DE GREGORI E CACCIARI: CANZONCINA E LECTIO MAGISTRALIS
di
Norberto Fragiacomo
Pare che sia tornato improvvisamente di moda interrogarsi sull’esistenza, o piuttosto il persistere, di una distinzione concettuale tra “sinistra” e “destra” nel mondo contemporaneo. Non che il dibattito fosse spento (dopo le conclusioni del mio omonimo Norberto Bobbio ci sono stati vari interventi sul tema, fra i quali merita di essere segnalata la recente “provocazione” elettorale di Costanzo Preve), ma due outing in un solo giorno – il 31 luglio, in piena canicola – sono davvero troppa grazia: rinfocoleranno la languente polemica, e saranno seguiti, immagino, da prese di posizione e scambi accaniti.
Leggendo l’intervista all’icona Francesco De Gregori su l’Huffington Post si ha l’impressione di un equivoco – un equivoco in cui è caduto il cantante, non il lettore. La “sua” sinistra – dice – “si è persa”. In che senso persa? Beh, “si commuove per lo slow food e strizza l’occhio ai No Tav”. Cioè, traduciamo, prova ad opporsi, localmente, all’aggressione capitalista… no, tutto questo risulta sgradito all’autore de “Il canto delle sirene” e di tante altre liriche in musica. Lui, ad ogni buon conto, ha votato Monti alla Camera, appoggerebbe Renzi lo sparigliatore e detesta il M5S, favorevole – a suo dire – ad un referendum per uscire dall’euro.
A parte il fatto che non si capisce a quale “sinistra” si riferisca il cantautore (non certo al PD, che afferma di aver scelto al Senato: sulla TAV i bersaniani non hanno mai avuto un cedimento), il vero problema di De Gregori è che ad essersi perso è proprio lui. Se persino alcuni gemiti indistinti, qualche rigurgito di anticapitalismo gli danno l’orticaria è perché il giovane contestatore è diventato, da vecchio, un borghese come gli altri – anzi, più ricco e vezzeggiato (dal sistema) della stragrande maggioranza dei compagni di classe. La sua “ragazza del ‘95”, che vola sopra Gibilterra, finirà a fare la sguattera in qualche Mc Donald, ma lui non se ne cura: per i suoi simili, anche in tempi di crisi, l’agiatezza è assicurata. Non ha rubato nulla: alcune sue canzoni sono pura poesia. Ometta però di pontificare su argomenti che non lo riguardano: la sinistra – ammesso che ci sia, e che sia marxista – non è fatta per compiacere benpensanti benestanti.
Altro spessore teorico hanno le argomentazioni di Massimo Cacciari, uno che quando esterna suscita trambusto (anche perché non ha il dono della tolleranza verso chi dissente da lui).
Pure il filosofo veneziano ritiene, come il collega Preve, che sinistra e destra siano categorie svuotate: la sua riflessione, però, non mira a rivalutare in qualche modo le frange di estrema destra, nel tentativo (impossibile) di forgiare una santa alleanza contro il capitale. Rispetto a Costanzo Preve, Cacciari è più furbo, di gran lunga più politically correct e, ad avviso di chi scrive, più subdolo: egli mescola, con sovrana disinvoltura, verità sacrosante e clamorose menzogne. Vediamo in che termini.
L’incipit è convincente: “la parola sinistra (…) ha rimpiazzato altri aggettivi decaduti nelle denominazioni di alcuni partiti, ma è diventata sempre più porosa. Nel senso che assorbe ogni giorno significati e succhi diversi, è una parola instabile e in definitiva inservibile.” Questa non è un’opinione, bensì un fatto, espresso con chiarezza: oggidì, nel vasto insieme denominato dai media “sinistra”, vediamo ammassarsi liberisti doc e antiliberisti, sostenitori della UE e suoi detrattori, teorici della “guerra giusta” (quella fatta da USA e satelliti per “esportare la democrazia”, s’intende), pacifisti e nemici dell’imperialismo… Blair e Ferrando, per capirci – un pot-pourri immangiabile. E’ quindi incontestabile che “quella parola non ci serve più, è disossata, desemantizzata, continuare a usarla è dannoso, offusca la visione della realtà”.
