L’articolo La
miseria dell’economia del compagno
Riccardo Achilli, ha avuto una risposta significativa sul blog amico
e antesignano di questo, Il
marxismo libertario, alla quale ci sembra
giusto rispondere, tanto più che alla risposta dell’autore, si
aggiungono un ulteriore scambio di battute tra l’autore e il
lettore, le riflessioni di un altro collaboratore di questo blog, il
compagno Lorenzo Mortara e la chiusa finale dello stesso Achilli. La
questione, insomma, è di massimo interesse e speriamo di avere altre
occasioni per approfondirla. (La Redazione)
Scrive il lettore e
compagno Shakti Asclepio (appena corretto dai refusi):
Ottimo articolo, purtroppo il paragrafo dedicato alle proposte per
risolvere il problema mi sembra un po’ esiguo. Dopo la
scientificità mostrata nell’analisi ricca di dati e fonti sembra
semplicistico ridurre le proposte ad un problema così complesso
dicendo che 3-4 Paesi dovrebbero seguire il modello BRIC. Tra il dire
e il fare c’è di mezzo il mare, è così semplice convincere
politicamente 4 Paesi dell’eurozona a fare ciò? Come marxisti
bisogna essere concreti e realistici sia nell’analisi sia nelle
proposte operative altrimenti facciamo fantascienza. Dal punto di
vista economico poi, non porti dati che dimostrino che il modello
BRIC vada bene per l’Italia e i paesi mediterranei, non dico che
non lo sia ma devi dimostrare tecnicamente quello che dici. Penso che
così su due piedi al fine di affrontare l’emergenza
politica-economica in Italia sia più proficuo far pagare la crisi ai
grandi capitali mentre troviamo e bilanciamo la soluzione più giusta
per il Paese al fine di uscire dal meccanismo del debito
pubblico-signoraggio bancario, così quando sarà il momento del
default gran parte del danno sarà già stato accusato dalle classi
sociali dei grandi borghesi e non dai lavoratori. Altrimenti
rischiamo di far fare all’Italia la fine dell’Argentina, non mi
voglio immaginare cosa accadrebbe se lo Stato non pagasse lo
stipendio agli statali e i lavoratori non potessero più andare in
banca per prelevare il salario e i risparmi. Come marxisti dobbiamo
trovare i percorsi migliori per i lavoratori, non per le nazioni e
tanto meno creare una catastrofe che i grandi detentori dei patrimoni
possono permettersi di sostenere. La crisi deve pagarla chi l’ha
causata.
Di seguito trovate la risposta del compagno Achilli.
Compagno
Asclepio, Ti
ringrazio intanto per il commento. Naturalmente non penso affatto che
l’Italia debba seguire un modello simile a quello dei BRIC. Credo
però che, come ho cercato di dimostrare nell’articolo, non vi sia
alternativa ad una dichiarazione immediata di default, perché
altrimenti non faremmo altro che seguire le politiche di macelleria
sociale di Monti, senza poi evitare che la situazione “argentina”
arrivi comunque, nel momento in cui la dichiarazione di default
sarebbe non più evitabile, ma arrivandovi con un proletariato
ulteriormente indebolito ed impoverito dalla macelleria sociale che
nel frattempo si sarebbe sperimentato, quindi con effetti sociali
ancor più devastanti. Credo inoltre che occorra uscire dall’euro,
perché l’euro è una costruzione monetarista ad uso e consumo dei
mercati finanziari, ed a danno del proletariato. Uscendo dall'euro,
si dovrebbe inoltre ripudiare il debito, iniziando da quello estero.
