I risultati del voto odierno
aprono più di un interrogativo inquietante, in ordine alla governabilità in una
fase di profonda crisi economica e sociale, ai rapporti con la Ue, alla stessa
tenuta del quadro politico/istituzionale italiano. Ma non è questo il momento
di approfondire queste tematiche, che nelle prossime settimane e mesi verranno
al pettine, e per le quali al momento non ci sono sufficienti elementi di
giudizio.
Quello che importa, oggi, è di
trarre alcune lezioni del voto per la sinistra italiana, o per meglio dire, per
ciò che ne rimane, dopo l’ennesimo tsunami elettorale. Mi concentrerò su due
possibili lezioni, che a mio avviso si possono ricavare dal voto politico:
aa) Come
fare sinistra in una epoca di coscienza di classe in eclissi;
bb) E’
possibile, nelle condizioni di oggi, progettare una sinistra unitaria
antiliberista?
Con riferimento al primo aspetto,
è opinione di tutti che, in una fase di recessione in cui le tendenze spontanee
di proletarizzazione di ampie fasce della piccola borghesia si acuiscono, la
via d’uscita non può che essere quella di costruire un fronte popolare comune
fra proletariato, nei suoi vari strati, e piccola borghesia stessa, basato
quantomeno su obiettivi tattici di resistenza all’avanzata liberista e di
risposta alla stessa. Non lo dico io. Lo dice Trotsky: nel suo programma
transitorio, egli dice che “Le sezioni della IV Internazionale devono elaborare
nella forma più concreta possibile programmi di rivendicazioni transitorie per
i contadini e per la piccola borghesia cittadina, a seconda delle condizioni di
ciascun paese. Gli operai avanzati devono imparare a dare risposte chiare e
concrete agli interrogativi dei loro futuri alleati”.
Tuttavia, a realizzare tale
fronte popolare è stato il Movimento 5 Stelle, cioè un movimento politico
dichiaratamente non di classe, non scevro da elementi preoccupanti, quanto a
tendenze autoritarie della sua leadership, a strane alleanze con il capitale
che emergono dalle relazioni del suo reale padrone (Casaleggio), ad una certa
retorica razzista, a comportamenti assolutamente filo-borghesi nelle
amministrazioni in cui è già presente da tempo (Parma, Sicilia). Eppure, a
votare il M5S sono stati disoccupati, operai, impiegati, artigiani, piccoli
commercianti, liberi professionisti, imprenditori agricoli, studenti.
Qual è il motivo? Credo che ve ne
siano molteplici, non ultimo dei quali il discredito in cui una buona parte
della classe dirigente della sinistra italiana, sia politica che sindacale, è
caduta, e più in generale il discredito in cui sono cadute la forma-partito e
la forma-sindacato, le due forme attraverso cui tradizionalmente la sinistra
italiana si esprime. Ma penso anche che il motivo fondamentale sia da legare
all’abitudine quasi “meccanica” della sinistra italiana a ragionare in termini
marxianamente strutturali, cioè a privilegiare una proposta programmatica
basata sugli aspetti economici e lavorativo/sindacali. Lo si vede, ad esempio,
dall’enfasi che il programma di Ingroia pone sulla reintroduzione dell’articolo
18, sulle politiche economiche di rilancio della crescita e di rientro dal
debito, sulla rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, sulle PMI, ecc.
Ovviamente, poi, i partiti marxisti rivoluzionari che si sono presentati hanno
un programma di tipo squisitamente marxista, e quindi concentrato sulla
struttura dei rapporti sociali di produzione.
Per motivi che non è possibile in
questa sede approfondire, e che tratterò diffusamente in un mio prossimo
articolo (probabilmente la settimana prossima) le condizioni di avanzamento dei
modelli di organizzazione della produzione capitalistici, i connessi effetti di
sbriciolamento dell’unitarietà del proletariato industriale, di precarizzazione
del rapporto lavorativo, di fidelizzazione del rapporto fra lavoratore e datore
di lavoro, di terziarizzazione dell’economia e del proletariato, e di deriva
conservatrice e difensivistica degli apparati sindacali, il lavoratore italiano
percepisce, oggi, l’impossibilità di ribaltare in modo radicale rapporti e modi
di produzione che sembrano apparentemente invincibili, e che appaiono (a giusto
titolo) imposti da centri di potere irraggiungibili ed invisibili, collocati
fuori dai confini nazionali, in un capitalismo finanziarizzato ed apolide che
sembra quasi una astrazione, rispetto alla concretezza del vecchio padrone
delle ferriere del capitalismo industrialistico, con il quale il rapporto di
antagonismo era immediato, palpabile, fisico.
