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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 29 agosto 2013

Dead man walking, di Renato Costanzo Gatti



di Renato Costanzo Gatti

Berlusconi è un cadavere ambulante.
Mi chiedo chi tra i suoi seguaci, esclusi quelli fascinati dalla ascesi mistica, scommetterebbe un euro sul futuro politico del cavaliere, e quindi sul proprio futuro politico, se rimanesse legato a lui.
Il 25 agosto ad Arcore, secondo me, è stata votata una mozione come quella di Grandi che nella notte del gran consiglio defenestrò il duce.
In questa situazione occorre essere freddi e calmi.
Non esiste un governo possibile con i numeri che ci sono oggi in Parlamento, l’alleanza PD-PDL, così com’è, non ha oggi futuro; un governo PD-5* fa venire i brividi ( quand’anche fosse possibile); altre soluzioni non se ne vedono.

Non rimane che pensare ad un governo di scopo con il solo compito di fare la legge elettorale ed affrontare il tema degli esodati e dei cassintegrati in deroga. Pare estremamente difficile ipotizzare una legge elettorale condivisa, tuttavia si può anticipare che, così stando le cose, vada accantonata l’idea di una legge elettorale che riguardi un sistema unicamerale; ipotesi che avrebbe facilitato le cose, ma che comportando una riforma costituzionale, non è oggi proponibile. Ci si può aspettare una legge che elimina il premio alla camera (almeno nelle misure oggi dichiarate incostituzionali) e che quindi, sia alla camera come al senato renderà ancor più difficile la formazione di una maggioranza.
Sembra poter prevedere che l’esito delle elezioni (semprechè non si forzi un voto con il porcellum fondato sui sondaggi elettorali) ci lascerebbe nella situazione di impasse in cui ci troviamo ora.
E’ su questa prospettiva che la mozione Grandi del 25 agosto 2013 assume una dimensione rilevante. L’azione di defenestramento del cavaliere apre la prospettiva di una nuova diversa alleanza tra Pd e PDL. Si tratta di valutare come porci di fronte ad una simile prospettiva.
Come sinistra non abbiamo alternative; non possiamo contare su uno spostamento a sinistra del PD e se ci fosse, andrebbe verso lo sterile terreno pentastelluto; non possiamo contare neppure su un grande soggetto politico socialista capace di far parte di una maggioranza di governo, e men che meno su posizioni egemoni. Non rimane che la realistica presa d’atto che l’unica maggioranza possibile rimane questa nuova alleanza tra PD e PDL senza Berlusconi e senza relativi falchi.
Possiamo confondere l’analisi fredda con quanto desideriamo? Possiamo confondere il desiderabile con il concreto? Se lo facessimo faremmo in modo che un errore di analisi assurgesse ad un errore strategico.
Chiudersi ad una soluzione possibile, aprendo una fase di instabilità politica, si riverserebbe sul fatidico spread che comincerebbe a risalire fino a quota 500. Non possiamo adagiarsi su un tanto peggio tanto meglio, ma dobbiamo chiederci come potremmo essere più incisivi, positivamente incisivi nella situazione data. Le elezioni tedesche del 22 settembre stringeranno i tempi sulle sorti dell’Europa e dell’euro, o troviamo una strategia condivisa o ne saremo travolti, senza neppur aver cercato di interpretare il corso della storia.

L’inganno che potremmo propinarci prospettando una soluzione inattuale ed impercorribile, costituirebbe un ulteriore contributo all’afasia della sinistra.
Più terribilmente concreto sarebbe la presa d’atto di una nuova alleanza che non la ricerca infruttuosa di maggioranze diverse ed irrealizzabili: presa d’atto che ci affidi il compito di una opposizione che punti ad una pulizia radicale del modo di far politica, alla costruzione di scelte razionalmente determinate, insomma non di un pietoso salvataggio della patria, ma di un percorso di profonda rifondazione della politica.

