sull’Avanti!,
questo articolo arrivava tre anni dopo l’ambigua presa di posizione
di Gramsci per l’intervento in guerra dell’Italia, espressa
nell’articolo Neutralità
attiva ed operante
(Il Grido del Popolo,
31 Ottobre 1914). Se nel 1914, chiedendo in pratica alla borghesia
italiana di entrare in guerra e fare il suo dovere, senza il quale a
suo dire il proletariato non avrebbe potuto assolvere il proprio,
Gramsci peccava indubbiamente di meccanicismo e probabilmente anche
di idealismo, già nel 1917 la sua posizione va considerata in
maniera diversa, in base alla sua lenta maturazione. Infatti, quella
che per gli estremisti è l’ennesima prova del suo idealismo, è
all’opposto una delle sue prime testimonianze di conversione al
marxismo. Secondo Gramsci, Lenin e i suoi si erano liberati delle
incrostazioni
positivistiche della
dottrina marxista, tenendo buono lo spirito vivificatore che aveva
loro permesso, in Russia, di fregarsene del suo schematismo. Ora è
indubbio che in Marx non vi sia nulla di meccanico, ma è anche vero
che presa qua e là qualche frase dall’intero corpo dottrinario, si
può cadere nell’errore di vedere in Marx un positivista. Lo stile
perentorio con cui Marx afferma le sue tesi, unitariamente alla
frammentarietà di molti suoi scritti, può trarre in inganno il
lettore. E in effetti la critica di meccanicismo finalistico è una
delle più ricorrenti tra quelle fatte a Marx. Rosselli, tanto per
fare un esempio, sprecò almeno metà del suo Socialismo
liberale per
inchiodare Marx alla sua perdita di tempo. Chi ha letto Marx con lo
spirito giusto, sa che nelle sue sentenze, il filosofo indica una
tendenza di fondo più che una necessità assoluta. E così a ben
guardare l’hanno sempre giustamente interpretato i suoi migliori
discepoli. Basterebbe prendere l’esempio di questi seguaci per
chiudere definitivamente la questione. E così in effetti fece
Gramsci. Infatti, mentre i settari controllano col microscopio ogni
sillaba scritta e pronunciata da Gramsci, dimenticano di controllare
ciò che più va controllato per un marxista, e cioè le azioni. In
quell’articolo sulla rivoluzione bolscevica, Gramsci non esista a
schierarsi a favore del partito di Lenin nonostante sia convinto
della contrarietà di Marx. È ovvio che su quest’ultimo punto si
sia sbagliato, e anche di tanto, ma nei fatti ciò significa che
mentre la testa di Gramsci si perdeva ancora tra le righe delle sue
letture idealistiche, il corpo vivo di Antonio stava già tutto
interamente dalla parte giusta. Lo spirito di Gramsci è ancora tutto
incrostato di positivismo, ma la sua materia grezza è già plasmata
a sufficienza dal marxismo. Pronta per abbracciarlo. Questo le teste
di legno settarie non
lo capiscono. Non vedendo in questo articolo un passo avanti di
Gramsci, capiscono ancor meno che sia il preludio per quelle tesi Per
un rinnovamento del Partito Socialista,
con cui tre anni dopo, l’8 Maggio 1920, sull’Ordine
Nuovo, Gramsci
corrisponderà integralmente ai «principi fondamentali – sono
parole di Lenin – della Terza Internazionale». Non così Bordiga
che corrisponderà integralmente ai principi dell’estremismo, cioè
ai principi sbagliati
del marxismo dai quali non si schioderà più, restando
fondamentalmente un settario più che un materialista.
Si
può in linea di massima datare da qui il passaggio integrale di
Gramsci al marxismo. Avendo appreso i principi fondamentali, gli
errori che ancora farà, e pure gravi, saranno secondari rispetto
alla sua formazione intellettuale, sempre più avviata al
materialismo e meno propensa all’idealismo. Nel 1920, Gramsci,
rinnovato nel marxismo, è più avanti di Bordiga invariato
nell’estremismo, con buon pace degli estremisti. E più avanti lo
sarà fino alla morte.
