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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 17 ottobre 2013

LA LEGGE DI STABILITA’ di Renato Costanzo Gatti




LA LEGGE DI STABILITA’
di Renato Costanzo Gatti

Non affronterò la legge di stabilità con il bilancino del farmacista per vedere se pagherò più o meno tasse, se avrò più o meno servizi, se il mio comune sarà in grado di sopravvivere. In effetti questa legge, così come è uscita, richiederebbe proprio il bilancino del farmacista, visto che il governo ha dato una regolatina a tutte le vitarelle della macchina pubblica senza quello slancio gagliardo che molti si aspettavano (non conoscendo bene né Saccomanni né Letta).
A mio parere la legge che è uscita denuncia in pieno la mia tesi su gran parte del pensiero del PD , e la mia tesi è che quel partito, che pur, in parte, si vanta di essere l’erede della tradizione marxista italiana così come interpretata dal PCI , non ha elaborato fino in fondo la natura socio-economica della crisi che stiamo attraversando. Quel partito dimostra cioè, così come avevo temuto, di non interpretare la crisi come una crisi sistemica e profonda del capitalismo nella sua versione finanziaria, ma di considerarla come un incidente di percorso nel virtuoso procedere del capitalismo finanziario stesso, dove è sufficiente osservare parametri apodittici dei trattati e soprattutto limitare l’ingerenza dello stato nell’economia, per calmare l’ira del mostro capitalistico, e poi il mercato avrebbe pensato a risolvere i difetti dei singoli paesi dell’unione e far convergere i fondamentali come premessa di un rilancio dello sviluppo e dell’Europa.


In questo contesto il governo Letta si è dimostrato la continuazione del governo Monti, governi ambedue esecutori della lettera Trichet-Draghi come guideline della politica italiana. Il governo Monti ha salvato l’Italia dall’immediato default, il governo Letta fa bene i suoi compitini su quella falsariga; entrambe i governi stanno nel contempo affossando il paese in una recessione che si sta avvitando in modo preoccupante verso la depressione. Ambedue i governi dimostrano, a mio modo di vedere, di non capire la natura della crisi che stiamo attraversando, quindi stanno prendendo iniziative lodevoli ma inefficaci, inadeguate al problema che dobbiamo affrontare. Soprattutto, e nonostante i continui richiami e proposte di piani fatti dai sindacati e da Confindustria, non ci si rende conto che il nostro punto debole sta nell’economia reale.
A mio modo di vedere, noi stiamo attraversando una crisi schumpeteriana, nel senso che in queste fasi di distruzione creativa causata dalle nuove tecnologie, dai nuovi modi di produrre, dalle inaudite competizioni generate dalla globalizzazione, il nostro apparato produttivo, il nostro sistema paese, il nostro sistema imprenditoriale ne stanno uscendo decisamente sconfitti, quasi un’uscita dalla storia.
Hanno voglia a dire che si sarà la ripresa a cui agganciarsi. La
 ripresa, se ci sarà, avrà l’effetto di aumentare un po’ la domanda europea ma l’offerta italiana difficilmente e, sempre salvo le poche e virtuose eccezioni, non sarà in grado di dare risposte.
La fase schumpeteriana che stiamo attraversando richiede una riconversione nel modo di lavorare, nel cosa produrre, del come instaurare le relazioni industriali. Se come sistema paese ti adegui e ti prepari a questi mutamenti potrai non essere travolto dalla distruzione creativa, se vivacchi, se ti diverti con le vitarelle, sarai travolto da una concorrenza che ti annulla.
Per la prima volta, l’abbiamo ricordato, sindacati e Confindustria avvertono questa tematica, hanno proposto gli unici piani seri sia in campagna elettorale che successivamente; hanno concordato sull’esigenza di modificare sensibilmente la tassazione di lavoro e imprese, ma non sono stati ascoltati.

Ci risveglieremo da questo incubo in un paese emarginato, relegato ai margini dei paesi che contano, costretti ad individuare una zattera di salvataggio per cercare di sopravvivere.
Ben altre cose avrebbe dovuto fare il nostro governo (anche se così com’è fatto non avrebbe potuto mai farle): una patrimoniale seria e tosta per abbassare il debito e tranquillizzare i nostri creditori (e invece continuiamo a vendere gioielli di famiglia per tamponare il deficit senza intaccare il debito); una “golden rule” alla Delors per finanziare un piano di infrastrutture soprattutto nel campo telematico (non abbiamo ancora la banda larga); una scuola, una università produttrice di quel general intellect che sarà la classe critica dello sviluppo nel XXI secolo; una lotta al capitalismo finanziario (non si è neppure elevata la ritenuta dal 20 al 22% per le rendite finanziarie quando il più straccione dei nostri lavoratori dipendenti paga come aliquota più bassa il 23%).
Non mi sento all’altezza di stendere un elenco completo di cose da fare, il mio desiderio è quello di dare un senso, di dare consapevolezza ai compagni e ai cittadini di quali siano, a mio parere i termini della questione.




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