Gli elementi di socialismo? Saranno tutti nella nostra capacità di tessere la tela. Non so vedere strade alternative, ma ciò è un mio limite che potrà benissimo essere rimosso con le controproposte di chi mi vorrà corrispondere. 

giovedì 22 agosto 2013

UN NUOVO IRAK di Riccardo Achilli




UN NUOVO IRAK
di Riccardo Achilli



E' davvero molto presto per poter dare informazioni oggettive su quanto avvenuto la scorsa mattina, in un distretto di Damasco est occupato dai ribelli. Che si sia verificato un atto di gravissima violenza sulla popolazione civile è fuor di dubbio, che tale atto sia stato un attacco con armi chimiche sulla popolazione civile è estremamente probabile, stanti le fotografie ed i video di cadaveri privi di ferite da armi da fuoco, e le testimonianze dirette di operatori di Paesi diversi, ma soprattutto (se si vogliono accusare gli operatori di essere al soldo dei nemici di Assad) di singoli residenti di quell'area affetti dai sintomi dell'intossicazione da gas Sarin (bruciore agli occhi, vomito, incontinenza, difficoltà respiratorie) ivi compresi bambini che certo difficilmente possono essere indottrinati a raccontare bugie sofisticate. Non voglio in nessun modo difendere o giustificare Bashar al-Assad, a mio avviso un brutale tiranno sanguinario, che oggi, con la sua proterva volontà di rimanere attaccato al potere, blocca qualsiasi ipotesi di pacificazione nazionale, che dovrebbe necessariamente passare per un governo di transizione in cui i principali protagonisti, ivi compreso lui, dovrebbero fare un passo indietro. 

Il problema è un altro. Il problema è che l'Occidente, alle prese con la più grave crisi economica dell'ultimo secolo, ha la necessità, tipica del capitalismo in grave crisi, di tentare avventure militari per dare utilizzo a capitale inutilizzato, riavviando cicli di accumulazione basati sull'industria militare, oltre che al fine di distrarre le opinioni pubbliche dai problemi economici e sociali interni. In questo momento, l'obiettivo più succulento potrebbe essere quello di una guerra globale, sia militare che politica, alle espressioni politiche della componente sciita dell'Islam. Una guerra santa contro gli sciiti, infatti, consentirebbe di unire le forze dell'Occidente a quelle dei regimi e delle petromonarchie, di stampo sunnita, tradizionalmente alleati dell'imperialismo occidentale (non è un caso se i primi a gettarsi sulla presunta reponsabilità delle forze governative siriane nell'attacco chimico siano stati i sauditi). L'attacco alla Siria, infatti, sarebbe solo il primo passo per dotarsi della base logistica indispensabile per minacciare di un possibile attacco l'Iran, vero obiettivo dell'imperialismo USA da anni, giustificato di fronte alle opinioni pubbliche agitando un (allo stato attuale ancora improbabile) spauracchio nucleare imminente. L'obiettivo è chiaramente quello di minacciare, e quindi indurre a più miti consigli, l'unico attore regionale che ha la forza di contrastare la politica imperialistica occidentale sull'intero scacchiere mediorientale, tenendo sotto costante minaccia Israele tramite Hezbollah (finanziata e supportata dal governo degli ayatollah) e supportando il regime alawita di Assad e il controllo sciita nel sud dell'Irak, tramite le forze che fanno riferimento a Moqtada Al Sadr. 

DIFENDERE LA COSTITUZIONE NON BASTA: SERVE UN'ALTERNATIVA DI SINISTRA di Maurizio Zaffarano




DIFENDERE LA COSTITUZIONE NON BASTA: SERVE UN'ALTERNATIVA DI SINISTRA
di Maurizio Zaffarano



Il più sincero plauso a Maurizio Landini e a Stefano Rodotà e alla loro iniziativa in difesa della Costituzione, anzi per l'attuazione della Costituzione, promossa insieme alle più fulgide icone della Sinistra: Don Ciotti di Libera, Gino Strada di Emergency, Gustavo Zagrebelsky di Libertà e Giustizia.
Quale cittadino democratico può non inorridire di fronte alla pretesa di una ristretta e screditata oligarchia parlamentare di nominati di mettere mano alla nostra Carta fondamentale, a quella che Bersani (!) definiva la Costituzione più bella del mondo? Quale cittadino democratico non si sente indignato di fronte al degrado senza fine della politica italiana dove un condannato per un gravissimo reato antisociale – l'evasione fiscale – continua a tenere in mano le sorti del governo, ne detta l'agenda politica, persino riceve le attenzioni e le premure del Capo dello Stato, di colui cioè che dovrebbe essere il supremo garante della legalità costituzionale?
Lo stravolgimento della Costituzione in direzione dell'autoritarismo e di un'ulteriore personalizzazione della politica (presidenzialismo) è funzionale da un lato alla sopravvivenza di ceti politici altrimenti destinati ad una inesorabile eclissi e dall'altro, e soprattutto, al completamento del disegno delle oligarchie economiche mondiali per la ristrutturazione della società europea ed italiana nel senso del più feroce capitalismo liberista, cancellando definitivamente diritti conquistati attraverso secoli di lotte, perpetuando precarietà, disuguaglianza e miseria, dotandosi degli strumenti normativi per una più efficace repressione del dissenso e del conflitto.

