IL CONFLITTO IN SIRIA VERSO UNA IMMINENTE CONCLUSIONE.
LA RUSSIA NUOVO PROTAGONISTA DI PRIMO PIANO IN MEDIO ORIENTE.
di Giuseppe Angiuli
Alla fine del 2016, il sanguinoso conflitto che da quasi sei anni
investe la Siria è parso essere giunto ad una svolta decisiva con la completa
liberazione di Aleppo da parte dell’Esercito Arabo Siriano, che ha costretto
alla resa gli ultimi componenti del vasto arcipelago jihadista da tempo asserragliati nella zona orientale di quella città
che, fino allo scoppio della guerra, era il polmone industriale del Paese.
La probabile imminente fine di questa guerra, che sta vivendo il suo
momento culminante anche in conseguenza della recente affermazione di Donald
Trump nella corsa alla Casa Bianca, ci impone di provare a fare un po’ di
chiarezza sui reali contorni di questa importante vicenda geopolitica, tenendo
conto che, come ammoniva George Orwell, ogniqualvolta scoppia una guerra, la
prima vittima a morire è sempre la verità.
In questi ultimi sei anni, la nazione siriana, da
tanti decenni bastione del nazionalismo laico-socialista all’interno del mondo
arabo, ha subito un’aggressione politico-militare di proporzioni mastodontiche,
che ha visto coinvolti, quali attori protagonisti ancorchè recitanti solo da dietro
le quinte, i principali governi dell’occidente, a cominciare da quello degli
Stati Uniti d’America, oltre alle petromonarchie del Golfo ed alla Turchia.
Com’è noto, la fase di destabilizzazione della
Siria è iniziata nel febbraio del 2011 con la cosiddetta operazione delle “Primavere
arabe”, una strategia elaborata dall’amministrazione Obama ma con
l’appoggio e la condivisione anche dei settori neocons dell’establishment
nordamericano.
E’ bene essere tutti consapevoli di come tale operazione,
nonostante sia stata descritta dai massmedia occidentali e da Al
Jazeera come una rivolta popolare spontanea, in realtà era stata
concepita fin dal principio all’interno di ben determinati centri strategici
occidentali come una larga operazione di destabilizzazione del medio oriente.
Alla fine dell’estate del 2015, dopo 4 anni e mezzo di intensi
combattimenti sul campo, il legittimo Governo siriano guidato dal leader baathista moderato Bashar al
Assad si è reso consapevole dell’impossibilità per il suo esercito di tenere
testa al vasto arcipelago di gruppi di miliziani islamisti radicali che avevano
invaso il territorio della nazione araba fin dal 2011 su mandato dei governi di
U.S.A., Francia, Gran Bretagna, Turchia, Qatar e Arabia Saudita e con un
malcelato appoggio da parte di Israele.
Le ragioni di tale perdurante impossibilità, per l’Esercito Arabo Siriano,
di riuscire a fronteggiare da solo le milizie islamiste, sono state essenzialmente
due: in primo luogo, il numero massiccio degli insorti, pari a molte decine di
migliaia di unità (mai esattamente stimate, data la natura irregolare o “coperta” delle stesse milizie islamiste)
e reclutati da un gran numero di Paesi stranieri tra cui Libia, Tunisia, Yemen,
Arabia Saudita, Kossovo, Afghanistan, Pakistan, Cecenia; in secondo luogo, la indubbia
capacità degli islamisti di impegnare l’esercito di Damasco contemporaneamente su
più fronti, quale conseguenza del fatto che essi sono riusciti per un lungo
tempo ad infiltrarsi nel territorio siriano da più parti, dal confine giordano
a quello libanese, da quello turco a quello con l’Iraq.
Dopo un
lungo periodo di grandi difficoltà per l’esercito di Assad, le sorti della
guerra sono mutate di 180 gradi soltanto nel settembre 2015, allorquando il governo russo, su richiesta del
governo di Damasco, ha preso la decisione di intervenire direttamente nel
conflitto con massicci bombardamenti dai cieli su tutte le postazioni delle
formazioni islamiste, a cominciare dall’ISIS e dal Fronte Jabath al Nusra.