Ad un’osservazione obiettiva – quella sulla “porosità” di un termine ambiguo, buono per tutti gli scenari - fanno seguito asserzioni palesemente menzognere, una ricostruzione della realtà, e della storia degli ultimi decenni, da romanzo fantapolitico. Secondo Cacciari, “gli ultimi (!!) avversari di destra furono appunto Reagan e Thatcher, una destra mondiale agguerrita e molto chiara nei suoi principi e molto innovatrice nelle sue tecniche”, cui la sinistra diede una risposta “conservatrice: rinforzare le basi storiche e ideologiche di una sinistra che si oppone ai «reazionari». Ma per la scienza politica, reazionario è chi vuole riportare indietro la ruota della storia a prima della rivoluzione francese. E né Thatcher né Reagan né nessun altro che si vedesse in giro proponeva di tornare al Re Sole.” Il veneziano, forte in dialettica, bara spudoratamente con le parole, non prima di aver falsato gli avvenimenti: ben lungi dall’opporsi ai reazionari (ometto di proposito le virgolette), la sinistra maggioritaria europea si accodò a loro, ne mutuò filosofia e azione politica, tanto che Blair fu (assai più del grigio Major) il figlioccio politico di Margaret Thatcher, e nel campo delle privatizzazioni, liberalizzazioni ecc., cioè della reaganiana deregulation, ex comunisti italiani e socialdemocratici europei si dimostrarono, a tratti, più realisti del re. L’assunto è falso, quindi, al pari della favola della “scomparsa della destra” (se Reagan e Thatcher furono gli “ultimi” allora, sepolti loro, la destra non ci sarebbe più…), ma il gioco di prestigio che segue è magistrale: Reagan non era reazionario perché non voleva mica tornare al Re Sole [1]… grande scoperta, o la boiata di un sofista?
Mediocre scoperta e boiata: il termine “reazionario” – non certo l’unico affibbiato al duo anglosassone, tra l’altro - fu effettivamente coniato per catalogare quegli intellettuali bigotti alla de Maistre che, dopo la Rivoluzione francese, sognavano (e cercarono di favorire) un ritorno allo status quo ante. In seguito, tuttavia, (visto che, come le società e gli uomini, anche i vocaboli si evolvono), reazione divenne sinonimo di ritorno al passato, ad una società chiusa, irreggimentata e diseguale – in breve, di conservatorismo estremo. Reagan e la Thatcher saranno stati innovatori “nelle tecniche”, ma i loro principi, pur “chiari”, erano antidiluviani, sette-ottocenteschi, prerivoluzionari (la Rivoluzione è anche Robespierre, attenzione): lo Stato lasci mano libera ai ricchi, non è suo compito riparare a diseguaglianze naturali e, di conseguenza, giustificate. Principi vecchi per una rinnovata ingiustizia.
Non vogliamo chiamare questa destra “reazionaria”? chiamiamola ottocentesca, ultracapitalista, nemica della solidarietà e dell’uguaglianza, le etichette sono intercambiabili – resta però l’esigenza assoluta di avversarla in ogni maniera possibile. Peccato, per il ragionamento di Cacciari, che a questa destra la “sinistra” maggioritaria europea non si contrappose affatto.
Ce n’è pure per Bobbio, nell’intervista, cui va la mia solidarietà di omonimia. Secondo Cacciari, l’uguaglianza è “una base disperatamente povera (…) chi mai oggi promuove la diseguaglianza? Voglio dire, chi la propone apertamente come programma politico? È chiaro che la diseguaglianza esiste, anzi cresce, ma non è un'ideologia, è un fatto. La diseguaglianza non è il programma odioso di un avversario riconoscibile, semmai è la forma che ha assunto la globalizzazione, è l'anonimo che ha preso il volto dello stato di natura, dell'inevitabile, e nessuno se lo intesta.”