Detto questo, però, occorre essere realisti, e sapere che simili
soluzioni comportano una fase iniziale di gravissima recessione: la
fuga dei capitali, associata alla fiammata inflazionistica legata
alla reintroduzione di una valuta nazionale molto debole, l’impennata
più che probabile dei tassi di interesse, farebbero pagare al
proletariato italiano, in un contesto ancora capitalistico, un prezzo
durissimo dalla decisione di dichiarare default ed uscire
unilateralmente dall'euro. Per ridurre questo prezzo, e renderlo
quindi meno pesante, è opportuno che l’uscita dall’euro sia
fatta, in modo contemporaneo, da almeno tutti i Paesi PIIGS (quindi
anche da Spagna, Portogallo, Grecia ed Irlanda, oltre che
dall’Italia) per costituire, nell’immediato, un’unione
monetaria “debole” in grado di fare concorrenza all’area
“forte” dei Paesi della residua zona-euro (ovviamente una
concorrenza esercitata dal lato dei costi, tramite i meccanismi di
svalutazione competitiva del tasso di cambio). Ciò renderebbe molto
meno pesante la recessione “da uscita”, perché le esportazioni
in crescita verso l’area-euro, ne ridurrebbero l’impatto, perché
un’azione congiunta di tutti i Paesi PIIGs per rinegoziare il loro
debito estero sarebbe rinforzata, perché la fuga di capitali sarebbe
molto meno grave. È però del tutto evidente, e forse dall’articolo
ciò non traspare, che tutto quello che sto descrivendo non è la
soluzione, è soltanto un tampone, per ridurre nell’immediato il
costo da pagare per uscire dall’euro e ripudiare il debito estero.
Sarebbe soltanto, come dire, una necessaria ma ovviamente del tutto
provvisoria “benda” da applicare alle ferite. La soluzione vera
non può che risiedere in un cambiamento radicale dei rapporti
sociali di produzione, in direzione del comunismo (e per quanto mi
riguarda personalmente, tramite meccanismi di tipo libertario, che
sin dall’inizio diano protagonismo dal basso al proletariato,
tramite l’autogestione, meccanismi partecipativi di programmazione
economica, i soviet, ecc.)
Vorrei
però che fosse chiaro che io vedo questo processo in due fasi: nella
prima fase occorre tamponare i danni derivanti dalla necessità
improrogabile di dichiarare default prima che Monti faccia
dell’Italia ciò che Papandreou e Papademos hanno fatto della
Grecia, uscire dall’euro e ripudiare il debito estero. In una
seconda fase, occorre naturalmente lottare per uscire dal capitalismo
e proporre un paradigma rivoluzionario. Ma questa lotta
rivoluzionaria la faremo se saremo ancora vivi. Si tratta in qualche
sorta di uscire dalla situazione attuale tramite una politica basata
in
primis
su obiettivi minimi immediati, ed in
secundis
su obiettivi radicali di medio termine. La rivoluzione non è una
passeggiata, per dirla con una frase fatta, e richiede i suoi tempi
di maturazione, mentre nel frattempo si lotta per obiettivi più
immediati e ovviamente transitori, che rimangono, per il momento,
nell’ambito del capitalismo (in fondo tale lezione ci proviene da
Trotsky).
Ancora
il compagno Shakti Asclepio:
Scusami
ma ancora non concordo, perché anche tu ammetti che l’uscita
dall’euro sarebbe rischiosa e costosa per la classe lavoratrice.