Il dispiegamento militare di Mosca nel conflitto
siriano, che non ha precedenti per intensità nella storia di questi ultimi 30
anni, unito ad un’opera di abile tessitura politico-diplomatica da parte di
Putin, ha ribaltato clamorosamente le sorti del conflitto a tutto vantaggio
delle truppe regolari siriane ed ha permesso ai russi di ripresentarsi sullo
scenario globale con un ruolo di inedito protagonismo geopolitico, costringendo
l’occidente ed il mondo intero, per la prima volta dal 1991, a dovere fare
seriamente i conti con loro.
Si è detto che nel mese di dicembre 2016, con la completa liberazione di
Aleppo, la guerra è sembrata essere giunta finalmente ad una svolta decisiva,
consentendo al governo di Assad di recuperare il controllo sulla seconda città
più importante della nazione, la cui zona orientale per circa 4 anni era finita
sotto l’egida di milizie islamiste ben decise ad imporre la legge della sharìa islamica a tutta la popolazione,
nonostante che ad Aleppo sia da 2.000 anni fiorente una cospicua comunità
cristiana.
La reale natura del conflitto siriano quale atto proditorio di
aggressione ad uno Stato-nazione sovrano non ha potuto più essere negata
allorquando il 16 dicembre 2016, nelle fasi culminanti della liberazione di
Aleppo, è stato scoperto un centro di comando, allestito segretamente in un bunker-scantinato nella parte est della
città, al cui interno sono stati sorpresi ufficiali della NATO e diversi membri
di forze speciali di nazionalità statunitense, turca, israeliana, giordana e
saudita, tutti aventi funzione di consiglieri militari coperti per i miliziani
islamisti assedianti il territorio siriano[1].
Non si può altresì negare che, a favorire tanto il cessate il fuoco ad
Aleppo quanto la conseguente ed assai probabile stabilizzazione pacifica in
tutto il Paese, ha senz’altro contribuito
la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali nordamericane del 9
novembre 2016: il neo-eletto Presidente U.S.A., infatti, dopo avere
accusato apertamente Hillary Clinton di avere armato e finanziato l’ISIS e le
altre formazioni legate ad Al Qaeda,
appare oggi assai deciso nella sua volontà di mutare di 180 gradi la politica
estera del suo predecessore Obama, a cominciare da un inesorabile ritiro di
Washington dalla regione medio-orientale e da una distensione negoziata con la
Russia su tutti i dossier principali aperti
in agenda, senza escludere il possibile ritiro delle sanzioni verso Mosca a cui
tutta l’Unione Europea, su diktat di
Obama, si era placidamente allineata.
Pertanto, volendo provare a tirare le somme sulla complessa vicenda siriana
da un punto di vista geopolitico, va detto che la prossima, probabile ed
imminente conclusione della guerra vedrà come assoluto protagonista vincente Vladimir Putin, il quale, oltre ad avere
avuto la meglio da un punto di vista militare in un difficile ed intricato
conflitto regionale, è altresì riuscito
nell’impresa di fare assurgere la Russia al ruolo inedito di attore
protagonista di primo piano in tutto il medio oriente.
Tale ruolo di Mosca sarà sancito dall’imminente svolgimento dei
negoziati di pace in programma il prossimo 23 gennaio ad Astana, in Kazakistan,
che vedranno la partecipazione del governo siriano e delle opposizioni che
hanno accettato di aderire al cessate il fuoco, il tutto sotto il patrocinio
dei governi di Mosca, Ankara e Teheran.
Volendo elencare i recenti successi geopolitici di Mosca, andando
nell’ordine, Putin ha avuto la meglio anzitutto per avere saputo creare un’efficiente
struttura di informazione e coordinamento militare nelle operazioni in Siria,
insediata a Baghdad nel settembre 2015, a cui hanno preso parte i governi
dell’Iraq, dell’Iran e della stessa Siria, oltre ai responsabili del movimento
politico-militare sciita libanese Hezbollah,
anch’essi protagonisti attivi sul campo a sostegno del governo e dell’esercito
di Assad: l’ottimo funzionamento di tale struttura di comando integrato, unito
alla qualità tecnologica degli armamenti russi, sembra avere posto le basi per
una futura e solida alleanza politico-militare tra il governo russo e le
suddette entità, senza trascurare che, da ultimo, anche l’Egitto del
maresciallo Al Sisi ha manifestato il suo interesse ad una sempre maggiore
cooperazione politico-militare con Mosca.