La sinistra odierna, se vuole
fare “presa”, in questa fase di eclissi della coscienza di classe, deve quindi,
molto probabilmente, imitare Grillo, e cioè concentrare le sue parole d’ordine
nella sfera sovrastrutturale. Ad iniziare da quella distributiva. Sappiamo, da
marxisti, fin dai tempi della Critica al Programma di Gotha, che la sfera
distributiva viene dopo la conformazione degli assetti dei rapporti social di
produzione e del modo di produzione stesso. Le forme di distribuzione della
ricchezza non sono una variabile indipendente, ed anzi dipendono strettamente
dal modo di produzione. Eppure Grillo si comporta esattamente come se la
distribuzione fosse indipendente dai modi di produzione. Si veda la questione
legata al reddito minimo garantito, contenuto nel programma di Grillo. A noi
marxisti fa sorridere: sappiamo che, senza una radicale modifica dei rapporti
sociali di produzione, un reddito minimo garantito non è altro che una
contropartita per un innalzamento dello sfruttamento del lavoro, in termini di
maggiore precarietà e produttività. Sappiamo anche che la stessa possibilità di
istituire il RMG dipende dalla fase che il capitalismo nazionale attraversa:
oggi, la debolissima competitività del capitalismo italiano nel contesto dei
mercati finanziari e dei beni, che si esprime attraverso una modesta crescita e
un debito pubblico stratosferico, rende
semplicemente impossibile reperire le risorse per il RMG, senza eliminare tutti
gli altri ammortizzatori sociali esistenti (e Grillo si guarda bene dal dire
che si finanzierà il RMG con la soppressione di cassa integrazione, mobilità,
mentre imbroglia i suoi dicendo che le risorse potrebbero venire da un
miliarduccio qua e là sottratto alla voracità della demoplutocratica Casta
politico/giornalistica).
Tuttavia, la promessa di un RMG,
quindi di una politica redistributiva sganciata dal modo di produzione
sottostante, fa breccia, attrae consensi, ed alla fine è questo che conta. Così
come attrae consenso una retorica politica grillesca tutta quanta concentrata
su un arido moralismo nei confronti della Casta ladrona, su un ingenuo richiamo
all’onestà dei comportamenti, che è tutto quanto sovrastrutturale, e che non
tiene quindi conto del fatto che in un sistema capitalistico finanziarizzato,
la corruzione di classi dirigenti emergenti da una borghesia nazionale ridotta
allo stato di compradora dai mercati finanziari apolidi, diviene il suo stesso,
normale, meccanismo di riproduzione. Se non si cambia la struttura nel
profondo, non si elimina la Casta onnivora che ci opprime. Però Ingroia parlava
di regolamentazione dei mercati finanziari globali, ed ha preso il 2%. Grillo
strilla di fuoriuscite dall’euro, come se semplicemente il cambio di una moneta
potesse modificare le cose di per sé, e di “necessaria onestà delle classi
dirigenti”, senza evidenziare i motivi strutturali della disonestà delle stesse,
e fa i bagni di folla.
Io non dico di fare quello che
fra Grillo, però evidentemente il messaggio politico di una sinistra che vuole
fare breccia, in questa fase, deve essere di tipo sovrastrutturale, deve andare
a lanciare temi di carattere redistributivo e eminentemente
politico/istituzionale, ripromettendosi però, a differenza di Grillo, di andare
ad incidere sugli aspetti strutturali sottostanti, una volta andata al potere. In
una prima fase, il messaggio deve essere “pane, libertà e giustizia” e solo
dopo deve essere “rivediamo gli assetti del modello di sviluppo”. Non serve a
niente parlare della necessità di un cambiamento qualitativo ed ecosostenibile
del modello di sviluppo. Per prendere voti serve parlare dell’inceneritore in
località Tre Case Di Sotto. L’inceneritore dipende da un modello di sviluppo
errato. Ma non se ne deve parlare, almeno fino a quando la coscienza di classe
non risorgerà.
E poiché la forma-partito e la
forma-sindacato sono in crisi, quanto più leggera e partecipata dal basso è la
organizzazione di un partito di sinistra, meglio è.