Questo passaggio è illuminante, perché contiene, in egual misura, falsità e ideologia – quella stessa ideologia che Cacciari vorrebbe estinta dalla meteora dei “fatti”. Anzitutto, non risponde al vero che manchi, oggi, chi promuove apertamente la diseguaglianza: con il suo apologo sul figlio dell’operaio e del professionista, Silvio Berlusconi ha solamente interpretato lo spirito dei tempi, qualsiasi finanziere americano e molti politici repubblicani o conservatori esprimerebbero lo stesso concetto con maggior crudezza. Inoltre, verba vola scripta manent: tutte le politiche (fiscali, del lavoro ecc.) “implementate” negli ultimi due-tre decenni hanno allargato il fossato della diseguaglianza, mostrandoci quanto essa sia desiderabile per l’elite occidentale. La crisi – l’ho scritto mille volte – ha dato una spinta fortissima a questo processo, confessandoci inequivocabilmente (v. le misure imposte dalla Troika FMI-UE-BCE ai c.d. PIGS) che, al contrario di quanto asserisce Massimo Cacciari, la diseguaglianza è un’ideologia e un fatto. Raccontandoci che “la diseguaglianza è l’anonimo che ha preso il volto dello stato di natura, dell’inevitabile”, il nostro porta acqua sporchissima al mulino di TINA (There is no alternative), e con ciò conferma la sua adesione alla pseudofilosofia thatcherian-reaganiana: il ruolo dell’intellettuale organico al sistema è oggigiorno di far digerire alle masse le devastanti trasformazioni di inizio XXI° secolo, rappresentandole appunto come un fenomeno naturale da subire con fatalismo. Pura propaganda, ovviamente: la globalizzazione non è piombata dal cielo, è stata voluta, così come frutto di scelte precise sono le politiche di austerità messe in campo dalle istituzioni asservite agli interessi della finanza anglosassone. Sostenere il contrario, tuttavia, è estremamente utile a chi di questi mutamenti beneficia, e alla causa il filosofo “progressista” presta volentieri la sua erudizione.
Poi però esagera con il suo “montismo” senza aplomb: va bene dire che il linguaggio rischia di oscurare la realtà (il suo, infatti, fa proprio questo), ma affermare che, nell’Italia odierna, “siamo tutti democratici” equivale a raccontare – male – una barzelletta. Devo portare delle prove? Inutile: mi richiamo, da giurista, al “fatto notorio” (art. 115 c.p.c.). L’ultima stoccata, montiana al 100%, è intrisa di veleno: condivisibile risulta la critica agli apparati partitici, che usano “la parola rifugio perché non hanno altro in zucca” (e hanno magari interessi da difendere), ma l’equazione sinistra uguale conservatorismo poteva risparmiarsela, Cacciari. E’ da conservatori difendere i diritti, la dignità, il minimo vitale per lavoratori, pensionati e famiglie? Se sì, sono un conservatore doc, ma è l’intera questione ad essere affrontata in maniera discutibile: non si può far derivare dall’inadeguatezza di un termine la condanna, senza appello, di una visione del mondo. Sbarazziamoci pure del vocabolo sinistra, e ribattezziamo il nostro progetto politico “Geppetto” o, preferibilmente, “socialista”/”comunista”, ma i suoi contenuti e i suoi obiettivi non cambieranno: una lotta senza quartiere per l’uguaglianza sostanziale che dovrà tradursi, a suo tempo, nell’edificazione di una società giusta.
Il concetto è questo, e ci interessa più dei sofismi.
Concludo con un’autocitazione, tratta dal discorso che, quasi due anni orsono, pronunciai ad un convegno della LdSNE tenutosi a Verona: “Oggi, grazie alla crisi, la linea di faglia tra destra e sinistra è meglio visibile di quanto non fosse 10 o 15 anni fa. Essa consiste nell’accettazione, o meno, dell’impostazione e delle politiche liberiste: chi non vede alternative al sistema esistente, ritiene che la famosa lettera della BCE sia un “programma di governo” da applicare (e non un vulnus alla democrazia) e vota una manovra che penalizza i poveri “perché non c’è alternativa” è un conservatore, di destra, anche se si dichiara riformista o progressista; chi, al contrario, rifiuta ricette inique e controproducenti, giudica i diritti più importanti di spread e profitti e, soprattutto, pretende il superamento del sistema attuale è un innovatore, di sinistra. La crisi è uno specchio fedele, e se ci svela che, perlomeno in materia di politiche economico-sociali, i c.d. “liberal” del PD stanno più a destra di Forza Nuova non c’è ragione di non crederle. Alla luce di questa fondamentale distinzione, viene meno quella tra Sinistra socialdemocratica e radicale o, per meglio dire, massimalista. La volontà di superare il sistema attuale è rivoluzionaria per definizione, dunque massimalista – d’altra parte, è anche ciò che distingue la sinistra dai conservatori. Quindi, delle due l’una: o i socialdemocratici sono “massimalisti” – il che non impedisce loro, attenzione, di condurre doverose battaglie interne al sistema per attenuare gli effetti delle misure più gravose e ingiuste – oppure non stanno a sinistra.”
Mettete pure il nome “Tonino” al posto di “sinistra”, sostituite “destra” con “Sardanapalo”: con buona pace dei Cacciari, il senso non cambia, né – in appena un biennio – è cambiata la mia visione delle cose.
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