In secondo luogo, va evidenziato che Putin è riuscito a convincere con
toni fermi il recalcitrante Benjamin Netanyahu a non interferire con le operazioni russe nel territorio siriano, di
fatto costringendo Israele a riconoscere la supremazia della Russia nell’intera
regione del vicino oriente.
Ma il più grosso capolavoro politico-diplomatico Putin lo ha compiuto
con il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, già sponsor in prima fila dell’ISIS e degli aggressori islamisti della
Siria: resosi conto che il suo appoggio all’islamismo wahabita avrebbe potuto
ritorcersi in futuro contro la stessa Turchia e reso edotto dei piani
nordamericani tesi a favorire la nascita di un nuovo Stato curdo indipendente
nei territori a cavallo tra Siria e Turchia, Erdogan ha improvvisamente mutato
di 180 gradi il suo orientamento in politica estera, innescando un clamoroso disallineamento
del suo Paese dalle direttive dell’alleanza atlantica.
Infine, per ammansire la monarchia assoluta del Qatar, Putin ha offerto
al governo del piccolo Stato del Golfo Persico una proposta a cui non si poteva
rinunciare: in cambio della sua cessazione dell’appoggio ai miliziani islamisti
attivi in Siria, la petromonarchia del Qatar ha recentemente accettato di
acquisire la quota di un quinto delle azioni della Rosneft, la grande compagnia
energetica controllata dal governo russo.
Nel contesto descritto, se il neo-eletto Presidente americano Donald
Trump dovesse effettivamente confermare le sue ventilate idee circa un ordinato
ritiro statunitense dal medio oriente e, più in generale, di una netta
riduzione della proiezione di Washington al di fuori dei propri confini
nazionali, si profilerebbe una inedita fase geopolitica in cui sarà la Russia
di Putin a vedere sempre più in ascesa la sua influenza in una regione, quella
medio-orientale, il cui controllo risulta da tempo decisivo per le sorti del
mondo.
L’allora segretario del PD Pierluigi Bersani nel
2012 ad una manifestazione a sostegno delle fazioni islamiste operanti in Siria
In tutto ciò, stupiscono non poco la passività, la miopia politica e
l’assenza di lungimiranza dell’attuale classe dirigente governativa italiana,
specie di quella legata al Partito Democratico, che fin dalle prime fasi della
crisi siriana, al solo fine di compiacere Obama, ha sposato una
discutibilissima ed incauta linea di appoggio acritico ed incondizionato a
tutte le fazioni del ribellismo islamista ossia a quelle fazioni che, in
assenza dell’intervento russo nel conflitto, avrebbero rischiato di trasformare
la Siria, una delle più antiche e gloriose civiltà del mondo, culla del
cristianesimo, in un califfato medievale basato sulle leggi della sharìa.
Risorgimento Socialista, da questo punto di vista, auspica che l’Italia possa il prima possibile riscoprire la sua nobile tradizione di soggetto mediatore ed attento interlocutore dei vari attori in politica estera, specie nell’area mediterranea a noi prossima, riprendendo quel ruolo autorevole che il nostro Paese aveva in tempi ormai non più vicini, in cui a dominare la scena vi erano statisti del calibro di Enrico Mattei, Aldo Moro e Bettino Craxi.
Giuseppe Angiuli
Responsabile Esteri per Risorgimento Socialista
Risorgimento Socialista, da questo punto di vista, auspica che l’Italia possa il prima possibile riscoprire la sua nobile tradizione di soggetto mediatore ed attento interlocutore dei vari attori in politica estera, specie nell’area mediterranea a noi prossima, riprendendo quel ruolo autorevole che il nostro Paese aveva in tempi ormai non più vicini, in cui a dominare la scena vi erano statisti del calibro di Enrico Mattei, Aldo Moro e Bettino Craxi.
Giuseppe Angiuli
Responsabile Esteri per Risorgimento Socialista
[1] Fonte:
http://www.voltairenet.org/article194622.html.
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