mercoledì 21 agosto 2013

VITA E LOTTA DI UN RIVOLUZIONARIO di Alan Woods




VITA E LOTTA DI UN RIVOLUZIONARIO
di Alan Woods



73 anni fa, il 20 agosto 1940, Lev Trotsky veniva assassinato da un sicario di Stalin a Città del Messico. Per ricordarne la vita e le opere ripubblichiamo in questo inserto ampi stralci di un articolo di Alan Woods intitolato In memory of Leon Trotsky, scritto nel 2000. Il testo completo è consultabile in inglese alla pagina web http://www.marxist.com/memory-legacy-leon-trotsky.htm



Lev Davidovic Trotsky fu, insieme a Lenin, uno dei due più grandi marxisti del ventesimo secolo. Dedicò tutta la sua vita alla causa della classe operaia e del socialismo internazionale. E che vita! Dalla sua prima giovinezza, quando lavorava di notte per produrre volantini per gli scioperi illegali che gli guadagnarono le prime reclusioni in carcere e l’esilio in Siberia, fino a che non fu ucciso da un sicario di Stalin nell’agosto del 1940, si impegnò senza sosta per il movimento rivoluzionario. Nella prima rivoluzione russa del 1905, fu il presidente del soviet di Pietroburgo. Condannato ancora una volta all’esilio in Siberia, evase di nuovo e continuò la sua attività rivoluzionaria dall’esilio. Durante la prima guerra mondiale, Trotsky adottò una posizione coerentemente internazionalista. Scrisse il manifesto di Zimmerwald che cercava di unire tutti gli oppositori rivoluzionari alla guerra. Nel 1917, giocò un ruolo dirigente nell’organizzare l’insurrezione di Pietrogrado. Dopo la rivoluzione d’Ottobre Trotsky divenne il primo commissario degli affari esteri e fu incaricato dei negoziati con i tedeschi a Brest Litovsk. Durante la sanguinosa guerra civile, quando la Russia sovietica era invasa da 21 eserciti stranieri, e quando la sopravvivenza della rivoluzione era appesa a un filo, Trotsky organizzò l’Armata Rossa e guidò personalmente la lotta contro le armate bianche controrivoluzionarie, viaggiando migliaia di chilometri sul famoso treno blindato. Il ruolo di Trotsky nel consolidare il primo Stato operaio della storia non si limitò all’Armata Rossa. Egli giocò un ruolo dirigente, insieme con Lenin, nella costruzione della Terza internazionale, di cui scrisse i manifesti ai primi quattro congressi e molti dei documenti più importanti; nel periodo di ricostruzione Trotsky riorganizzò il disastrato sistema ferroviario dell’Urss. Inoltre Trotsky, che fu sempre uno scrittore prolifico, trovò il tempo per scrivere studi penetranti, non solo su questioni politiche, ma anche sull’arte e la letteratura (Letteratura e rivoluzione) e anche sui problemi che la gente incontra nella vita di tutti i giorni nel periodo di transizione (Problemi della vita quotidiana). Dopo la morte di Lenin nel 1924, Trotsky guidò la lotta contro la degenerazione burocratica dello Stato sovietico, una lotta che Lenin aveva cominciato dal letto di morte. Nel corso della lotta, Trotsky fu il primo a proporre l’idea dei piani quinquennali, a cui si opposero Stalin e i suoi seguaci. In seguito, solo Trotsky continuò a difendere le tradizioni rivoluzionarie, democratiche e internazionaliste dell’Ottobre. Con opere come La rivoluzione tradita, In difesa del marxismo e Stalin, fu l’unico a fornire un’analisi scientifica marxista della degenerazione burocratica della rivoluzione russa. I suoi scritti del periodo 1930-1940 contengono un tesoro di teoria marxista, che spazia dai problemi immediati del movimento operaio internazionale (la rivoluzione cinese, l’ascesa di Hitler in Germania, la guerra civile spagnola), a una vasta serie di questioni culturali, artistiche e filosofiche.