Ovviamente anche la macelleria sociale di Monti lo è. Come dire che
siamo tra l’incudine e il martello. Io credo che convincere 4 paesi
a farli uscire contemporaneamente dall’euro (e non è detto che sia
la cosa teoricamente più giusta, sostituire un’unione monetaria
con un altra non è molto internazionalista) non sia così semplice
da attuare politicamente. Inoltre penso che dichiarare default con
1900 miliardi di debito o dichiararlo (ipotizzo a caso) con 1000 dopo
aver messo tutte quelle cosette per far pagare prima le classi
sociali alto borghesi sia una cosa diversa. Cioè tu dici che se
continua il governo Monti arriveremo al default con la classe
lavoratrice stremata dalle finanziare (e io sono d’accordo con te
su questo) però io dico che se al posto di Monti ci fosse qualcuno
che ci porta gradualmente al default facendoci arrivare la classe
borghese stremata sarebbe meglio. Essendo veramente realisti; nel
presente mi sembra già difficile che un partito come il PD vada al
governo, pensa un po’ quanto sia difficile far sì che la Grecia
(con l’attuale governo che si trovano) Spagna (idem) e Portogallo e
Italia si accordino in modo “sano” come vorresti te per fare
questa uscita dall’euro. Con le forze, la consapevolezza e la
bassissima egemonia culturale della vera sinistra è più probabile
che si formino regimi autoritari fascistoidi, o comunque rischiamo di
seminare in terreno arido. La tattica rivoluzionaria va calibrata a
seconda del contesto socio economico, dei rapporti di forza ma anche
della consapevolezza culturale delle classi sociali. Concordo con il
fatto che la rivoluzione non sia una passeggiata, ma se non si è in
grado di fare la passeggiata si è in grado di fare la rivoluzione?
Per essere realisti dobbiamo fare un passo alla volta e contribuire
innanzi tutto ad un processo unitario delle forze anticapitaliste per
fronteggiare l’immediato e creare consapevolezza dei lavoratori. Se
i lavoratori si dovessero trovare a pagare il default con l’egemonia
culturale delle destre ci ritroveremmo in una brutta situazione, da
qui l’impossibilità di dichiarare immediatamente default ma
creiamo le condizioni per far pagare il debito a chi l’ha creato,
che sempre lotta di classe è, e poi prenderei come modello l’Equador
e l’Islanda che in parte non hanno pagato il debito e hanno
costituito processi (l’Islanda) di democrazia dal basso per
risolvere la questione. Per l’Italia la situazione è più
complessa per via dell’euro e per l’enormità del debito (18-20
volte quello argentino?) se è possibile fare tutto in una “manche”
ben venga altrimenti possiamo graduare il processo come dicevo. In
ogni caso bisogna avere accortezza poiché il problema del debito più
che dal capitalismo in senso lato è dato dal problema del
signoraggio bancario, tema sfruttato anche dalla destra populista,
come lo è il problema dell’euro e dell'Europa. Anche per questo
motivo considero sia più tattico dire che la crisi “deve pagarla
chi l'ha creata” e non che “dobbiamo uscire dall?Europa”,
perché la prima frase contiene in sé il concetto di lotta di
classe. Il nostro primo problema è ottenere consapevolezza di classe
e analisi materialistica della storia che persino nei movimenti
stenta ad affermarsi.
Risponde
per la seconda volta Riccardo Achilli
Premesso
che non vedo alcuna incompatibilità fra dichiarare "il debito
lo paghino le classi borghesi" e dichiarare "usciamo
dall’euro", ma anzi a mio avviso le due cose sono strettamente
consequenziali (perché l’euro stesso è una creazione della
borghesia) non penso che si possa limitare l’antagonismo sociale ad
un solo obiettivo, ovvero far pagare la borghesia nazionale, per il
semplice fatto che “chi ha creato il debito” è in larga misura
il sistema finanziario internazionale, i grandi operatori finanziari
che agiscono su scala globale, favoriti proprio dal meccanismo
dell’euro, che ha consentito loro di disporre di un mercato
finanziario di scala europea, senza più rischi di cambio o
restrizioni ai movimenti di capitale. Non credo che si possa creare
coscienza di classe semplificando i problemi, ovvero limitandosi a
dire “che paghi la borghesia”. Per creare coscienza di classe,
occorre presentare il problema nella sua interezza, e ciò include
inevitabilmente anche l’esistenza dell’area euro, e il suo
smantellamento progressivo. Certo che è difficile politicamente che
5 Stati escano insieme dall’euro, ma è ancora più irrealistico,
in assenza di un partito comunista unito e forte, pensare di far
pagare la borghesia nazionale. Non ci stanno riuscendo nemmeno in
Grecia, dove pure la sinistra antagonista è più forte e radicata
che da noi, figuriamoci se ci riusciamo noi. Vogliamo creare
coscienza di classe? Benissimo, allora il problema va presentato
nella sua interezza. Non c’è solo il problema di chi deve pagare
il debito pubblico italiano, se il proletariato o la borghesia.
