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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 4 settembre 2017

LA SINISTRA NELLA GABBIA ELETTORALE di Norberto Fragiacomo






LA SINISTRA NELLA GABBIA ELETTORALE
di
Norberto Fragiacomo



Quello di sinistra è oggi un concetto talmente vago (“poroso” lo definì Massimo Cacciari) da poter acquisire un significato, agli occhi dei militanti meno intorpiditi, soltanto se declinato nei termini di un radicale antagonismo nei confronti di un sistema – l’attuale - che succhia il sangue delle masse a beneficio dell’èlite, spazzando via i diritti e blindando i privilegi.

Non possono essere quindi ascritti alla categoria partiti di regime come il PD e l’SPD tedesca, che si distinguono dai “conservatori” esclusivamente per la maggiore disponibilità a servire le lobby transnazionali, né – concentrando la nostra attenzione sull’Italia – una bizzarra creatura politica qual è il MDP (Mendicanti di Poltrone? Menestrelli del Potere finanziario? Mantenuti dal Popolo? No: Movimento dei Democratici e Progressisti: formula vuota che significa meno di niente, a parte una manifesta adesione al modello culturale statunitense), totalmente succube del liberalcapitalismo egemone e che si è distaccata dal Partito Democratico solo per difendere miserabili interessi di “ditta”. Una prova? Quando Renzi, bluffando, asserì di voler ridiscutere il devastante Fiscal Compact (ma non il pareggio di bilancio in Costituzione, attenti, che pure del trattato è una conseguenza), l’estroso Pierluigi Bersani lo rampognò, dichiarando la propria sempiterna fedeltà all’Europa dei mercati. Questa gente, che ha votato tutti i provvedimenti antipopolari del Governo Renzi, è in un certo senso peggiore del fiorentino, perché cela la propria identità di destra (quella economica: la più spietata) dietro vacue parole d’ordine di sinistra, buone ad imbonire il volgo.

 Tralasciando l’avvocato Pisapia, un liberale che parla benino e guadagna molto meglio, incontriamo poi Sinistra Italiana, una setta di buonisti ottimamente rappresentata dalla permalosa Presidentessa Boldrini, che auspica la sostituzione degli italiani “mancanti” con popolazioni venute da Asia e Africa, in vista della creazione de “l’uomo medio”, l’osceno ibrido sradicato e consumista che piace a Eugenio Scalfari. Paladini dei soli diritti che non nocciono al Capitale – quelli civili – costoro fanno del razzismo all’incontrario, accusando l’operaio e il disoccupato di colpe commesse, secoli fa, dai potenti di allora, cui i nostri si sarebbero senz’indugio accodati.

Ad ogni modo, tutte queste sigle menzognere sono europeiste (nel senso di filo-UE), filo atlantiche e interclassiste: al pari del M5Stelle, che lecca senza vergogna il sedere alla Trilateral, esse sono nient’altro che tessere del puzzle sistemico. L’unica differenza sta nel fatto che i pentastellati si candidano a prendere il posto del PD nel classico schema duale, le altre due formazioni puntano, domani come oggi, agli avanzi.