sabato 17 agosto 2013

NESSUNA “REDENZIONE” PER CHI VA A FONDO


di Norberto Fragiacomo


Chissà perché, in una giornata finalmente fresca - che rende lo studio, se non piacevole (non lo è mai), perlomeno sopportabile - mi si riaffaccia alla mente un pomeriggio di una dozzina di anni fa, azzurrissimo e mosso dal vento. Camminavo per via S. Pasquale, a Trieste, e rimuginavo su alcune questioni che, il giorno successivo, sarebbero diventate un articolo di giornale – un articolo che avrebbe conquistato la prima pagina (su quattro) della Voce libera, il settimanale della LpT. L’argomento era la Costituzione europea, allora in gestazione, e le mie valutazioni in merito – molto astratte, invero - erano positive, sebbene nutrissi dei dubbi. 

venerdì 16 agosto 2013

Rifondazione verso il Congresso : documento degli "autoconvocati" di Roma

Riceviamo e volentieri pubblichiamo nell'ottica di favorire il dibattito nella Sinistra ...


“Aqui no se rinde nadie!”.
Proposta di discussione dei gruppi di lavoro autoconvocati dei comunisti e delle comuniste di Roma
(Roma, 14-30 giugno 2013)      

Minima moralia
di Bertolt Brecht

L’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro.
Gli oppressori si fondano su diecimila anni.
La violenza garantisce: com’è, resterà.
Nessuna voce risuona tranne la voce
di chi comanda,
e sui mercati lo sfruttamento dice alto:
solo ora io comincio.
Ma fra gli oppressi molti dicono ora:
quel che vogliamo non verrà mai.

Chi è ancora vivo non dica: mai!
Quel che è sicuro non è sicuro.
Com’è, così non resterà.
Quando chi comanda avrà parlato
parleranno i comandati.
Chi osa dire: mai?
A chi si deve se dura l’oppressione? A noi.
A chi si deve se sarà spezzata? Sempre a noi.
Chi viene abbattuto, si alzi!
Chi è perduto, combatta!
Chi ha conosciuta la sua condizione,
come lo si potrà fermare?

Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani
E il mai diventa: oggi!

mercoledì 14 agosto 2013

PSIUP: UN PARTITO CHE AVREBBE POTUTO ESSERE STABILE





di Franco Astengo




“Psiup: un partito provvisorio” , il volume scritto da Aldo Agosti ed uscito recentemente per Laterza ha suscitato, un po’ inaspettatamente, un dibattito abbastanza vivace, forse riservato ad antichi “cultori della materia”, ma non privo di interesse sia per riferimenti “storici” sia al riguardo di comparazioni, non banali, relativi all’attualità riferita alla vera e propria “evaporazione” del sistema dei partiti.

In questo senso, però, dobbiamo davvero considerarci i reduci di un altro mondo, ma cercando anche di ritrovare la capacità di produrre indispensabili punti di riflessione.

Non ripercorro qui la parabola dei “socialproletari” (ho ancora nelle orecchie la voce tonante di un vecchio compagno meridionale : “Noi socialproletari”..) illustrata ampiamente nel libro (il terzo mi pare che esca su questa vicenda politica: dopo quello antico di Silvano Miniati esiste anche un testo di Baiardo che compara l’esperienza ligure con quella nazionale).