Sarebbe molto riduttivo un approccio simile, e temo che ci
condurrebbe diritti alla socialdemocrazia. C’è il problema che
tale situazione è stata creata dalla finanziarizzazione
dell’accumulazione capitalistica, di cui l'euro è una componente
essenziale. Questa è la radice del dramma sociale che stiamo
vivendo. E la coscienza i classe va creata portando la lotta alla
radice del problema. Saluti comunisti
Aggiunge
le sue riflessioni il compagno Mortara
Col
compagno Achilli ne avevo già parlato in privato, ora ne parlo
pubblicamente: l’idea della uscita a tappe dall’euro non mi
convince molto, perché mi ricorda troppo la rivoluzione a tappe
degli stalinisti, che altro non è che la controrivoluzione che
procede a passo spedito. Il compagno Achilli, ovviamente, non è uno
stalinista, tuttavia il mio istinto proletario mi dice che c’è
qualcosa che non quadra nelle sue tesi.
Anzitutto
uscire dall’euro, per i liberali, vuol dire Italia fuori
dall’Europa, ma per noi però vuol dire almeno due cose, ovvero due
opzioni: o esce la borghesia italiana dall’Europa, o ci esce il
proletariato. È qui mi pare il dilemma: chi traghetterà l’Italia
fuori dall’euro? Perché l’unica borghesia che possa traghettare
fuori l’Italia dall’Europa è la borghesia tedesca, la quale può
decidere qualora la situazione precipiti di parcheggiare
momentaneamente la borghesia italiana nell’Europa di serie b. La
borghesia italiana non uscirà mai dall’euro finché riuscirà a
far pagare il debito ai lavoratori, cioè a intascare la quota che
sui mercati finanziari le spetta dei profitti fatti coi 55 miliardi
della manovra Berlusconi, più i 28 della manovra Monti. Se ci uscirà
sarà perché schiacciata e battuta dalla borghesia tedesca. Ma in
questo caso, per la borghesia italiana, significherà scaricare
ancora di più le perdite sul proletariato italiano, non allearsi con
le borghesie di Spagna Grecia e Portogallo. Perché proletari di
tutti i paesi unitevi, suona bene, ma borghesie
di quattro paesi unitevi,
stona con il carattere “individualistico” della borghesia. La
borghesia è sempre in guerra con le borghesie concorrenti e lo è
tanto di più in tempi di crisi, quando come ha ricordato in maniera
precisa e puntuale Achilli in un altro articolo – La
premiata compagnia dei tecnici...
– tende a chiudersi a riccio nel nazionalismo, tende cioè a
separarsi non ad unirsi.
C’è
un altro problema da considerare: ammettiamo per un attimo che la
borghesia italiana voglia suicidarsi e uscire lei dall’euro. Le
svalutazioni competitive, favorendo le esportazioni, anziché
dirigersi verso una specie di Bric coi paesi PIIGS, si dirigerebbero
immediatamente verso la Germania che comprerebbe praticamente gratis
le “nostre” produzioni. In breve la “nostra” economia, dopo
essere uscita dall’euro, nel giro di pochissimo si ritroverebbe
integrata e dipendente come mai prima dall’Europa, riproponendo gli
stessi problemi. Il che, è quello che sta succedendo all’Argentina,
come registrano puntualmente i marxisti argentini in questo
editoriale
di El militante.
L’argentina cioè, come l’Islanda, non son uscite dalla crisi,
han solo preso un attimo fiato per rituffarsi più a fondo nella
burrasca del capitalismo. Chi ha cantato troppo l’elogio
dell’Argentina, vedi Barnard e soci, non ha fatto i conti con
l’oste per troppa miopia. E l’oste è il capitalismo, e solo noi
marxisti lo vediamo benissimo per quello che è.