BORDIGA
DEGRADATO
Avendo
già bocciato il Gramsci del 1917 come il prosecutore di quello
idealista del 1914, impossibilitati quindi a vedere lo splendido
materialista del 1920, i settari, per l’invarianza
dell’estremismo, non
riescono a vedere nemmeno nella giusta luce gli errori che ancora
commise il nostro secondo grande capo. Dall’Aventino fino
all’estromissione di Bordiga dalla Direzione è tutto un
susseguirsi di errori e ripensamenti, sempre però fatti sul piano
del marxismo non dell’idealismo, esattamente come gli analoghi
errori dei bordighisti sono fatti nello stesso periodo sul piano
dell’estremismo. Gli errori di Gramsci sono gli errori di un
dirigente che deve ancora farsi le ossa, quelli di Bordiga sono
l’ossatura irriducibile di uno schematismo incorreggibile. Si
spiega almeno in parte così il tentativo di Gramsci, appoggiato dai
bolscevichi, di escludere con metodi burocratici il dirigente
napoletano dalla Direzione. È strano che a non capirlo sia proprio
la corrente bordighista, quella in
teoria più sprezzante
dei metodi democratici, definiti, come sempre esagerando, puri metodi
borghesi. In realtà il proletariato come il suo partito non potrà
mai fare a meno del tutto dei metodi democratici, perché il
centralismo organico
con cui i bordighisti vorrebbero sostituirli non è altro che una
metafora, un punto di riferimento al quale sempre dovremo cercare di
avvicinarci, ben sapendo però che quella perfezione in cui ogni
compagno si muove come un elemento di un unico organismo non sarà
mai raggiunta. Perché ogni uomo anche se si relaziona agli altri è
pur sempre un individuo, e come tale ha le sue peculiarità. Quando
si arriva a non firmare i propri scritti per via del carattere
sociale anche della produzione intellettuale, si è come al solito
sconfinato nel parossismo del marxismo. Se si annulla però
l’individuo nel collettivo, si dovrebbe almeno essere più pronti a
cogliere nella giusta luce gli errori antidemocratici che qualcuno ha
commesso contro di noi.
L’estremismo
vede nell’estromissione burocratica di Bordiga, il trionfo
dell’idealismo gramsciano e la naturale conseguenza di un processo
involutivo già avviato nella Russia rivoluzionaria. Non è facile
districare la matassa, perché uno stesso fenomeno può avere valenze
diverse a seconda del valore che esprime negli alterni momenti in cui
si presenta. Senza forzare la mano, indubbiamente Bordiga avrebbe
mantenuto la direzione del Partito, perché la maggior parte dei
dirigenti non mostrava segni di guarigione dall’estremismo.
Gramsci, uno dei pochi che aveva perso la febbre settaria, accettò
di brigare per accelerare i tempi. I bolscevichi giudicarono che la
rivoluzione veniva prima della questione democratica. Di conseguenza,
forzare l’esclusione di Bordiga dalla direzione, fu visto come
l’unico modo per avere qualche speranza di acciuffare in extremis
il treno della rivoluzione. Se questo in generale è giusto – la
rivoluzione viene sempre prima di tutto! – va detto che alla luce
dei fatti, il rischio si è rivelato troppo grande, perciò in futuro
sarà meglio perdere il treno di qualche rivoluzione ben sapendo che
tanto ripasserà, piuttosto che contribuire con metodi loschi al
deragliamento di tutto il movimento operaio nello stalinismo.
Probabilmente se avessero avuto la sfera di cristallo e avessero
visto le conseguenze delle loro manovre, i bolscevichi e Gramsci si
sarebbero fermati, aspettando che le cose maturassero da sole, questo
però non deve abbagliare al punto da giudicare al contrario il loro
errore. La forzatura con cui Gramsci venne messo alla testa del
Partito in sostituzione di Bordiga, è l’espressione della forza
con cui la rivoluzione ordina in maniera giusta i compagni, mettendo
in seconda linea, dietro i bolscevichi, gli estremisti e tutti gli
altri. È cioè un progresso anche se ottenuto in maniera non del
tutto ortodossa. Il metodo stalinista che eredita alcuni tratti e
difetti di quello bolscevico moltiplicandoli esponenzialmente, è un
regresso, perché anziché ordinare il partito in maniera giusta, lo
disorganizza, estromettendo la testa a favore dei piedi dei caproni
che mette al posto di comando.
SPLENDORE
E MISERIE DEI NOSTRI CAPI
Se
il movimento che porta Gramsci alla direzione del partito, fosse già
una spia della degenerazione togliattiana, non si capisce per quale
motivo lo stesso Gramsci finirà escluso ed emarginato in carcere, di
fatto estromesso dal partito. L’estremismo, retrodatando la
degenerazione del bolscevismo al II Congresso della III
Internazionale anziché al IV, anticipa i tempi e capovolge come suo
solito il corso storico. In realtà, l’avvento di Gramsci alla
guida del partito avviene grosso modo in contemporanea al passaggio
da una fase rivoluzionaria ad una reazionaria. Gramsci interviene
proprio sul crinale, un momento prima di essere travolto come noi
tutti dalla situazione. È per questo, tra le altre cose, che i
rapporti con Bordiga rimasero buoni, perché erano tutto sommato i
rapporti di due compagni che, per quanto diversi, erano rimasti
sempre dalla stessa parte della barricata.