sabato 10 agosto 2013

IL TESORO DELLA SIERRA MADRE di Stefano Santarelli



IL TESORO DELLA SIERRA MADRE
di Stefano Santarelli

Nella sterminata produzione cinematografica hollywoodiana vi è un film che può vantare uno strano e fino ad oggi impareggiabile record: è l’unica opera in cui un padre ed un figlio hanno vinto entrambi un Oscar per lo stesso film. Ci stiamo riferendo, ed il lettore più informato se n’è già accorto, al “Tesoro della Sierra Madre” che nel 1948 permise al giovane John Huston di vincere il Premio Oscar per la Regia e la migliore sceneggiatura e al padre, Walter,  quello come migliore attore non protagonista.
Tratto da un romanzo di un misterioso ed enigmatico autore, B. Traven la cui identità non era nota neanche al suo editore, pubblicato in tedesco negli anni ’20, costituisce una spietata denuncia al materialismo e al capitalismo. Questo sconosciuto autore riteneva che se la gente non avesse avuto proprietà e non avesse avuto illusorie ambizioni non vi sarebbero state guerre ed il capitalismo sarebbe stato sconfitto. Inoltre in questo romanzo viene duramente contestata l’oppressione degli indiani da parte degli spagnoli ed è duramente critico sul ruolo della Chiesa cattolica in questa ingiustizia. Esso narra la storia di due avventurieri che nel Messico rivoluzionario coinvolgono un anziano cercatore d’oro in una caccia a questo metallo prezioso, ma quando verrà trovata una ricca vena d’oro nonostante il duro lavoro per estrarlo alla fine prevarranno l’avidità, il tradimento ed il furto e di questo tesoro non rimarrà più nulla.
Ma chiunque sia stato l’autore, questo romanzo venne pubblicato negli Stati Uniti nel 1935 e richiamò l’attenzione di un giovane sceneggiatore e regista della “Warner Brothers”: John Huston,  il quale nel 1941 aveva diretto e scritto la sceneggiatura di un capolavoro del cinema noir  “Il mistero del falco”  tratto dal celebre romanzo di Dashiell Hammett il quale già era stato portato sullo schermo nel 1931 e 1936 , peraltro senza successo.
In questo film il giovanissimo Huston con un budget molto limitato che lo obbliga a girare questa pellicola tutta in interni, realizza questo leggendario film grazie anche all’eccezionale interpretazione di Humphrey Bogart, il quale diventerà il suo attore preferito.
Huston fece di tutto per assicurarsi i diritti del romanzo di Traven volendo fare del “Tesoro della Sierra Madre” una continuazione ideale del celebre film tratto dal romanzo di Hammett.
Il  romanzo di Traven era già stato scartato dai dirigenti della Warner Brothers in quanto era troppo triste. Non vi sono intrecci amorosi, non vi sono ruoli femminili e non vi è neppure un lieto fine. Oltretutto sia nel romanzo come nel film vi è un’atmosfera impregnata da una profonda malinconia. Insomma tutte caratteristiche negative per un film degli anni ’40/50.

venerdì 9 agosto 2013


PRIMA DEL DISASTRO !
Sinistra Unita ? Facciamo Presto !

Compagna, compagno , Firma anche Tu l'Appello di Bandiera Rossa !
http://firmiamo.it/sinistra-unita---facciamo-presto

La differenza fra ripresa e rimbalzo congiunturale, di Riccardo Achilli


di Riccardo Achilli


La ripresa è un movimento ascendente di medio periodo del ciclo economico, caratterizzato dalla ricostituzione degli elementi di base dell'accumulazione: la possibilità di anticipare il capitale monetario necessario agli investimenti, cioè lo sblocco del credito bancario, la possibilità di accumulare plusvalore assoluto e relativo, tramite l'incremento dell'occupazione e/o della produttività dei fattori (che per semplicità possiamo ricondurre a lavoro, vivo o morto), la possibilità di rendere solvibile la produzione tramite i consumi.

Ora, il sussulto ascendente che il ciclo avrà a partire dal terzo trimestre di quest'anno, e prevedibilmente anche nella prima metà del 2014, sarà accompagnato dal prosieguo del credit crunch, del calo dell'occupazione e di indici di produttività stagnanti su livelli molto bassi, da una domanda interna oramai defunta, e da una domanda internazionale sulla quale peseranno come macigni il rallentamento della crescita degli USA, alle prese con il risanamento del bilancio federale, i primi segnali di recessione su un mercato di esportazione strategico come quello tedesco, la forza relativa dell'euro sul dollaro, la crescita non brillantissima di molti BRICS (alle prese anche con le proprie contraddizioni strutturali, come la Cina).

8 Agosto 1956 : 262 minatori morivano a Marcinelles

PADRONI E "DATORI DI LAVORO"




PADRONI E "DATORI DI LAVORO"
Vita di delegato (VI)


di LORENZO MORTARA
RSU Fiom-Cgil Rete28Aprile



È dai particolari più insignificanti che a volte emergono dalle assemblee gli spunti più interessanti.
Ci sono operai che ti rimproverano di usare ancora il termine padrone, sorpassato a loro dire, e ti pregano di sostituirlo con “datori di lavoro”.