Passiamo al secondo aspetto. La
domanda è la seguente: “nelle condizioni attuali della politica italiana, è
possibile pensare ad un polo di sinistra unitario ed antiliberista, sul modello
Syriza?” la mia risposta è che attualmente non è possibile. Non lo è per tre
motivi:
a) in un contesto in cui anche
l'elettorato di sinistra è educato ad un concetto di bipolarismo (si veda anche
l'incapacità di qualsiasi formula centrista di aprirsi uno spazio significativo)
la presenza del PD esercita un potenziale di attrazione sull'elettorato di
sinistra. Lo riesce a fare grazie al permanere di una vaga suggestione di
socialdemocrazia moderata, alimentata anche dai falsi dirigenti sinistri del PD
(Fassina, Orfini,...) in realtà allineati alla segreteria, ma messi lì con il
compito di fare da specchietto per le allodole per la fascia sinistra
dell'elettorato di quel partito, nonché da alcuni intellettuali organici
(Saviano, Moretti,...) che lavorano per rafforzare questa idea di partito di
sinistra (la lezione gramsciana sull'egemonia culturale è stata appresa). In
questo senso, la forza attrattiva della metafora del "voto utile" è
micidiale per qualsiasi aggregazione politica alla sinistra di quel partito/idrovora;
b) non si può ricostruire una
sinistra unitaria con le classi dirigenti rifondarole, verdi e del Pdci che
hanno attraversato le devastanti esperienze della partecipazione ai governi
dell'Ulivo e dell'Unione, e non hanno mai maturato una riflessione autocritica
circa questa esperienza, che ha provocato effetti durevoli di sfiducia
sull'elettorato più radicale. Mi spiace, ma gente come Ferrero, Diliberto,
Bonelli, Rizzo, ecc. se ne deve andare via, anche se ha cambiato posizione,
anche se ha adottato atteggiamenti più consoni. Questa classe dirigente se ne
deve andare perché la sua semplice presenza ricorda una fase infausta, cui la
propria immagine è rimasta indelebilmente legata nella mente di molti elettori;
c) non si può ricostruire una
sinistra unitaria facendo un patchwork mal assortito di identità politiche
molto diverse fra loro e non compatibili. Intanto non si può pensare di
affascinare l'elettorato di sinistra radicale mettendo insieme un partito
oramai socialdemocratico come Rc (che ha però ancora al suo interno componenti
marxiste rivoluzionarie forti ed autonome, come F&M) un partito
ambientalista moderato ed addirittura un partito giustizialista e borghese come
quello di Di Pietro, affidando il tutto ad un magistrato la cui stella polare è
il rispetto e la piena attuazione dei principi della Costituzione repubblicana,
e che quindi assume una posizione da socialista democratico. Ma voglio dire di
più: anche se non ci fossero Di Pietro e Ingroia, una esperienza fallimentare
come la SA dimostra che l'elettorato radicale italiano non si è spogliato degli
antichi richiami identitari, e non è pronto a rimetterli in gioco, come
avvenuto ad esempio nel FG francese (in cui il Pcf ha addirittura rinunciato
alla falce e martello sul suo simbolo elettorale). Il nostro elettorato
radicale non è pronto a fare questo salto. Il richiamo identitario novecentesco
è una coperta di Linus, anche quando vale lo 0,3%.
Ovviamente, le condizioni b) e c)
possono essere rimosse dalla sinistra radicale attuale. La condizione a)
dipende da una implosione del PD, possibile ma, perlomeno nel breve periodo,
non probabile. Non resta che lavorare.
3 commenti:
se a sinistra mon si è pronti a rimettersi in discussione la proposta non è "!viable". Mi p capitato di leggere che la colpa di tutto è della socialdemocrazia di sinistra! Il recinto italiano è troppo ristretto la politica economica si fa altrove,almeno a livello europeo. Quali sonoi i riferimenti FG in Francia, Syriza in Grecia e LINKE in Germania, AKEL ha perso a Cipro. Se è così abbiamo già perso. Se il popolo sfruttato sta in 5 Stelle allora è più sempluice logico preticare l'entrimo. In generale: Il balletto deve finire presto. In questa situazione se sei un gruppo finanziario internazionale in contatto con Casaleggio puoi giocare al ribasso in borsa e guadagnare molti più euro di quelli del rimborso elettorale se poi saprai in anticipo che 5 Stelle favorisce una soluzione guadagnerai sul rialzo. Vedremo in questi giorni cosa succede in borsa. Sul piano della corretteza istituzionale incarico esplorativo al capo politico della coalizione, che ha la maggioranza in un ramo del parlamento,poi alla seconda coalizione ed infine al capo politico del terzo gruppo parlamentare 5 stelle. Se Grillo non forma il governo e non ottiene la fiducia si sciolga il solo Senato, a questo punto la parola è veramente al popolo italiano. se nel frattempo il porcellum è andato in CorteCostituzionale si ripetano le elezioni.
Sono d'accordo con Lei sul fatto che occorra una rimessa in discussione completa dei riferimenti novecenteschi della sinistra italiana (d'altra parte l'ho scritto nell'articolo), ed anche sul fatto che la battaglia politica si faccia in Europa, non altrove.
quanto agli scenari futuri, mi sembra ormai chiaro che:
a) non si può andare a nuove elezioni. Napolitano è in semestre bianco, e occorrerebbe trovare una maggioranza parlamentare disposta ad eleggere un nuovo Presidente che, non appena insediato, sciolga le Camere. Nel frattempo, un governo dimissionario non potrebbe scrivere il PNR 2013, da presentarsi entro fine aprile. E poi nuove elezioni non farebbero che balcanizzare ulteriormente il quadro politico, senza creare maggioranze;
b) Grillo ha detto che non sosterrà un governo di minoranza, e Napolitano non è favorevole a questa ipotesi. Grillo ha tutte le convenienze (egoisticamente) a fare così (d'altra parte, la distribuzione dei suoi sostenitori fra chi vuole un accordo con il PD e chi non lo vole è più o meno fifty-fifty. L'unica soluzione è un governo di larghe intese PD/PDL. che apre scenari di disgregazione finale di questi due partiti assolutamente imprevedibili.
Sul fatto che ci sarà un governo di salvezza (inter)nazionale PD-PdL(+Monti?) non ci sono dubbi; sul fatto che il PdL è in via di disfacimento neanche; più di qualche dubbio ce l'ho invece sull'ipotesi che il PD si disgreghi a breve (se non altro ha uno zoccolo duro di elettori veramente ottusi per i quali vale ancora il motto stalinoide "il partito ha sempre ragione").
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