Rimane la sinistra antagonista, che di antagonista ha ben poco. Con l’eccezione di qualche ambizioso capetto, non meritano manco troppi rimbrotti: figli dei tempi, in quelli annaspano e restano immersi. Il liberalcapitalismo ha oramai colonizzato l’immaginario collettivo; in più – per dirla con Guccini, incendiario diventato piddino – “il nemico si fa d’ombra”: le sue capacità di mimesi sono impareggiabili. Il fascismo, ai suoi tempi, fu un avversario temibile, ma franco: non si nascondeva, scolpiva e ostentava le sue indigeribili “verità” (nazionalismo, colonialismo, razzismo, autoritarismo, militarismo, interclassismo ecc.). Benché non avesse un’ideologia chiara, chiari e dichiarati – per quanto irraggiungibili – apparivano i suoi scopi: era un feroce leoncino. Il Capitale, invece, è una gigantesca golpe: per quanto avido, spietato e fortissimo, ostenta mansuetudine, ammantandosi di belle parole come “democrazia”, “diritti umani”, “accoglienza”, “parità”, “sviluppo” ecc. In tre decenni scarsi ha saputo impadronirsi dei concetti più elevati, svuotandoli totalmente di significato ma, al contempo, trasformandoli in armi contro qualsiasi oppositore: chi ne contesta il contenuto si scontra col contenitore, e l’urto basta a metterlo fuorigioco. Se si esprimono dubbi sull’accoglienza indiscriminata si è razzisti, se ci si oppone a questo simulacro di democrazia si viene tacciati di nostalgie autoritarie, e così via: il Capitale – lo ripeto – ha conquistato il nostro vocabolario. La sinistra c.d. radicale si è adeguata per mancanza di coraggio e forza di cose, riducendosi a contestare gli “eccessi” di un modello che sull’eccesso si fonda. I nostri “antisistema” non cacciano la tigre: auspicano che, ad onta della sua dentatura, si nutra d’erba. Papa Francesco fa lo stesso, ma è il suo lavoro di prelato: per questo gli riesce assai meglio. Di fatto, i nostri antagonisti hanno fatto proprie regole fissate da altri, e interiorizzato taboo funzionali a preservare lo status quo: ecco allora il pacifismo soppiantare gli afflati rivoluzionari, la ridicola ideologia gender farsi strada; eccovi le fantasie sull’Unione Europea da riformare (perché essere contro la UE significa essere fascisti, tuonava comicamente Ferrero) e quelle, tanto rassicuranti, sui presunti “errori” commessi da chi ci comanda. In sintesi: ecco la resa di chi, acconsentendo a partecipare al gioco delle tre carte, si è appiattito su una meschina prospettiva elettoralistica, elevando un accettabile ics per cento a proprio principale obiettivo. Da strumento fra i tanti per cambiare le cose le elezioni sono assurte a unico orizzonte: un buon risultato assicura il futuro, uno cattivo affligge. Non penso sia (sempre) una questione di malafede: superiori esigenze di sopravvivenza paiono imporre una siffatta strategia. Da un lato, per mantenere sedi e apparati partiti e partitucoli hanno necessità di danari, disciplinatamente elargiti (a sinistra) dagli eletti, che sono sempre di meno; dall’altro, con buona pace dei fanatici della rete, chi non compare sui media ufficiali semplicemente non esiste, e per comparire (dunque: per esistere) tocca essere rappresentati. Primum vivere, deinde philosophari… d’accordo: ma l’accettazione di questo schema implica una piena adesione al regime imperante, un’espressa – ancorché implicita – rinunzia a metterne in discussione le fondamenta. Pur di garantirsi la sussistenza, si finisce per annacquare quel che resta della propria identità patteggiando con formazioni pienamente allineate e conformiste: una scelta tanto consapevole quanto miope, che aggrava una situazione di partenza che già vede intellettuali e militanti di sinistra quotidianamente influenzati da un contesto (tipologie e ritmi di lavoro, mode, modelli formativi e informativi ecc.) foggiato dal sistema di produzione liberalcapitalista in ossequio alle sue priorità. Fra l’altro, come si può notare dagli esiti delle competizioni, questa acquiescenza non salva dall’estinzione “forze” che hanno perduto qualsivoglia capacità di agire e di incidere sul reale. Il problema non è tanto il linguaggio desueto che rinfacciavo al pur rispettabilissimo Marco Ferrando (che alle elezioni presenta il suo PCL per nobilmente mostrar bandiera), quanto l’assenza di fatti. Rinveniamo qualche eccezione? Anni fa colloquiai con Marco Rizzo, nella sede romana del suo movimento: disse che delle elezioni poco gli importava (anche se lo scorso anno ha messo in campo un candidato Sindaco e una lista, alle comunali capitoline), gli premeva piuttosto forgiare un nucleo numeroso di militanti affidabili. Continua a sembrarmi un’ottima idea, che però andava tradotta in pratica prima: questa crisi artificiale ha già cambiato il mondo, e il suo superamento – strombazzato dai media di regime e altrettanto virtuale – non ci riporterà al passato. Mi auguro, in ogni caso, che Risorgimento Socialista punti più a radicarsi nella società, distinguendosi per l’originalità del suo messaggio politico, che a pitoccare preferenze.

In questa epoca storica il primo e apparentemente umile compito della sinistra marxista consiste, a parer mio, nel recupero di un metodo critico atto ad analizzare e mettere in luce le gigantesche contraddizioni di un sistema che prospera sulle diseguaglianze, lo sfruttamento e la menzogna: si tratta di elaborare una visione della realtà che si sottragga ai format disponibili sul mercato, riconoscendo in moltissimi temi oggi appannaggio delle c.d. “sinistre” (esaltazione della democrazia formale, pseudoteoria gender, multiculturalismo esasperato e cancellazione delle identità nazionali e locali, preferenza per ciò che è estraneo alla nostra cultura materiale, accoglienza a tutti i costi, retorica dei diritti civili, europeismo acritico che fa disinvoltamente a meno delle radici, sostegno indiscriminato alle minoranze a discapito delle maggioranze) altrettante subdole sfumature del pensiero dominante. Quale sia poi il secondo compito, cui quello di comprendere e spiegare è propedeutico, dovrebbe esserci abbastanza chiaro: la radicale trasformazione dell’esistente, che può passare o meno per la strada elettorale.

Il Capitale maschera con estrema perizia il suo totalitarismo, ma lo faceva anche ai tempi di Karl Marx, che fu capace di smascherarlo. Cimentiamoci anche noi nell’impresa, se non vogliamo che la nostra presenza si riduca a confusa e reticente testimonianza o, peggio ancora, a una croce messa a caso a matita su un inutile pezzo di carta. 



 La vignetta è del Maestro Mauro Biani




 

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