giovedì 8 agosto 2013

UN COLORE STAMPATO SULLA PELLE








E così Berlusconi è stato condannato in via definitiva, la sua sembra più la storia di un papa che va in “cattività” avignonese (in questo caso dovremmo dire graziolese o arcorese…vedremo) che quella di un normale “galeotto”.
È il primo politico di spicco a subire questa sorte, sarà anche l’ultimo? Non ci è dato di saperlo.
Fatto sta, che dall’abbattimento della prima Repubblica, o per lo meno dall’azzeramento di tutta la sua nomenklatura politica, tranne quella della opposizione consociativa, che si è allegramente e impunemente riciclata e che perdura così da più di 30 anni, ben più di “papa Silvio”, Berlusconi è l’unico politico che affronta un processo (purtroppo per lui pare che non sia l’ultimo) e ne esce con una condanna definitiva, anche se ridotta ad un anno e in una “prigione dorata”.

martedì 6 agosto 2013

Risposta a Roberto Napoletano - per riavere un nuovo giovane Giulio Natta, di Renato Costanzo Gatti


di Renato Costanzo Gatti

Pubblichiamo di seguito la risposta data da Renato Costanzo Gatti all'editoriale del direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, del 4 luglio scorso. 

Dopo aver pubblicato due lettere di giovani cervelli emigrati, il direttore affronta sul suo Memorandum sul Domenicale del 4 agosto, “l’irrisolta questione italiana, università e città che attraggono sempre meno e una classe politica delegittimata e litigiosa, in un clima segnato da un prolungato (nefasto) vuoto di coscienza civile. Quella di un Paese che si è abituato a tutto, smarrendo il senso dell’indignazione, e assiste inerme allo stravolgimento delle regole e alla giustificazione di ogni angheria rassegnandosi all’inevitabile declino. Bisogna fare in modo (e farlo subito) che i nostri ragazzi scelgano di vivere e di lavorare in Italia per la semplice ragione che qui, non altrove, si vive meglio e si lavora con maggior soddisfazione. Abbiamo bisogno di una classe politica che ci regali un nuovo Giulio Natta, l’uomo che inventò il propilene isotattico, le vaschette di plastica Moplen, negli anni del miracolo economico. Abbiamo (disperato) bisogno di incidere nella architettura istituzionale dello Stato e di costringere le sue mille burocrazie a rinunciare al gioco (tutto italiano) di bloccare chi vuole solo creare lavoro e spegnere sul nascere ogni spirito di intrapresa. Il Paese ha bisogno di un Governo e di una classe dirigente che sappiano fare queste cose, non di altro, per ritrovare la fiducia e risalire la china”.

Signor Napoletano Roberto
Direttore de Il Sole 24 ore
Vorrei ringraziarla per il suo articolo sul Sole di domenica, e vorrei integrare il suo racconto su Giulio Natta con la seguente pagina di Patrizio Bianchi tratta dal suo libro “La rincorsa frenata” (acquistato da me a seguito della recensione del suo domenicale.

lunedì 5 agosto 2013

Tanto rumore per poco, di Riccardo Achilli


Riccardo Achilli

Rispetto alla sceneggiata politico/giudiziaria messa in campo da Berlusconi e dai suoi, con tanto di manifestazione a Roma, ho la sensazione, ovviamente non suffragata da dati, che nei prossimi mesi finirà più o meno così: Napolitano non concederà alcuna grazia, anche perché tecnicamente impossibile, ma soprattutto perché l'unica linea di compromesso disponibile, come dichiarato subito dopo l'emanazione della sentenza di Cassazione, è una riforma della giustizia, che necessariamente sarà concordata fra PD e PDL. All'interno di quella riforma, potrebbe essere, ad esempio, consentito al PDL di inserire una norma abrogativa della previsione del d. lgs. "anticorruzione" approvato dal Governo Monti il 6.12.2012, in cui si abrogherebbe il vincolo di incandidabilità per sei anni di chi è stato condannato in via definitiva per pene non superiori ai 4 anni. Ed al contempo, sempre a titolo di ipotesi, tramite una separazione delle funzioni accompagnata dalla riconduzione della magistratura requirente sotto il controllo politico del Ministro, si potrebbe anche ottenere quel "riallineamento" dei Pm da sempre chiesto a gran voce dal PDL. Il grido d'allarme lanciato da una esponente di Magistratura Democratica, proprio ieri, lascia intendere che in alcuni settori della magistratura c'è inquietudine.  