Questo
schemino evidentemente un po’ troppo statico, deve ancora essere
inserito nel dinamismo della lotta di classe. Dobbiamo, cioè, vedere
ancora come potrebbe muoversi il proletariato. Mi pare molto
improbabile che il proletariato subisca a ripetizioni le cure da
cavallo senza reagire. Già in Grecia abbiamo una notevole risposta,
se ancora non ha dato grandi risultati, non credo sia dovuto alla
mancanza di un partito comunista o all’isolamento, tutti questi
fattori indubbiamente incidono, ma non bisogna dimenticare che il
proletariato greco si trova addosso oltre agli artigli della
borghesia greca ed europea, anche la zavorra delle burocrazie
sindacali e degli stalinisti del KKE in particolare. Liberarsi di
questi tangheri sarà un processo molto lungo e doloroso, e non
bisogna aver troppa fretta di scoraggiarsi. L’aiuto ai greci può
venire anche dal proletariato italiano che si sta incamminando nello
stesso tunnel o dagli altri proletari che lo imboccheranno. Ma più
di tutto l’aiuto può venire dalle contraddizioni stesse del
sistema, che a furia di strozzare il proletariato, potrebbe finire
impiccato lui con un crack che moltiplichi all’ennesima potenza le
pressioni di oggi, scatenando la rivolta su scala almeno europea. In
quel caso vedo due soluzioni possibili: o la rivoluzione proletaria
sempre che sbuchi in tempo un partito oppure il riequilibrio dei
rapporti di forza all’interno dell’unione con grandi conquiste
del proletariato. Insomma l’uscita dell’euro, sotto il comando
del proletariato, è l’entrata nel socialismo, un’unica tappa
senza soluzione di continuità.
Nel
frattempo però come ci comportiamo? Con le nostre solite
rivendicazioni, aumento di salari, accorciamento dell’orario di
lavoro, e nessun pagamento dei debiti. Naturalmente finché il
proletariato non si muove difficilmente con le semplici parole
d’ordine porteremo a casa granché, ma per dirla con Trotsky, non
sono parole d’ordine sterili, ma daranno il massimo nelle
condizioni date. E daranno il massimo perché saranno le
rivendicazioni di chi ha inquadrato il problema. Non pagare il
debito, non significa non pagarlo nelle condizioni attuali, ma
mettere pressione addosso alla borghesia perché lo si paghi il meno
possibile.
Ed
ecco la chiusura di Achilli
Non
ho niente da aggiungere se non ribadire il mio punto di vista:
se non si chiede immediatamente la fuoriuscita del Paese dall’euro,
come obiettivo immediato del proletariato (ovviamente non della
borghesia, pensare che chi scrive proponga uno slogan del tipo
“borghesie di tutta Europa unitevi” è al limite del comico), ci
si consegnerà al massacro sociale che la borghesia europea porterà
avanti fino a quando non sarà comunque costretta ad ammettere che
l’economia dei Paesi PIIGS è in default, e che quindi il
mantenimento di un’area monetaria unica è insostenibile e il
progetto va ristrutturato, creando comunque un’area monetaria
forte ed una debole (esistono già in circolazione progetti
precisi in tal senso, in ambito Bce, FMI e della Commisisone europea,
oltre che naturalmente dei Governi nazionali). Quindi, che noi oggi
lottiamo per uscire dall’euro o che ci limitiamo a soluzioni di
antagonismo su base nazionale, la soluzione finale sarà comunque la
stessa: l’area euro come la conosciamo oggi non è più sostenibile
nel medio periodo, e le economie di Paesi come Spagna, Italia,
Portogallo e forse Irlanda sono già oggi in una condizione di
default potenziale. E tutto questo Monti, Draghi, Barroso e la
Lagarde lo sanno benissimo, come lo sanno bene i mercati, dato che lo
spread Btp-Bund, nonostante Monti, non accenna a ridursi in modo
strutturale. La differenza qual è? Che se lasciamo la borghesia