Bordiga
e Gramsci, pur nelle enormi differenze, sono il più grande
patrimonio del nostro partito, quello passato e quello futuro, che o
rinascerà dalle loro ceneri o non avrà motivo alcuno di rinascere.
Perciò è un bene che dopo tanti anni anche Bordiga venga pian piano
ristampato. Anzi, a dirla tutta, è una vergogna che a quasi un
secolo dalla nascita del nostro partito ancora non esista un’edizione
delle opere complete del nostro fondatore. Sostenere la sua
fondazione è quindi un dovere per ogni compagno coscienzioso.
Bordiga è stato la più grande penna del movimento operaio italiano.
La sua scrittura non ha eguali. È lui il più grande artista del
marxismo. Più di Gramsci, la cui vena polemica non attinge al più
classico stile marxista come quella di Bordiga. Bordiga, inoltre, fu
compagno esemplare che non scese mai alle bassezze cui invece ricorse
Gramsci. Tuttavia, nonostante alcune miserie non toccarono mai
Bordiga, lo splendore di Gramsci è superiore. La mancanza di
bassezze di Bordiga, infatti, oltre che alla sua grandezza, va
attribuita anche ai suoi difetti. L’estremismo, evitando di
sporcarsi le mani, è fatto apposta per uscire immacolato da ogni
situazione. Non così il marxismo che mettendo in gioco tutto sé
stesso, può uscire vincitore dalle situazioni, come lacero e contuso
e a volte persino meschino. Gramsci commise ancora parecchi errori,
molti dei quali in carcere, ma avrebbe sempre potuto correggerli. Non
così l’estremismo che è incorreggibile per la sua invarianza.
L’appoggio a Mussolini o a Stalin, se vengono corretti in tempo,
possono assolvere ampiamente Gramsci davanti allo storico bilancio
della rivoluzione. Ma l’astensionismo, la preferenza della
dittatura di Hitler alle democrazie borghesi, il capitalismo di Stato
in Russia, la bocciatura del ’68 e altri errori del bordighismo, se
non possono essere corretti perché si ripresentano a scadenze
puntuali, rappresentano il bilancio fallimentare del settarismo
davanti al tribunale della rivoluzione. E se questo è vero – ed è
vero – allora meglio il presunto idealismo di Gramsci che può
essere rivoluzionario, che il materialismo di Bordiga che può essere
solo settario.
Per
l’estremismo un tratto può bastare per bocciare tutto un
programma, un partito o addirittura un uomo. Per noi la cosa è più
complessa. Non ha molta importanza sapere quanti tratti idealistici
Gramsci avesse ancora al momento dell’arresto, quel che conta è
sapere a che punto era il suo impianto generale. Al momento
dell’arresto Gramsci era già un marxista. La perdita per noi fu
enorme, perché i marxisti possono abbassarsi anche al livello delle
galline, ma solo loro possono fare la rivoluzione. Non gli estremisti
che corrono paralleli alla lotta di classe e sono l’ala metafisica
del marxismo, un’ala pregiata e magnifica fin che si vuole, ma che
non sa volare, perché per quanto si creda materialistica, proprio
per la sua incapacità di avere un qualunque punto di contatto col
movimento reale, finisce lei per essere molto più idealistica di
tutti quelli che accusa di essere tali.
Coi
migliori auguri
per
un 2012 rivoluzionario
Lorenzo
Mortara
Stazione
dei Celti
31
Dicembre 2011
2 commenti:
Serve il partito, una forza politica che sappia aggregare tutte le forze anticapitalistiche, e che si sappia radicare tra la gente.
Allora anch'io, parlerò di...rivoluzione.
Buon Anno a lei Mortara!
P.S.
Evidentemente, parecchi scassapalle hanno bussato alla sua porta, visto che su Barnard, non ha pubblicato ancora niente.
No devo ammettere che gli scassa palle non c'entrano, sono io che son tutto rotto! Non prometto più i tempi perché non li so mantenere, ma oggi 20 righe su barnard le ho aggiunte, siamo sulle tre pagine, ancora 3 e dovremmo esserci.
Segua e vedrà che prima o poi apparirà.
Buon anno, auguri di cuore.
Lorenzo
P.S. - Ma senza parlare di rivoluzione il partito non sorgerà mai, non sono due cose separate...
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