venerdì 2 agosto 2013

DE GREGORI E CACCIARI: CANZONCINA E LECTIO MAGISTRALIS di Norberto Fragiacomo




DE GREGORI E CACCIARI: CANZONCINA E LECTIO MAGISTRALIS
di
Norberto Fragiacomo

Pare che sia tornato improvvisamente di moda interrogarsi sull’esistenza, o piuttosto il persistere, di una distinzione concettuale tra “sinistra” e “destra” nel mondo contemporaneo. Non che il dibattito fosse spento (dopo le conclusioni del mio omonimo Norberto Bobbio ci sono stati vari interventi sul tema, fra i quali merita di essere segnalata la recente “provocazione” elettorale di Costanzo Preve), ma due outing in un solo giorno – il 31 luglio, in piena canicola – sono davvero troppa grazia: rinfocoleranno la languente polemica, e saranno seguiti, immagino, da prese di posizione e scambi accaniti.
Leggendo l’intervista all’icona Francesco De Gregori su l’Huffington Post si ha l’impressione di un equivoco – un equivoco in cui è caduto il cantante, non il lettore. La “sua” sinistra – dice – “si è persa”. In che senso persa? Beh, “si commuove per lo slow food e strizza l’occhio ai No Tav”. Cioè, traduciamo, prova ad opporsi, localmente, all’aggressione capitalista… no, tutto questo risulta sgradito all’autore de “Il canto delle sirene” e di tante altre liriche in musica. Lui, ad ogni buon conto, ha votato Monti alla Camera, appoggerebbe Renzi lo sparigliatore e detesta il M5S, favorevole – a suo dire – ad un referendum per uscire dall’euro.

A parte il fatto che non si capisce a quale “sinistra” si riferisca il cantautore (non certo al PD, che afferma di aver scelto al Senato: sulla TAV i bersaniani non hanno mai avuto un cedimento), il vero problema di De Gregori è che ad essersi perso è proprio lui. Se persino alcuni gemiti indistinti, qualche rigurgito di anticapitalismo gli danno l’orticaria è perché il giovane contestatore è diventato, da vecchio, un borghese come gli altri – anzi, più ricco e vezzeggiato (dal sistema) della stragrande maggioranza dei compagni di classe. La sua “ragazza del ‘95”, che vola sopra Gibilterra, finirà a fare la sguattera in qualche Mc Donald, ma lui non se ne cura: per i suoi simili, anche in tempi di crisi, l’agiatezza è assicurata. Non ha rubato nulla: alcune sue canzoni sono pura poesia. Ometta però di pontificare su argomenti che non lo riguardano: la sinistra – ammesso che ci sia, e che sia marxista – non è fatta per compiacere benpensanti benestanti.

giovedì 1 agosto 2013

ESPERIENZE E PROSPETTIVE IN FRANCIA di Gilles Martinet






Nel maggio 1975, il Partito Socialista francese, per uscire dalla crisi del sistema capitalistico con un'alternativa  di modello che desse centralità ai problemi del lavoro, approvava all'unanimità il socialismo dell'autogestione. Il punto di partenza era arrivare al potere con un programma comune alle altre forze della Sinistra, l'obiettivo dare centralità all'esperienza diffusa dell'autogestione pianificandola e ponendola in stretta relazione con gli enti locali, le regioni  e il potere centrale; per arrivare a trasformare profondamente le strutture dello Stato e il governo dei processi del lavoro durante una legislatura.
Qualche mese dopo, il grande socialista francese Gilles Martinet, scomparso qualche anno fa, in questo interessante articolo spiegava ai socialisti italiani impegnati in un importante dibattito sull'Alternativa socialista, le tesi del socialismo dell'autogestione portate avanti dal  Partito Socialista francese. Oggi rileggerlo può essere utile a chi voglia costruire finalmente un'alternativa di modello in questo Paese, perché vi è delineato un metodo generale per realizzare delle politiche del lavoro più efficaci e più giuste, in quanto pensate dal basso attraverso la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione delle aziende e sostenute e pianificate dallo Stato.