portare avanti tale progetto, lo troveremo realizzato fra qualche
anno, e nel frattempo le classi lavoratrici delle economie PIIGS
avranno pagato un prezzo durissimo, in termini di impoverimento. Se
la soluzione di uscita immediata dall’euro viene invece fatta
propria, in forma coordinata, dai proletariati dei Paesi considerati,
forse (ed è un forse grande come una casa, è ovvio che una
soluzione in tal senso richiederebbe una lotta durissima) potremo
arrivare all’inevitabile conclusione risparmiandoci un massacro
terribile. L’ “area monetaria debole” sarebbe soltanto una
soluzione-tampone per ridurre gli effetti della recessione da
fuoriuscita, fino quasi ad eliminarli. Non ho mai pensato che fosse
la soluzione (se lo pensassi scriverei per la Repubblica
o per il Corriere della Sera, non certo per il nostro blog
anticapitalista). Se invece ci si aspetta che la sinistra
radicale, in Italia come in Grecia, sia in grado di contrastare il
disegno della borghesia (recuperare quanti più soldi possibili dal
Governo nazionale facendo pagare il conto al proletariato, prima di
dichiarare comunque l’inevitabile fallimento) con una logica di
rivendicazione diretta rispetto alle manovre finanziarie che i
Governi tecnici ci propinano, allora si pecca di una forma di
ottimismo ingiustificabile rispetto ai dati di fatto della
realtà. Che in Grecia la sinistra radicale, ben più forte,
organizzata e radicata che da noi, non sia riuscita ad ottenere
assolutamente niente in mesi di lotta durissima, dovrebbe far
riflettere. È vero che probabilmente parte importante della causa di
ciò risiede nei vertici del KKE e del PAME, ma se aspettiamo
che tali vertici vengano rimossi affidando la sinistra a
classi dirigenti migliori, in grado di riorientare la lotta, la
borghesia avrà avuto tutto il tempo per concludere, nel modo
più comodo possibile, tutto il massacro sociale d cui
riterrà di aver bisogno per rientrare dai suoi crediti con il
Governo. In Italia la situazione della sinistra, in termini di
capacità di lotta, è ancora peggiore di quella greca, che è già
inconcludente. Quindi, se si vuole evitare di far pagare alle classi
lavoratrici il conto di una massiccia operazione di ristrutturazione
dell’intero sistema finanziario globale, non vi è
alternativa dall’andare a colpire il problema alla radice,
ovvero dal contrastare i meccanismi attraverso i quali il sistema
finanziario globale funziona, di cui l’euro è ovviamente una
componente molto importante. Tutto il resto è demagogia, o vana
illusione di poter contrastare a livello nazionale una operazione di
macelleria sociale decisa dai mercati finanziari su scala
sovranazionale. Naturalmente l’accenno allo stalinismo ogni volta
che si propone una soluzione graduale, e non una rivoluzione
immediata, lo trovo davvero quasi divertente, e lo dico senza ironia,
perché in fondo conferma il fatto che lo stalinismo è diventato
sinonimo di tutto quello che non piace fra le proposte e le
posizioni dei compagni. Forse lo stesso Stalin si sarebbe
compiaciuto, in una certa misura, di questa inflazione del suo
pensiero (chi lo conobbe, infatti, sostiene che, pur essendo un
assassino sanguinario, fosse dotato di un bizzarro senso
dell’umorismo, magari un po’ macabro, che però è nelle corde
dell’animo dei georgiani, popolo davvero molto spiritoso): non
posso che dire che tale inflazione dello stalinismo nega alla
radice ogni possibilità di articolare la lotta attraverso programmi
minimi e successivi programmi massimi o, se si preferisce, attraverso
programmi transitori. Questa limitazione mi appare un po’
riduttiva.
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