                                                                                                                                 Marco Zanier







ESPERIENZE E PROSPETTIVE IN FRANCIA

di Gilles Martinet




Perché la Francia è il paese in cui l'influenza delle idee dell'autogestione socialista, o meglio, diciamo, del“socialismo autogestito”, è oggi più forte?
A questa domanda non si può che dare una risposta complessa.
Innanzitutto, occorre ricordare che al principio del secolo il sindacalismo francese è sindacalismo di minoranza, ma rivoluzionario. Per i dirigenti e i militanti della vecchia Confederazione generale del lavoro (CGT) l'obiettivo è l'officina agli operai, la miniera ai minatori. Quei militanti sono operai altamente specializzati e pensano che non si possa essere rivoluzionari senza conoscere a fondo il proprio mestiere perché solo in questo caso è lecito sperare di prendere il posto del padrone.
Lo sviluppo della grande industria meccanica e, in seguito, la prima guerra mondiale frantumano questo movimento. Qui come altrove, è l'organizzazione di massa centralizzata che risponde alle esigenze di una classe operaia, la quale risponde allo sfruttamento capitalista ma è turbata dal problema delle competenze. Essa non si sente capace di gestire direttamente delle imprese ormai divenute troppo vaste e complesse. Ed è appunto ai partiti con vocazione operaia che la classe operaia darà la sua fiducia per poter tentare un giorno di governare in nome proprio e nei propri interessi.
La fiamma proudoniana, libertaria, svanisce ma la brace non è ancora del tutto spenta. Il fuoco si riaccenderà un mezzo secolo dopo in una delle tre organizzazioni sindacali francesi, la Confederazione francese democratica del lavoro (CFDT). 
E' infatti la CFDT a parlare per la prima volta di autogestione nel 1968, anche se è vero che questa formula era già stata utilizzata l'anno avanti da due delle sue federazioni, quella della chimica e quella dei tessili.
La ricomparsa del principio di autogestione nella CFDT non può essere separata dalle origini cristiane di tale sindacato. Esiste oggi in Francia un movimento socialista cristiano molto forte. Quello lo era assai meno, esso soffriva delle inibizioni  di fronte ai marxisti in genere e ai comunisti (o ex comunisti) in particolare e si sforzava di parlare il loro linguaggio. Ma nessuno si sente veramente a suo agio in un'identità presa in prestito.
Così, nel suo processo di espansione, il movimento socialista-cristiano ha sentito il bisogno di definire una dottrina originale che non fosse necessariamente cristiana, poiché il movimento andava spogliandosi del suo carattere confessionale, ma che non si confondesse con quella delle organizzazioni tradizionali, cioè la dottrina della socialdemocrazia e del comunismo.
Tuttavia, gli elementi che ho qui ricordati (cioè la ricomparsa di una vecchia tradizione sindacalista rivoluzionaria e l'evoluzione degli ambienti cristiani) non sono  elementi determinanti.
Niente di importante sarebbe avvenuto se dal maggio del 1968 non fossero emerse rivendicazioni e nuove forme di lotta. Queste rivendicazioni e queste lotte non costituiscono un fenomeno puramente francese. Queste rivendicazioni e queste lotte non costituiscono un fenomeno puramente francese. Le ritroviamo  in tutta l'Europa industriale e direi che, su questo piano, l'Italia è stata teatro di battaglie di ben altra ampiezza rispetto a quelle combattute in Francia. Il “Joint francais”, LIP, Rateau, le Nouvelles Galeries de Thionville, Manuest, eccetera, sono stati avvenimenti spettacolari e, a mio avviso, molto significativi, ma non rappresentano che una parte delle lotte di rivendicazione.
Comunque, qui come altrove, la contestazione delle condizioni di lavoro, il rifiuto dei vecchi metodi di direzione, di comando e di gestione, la volontà di controllo, la gestione democratica delle lotte hanno mostrato la loro forza durante gli ultimi sei o sette anni. E queste lotte costituiscono lo sfondo del quadro sul quale si sono andate affermando le idee dell'autogestione.
A tutto ciò occorre aggiungere un altro fenomeno, di cui si parla meno volentieri, a che è l'evoluzione di una non trascurabile parte dell'intellighenzia tecnica, la quale non accetta più la monarchia padronale.
Nel maggio del 1968 la maggior parte delle imprese, in cui sono stati realmente impostati i problemi di gestione, sono delle aziende che contano dal 25 al 50 per cento di quadri, di ingegneri, di ricercatori e di tecnici: industrie elettroniche, uffici di studio, laboratori medici, eccetera.
Non vi è dubbio che gli strati tecnici si trovano in una situazione ambigua. Essi forniscono al capitalismo i suoi migliori manager e al socialismo dell'autogestione una buona metà dei suoi teorici. Questa è la realtà di cui si deve tener conto.

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