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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 14 aprile 2011

TROTSKY E IL MASSACRO DI KRONŠTADT







TROTSKY E IL MASSACRO DI KRONSTADT

di Roberto Massari








Pubblichiamo dal libro di Roberto Massari "Trotsky"- ErreEmme edizioni - l'interessante lettura che l'autore offre sul ruolo del grande rivoluzionario russo durante la rivolta di Kronstadt.



La rivolta di Kronstadt è assurta a simbolo della repressione bolscevica per il movimento anarchico e libertario, a causa di una notevole presenza di insorti di tale orientamento, accanto agli operai di formazione bolscevica (quasi inesistente, invece, la presenza menscevica). Ciò ha fatto sì che le analisi dedicate all'avvenimento da parte anarchica brillassero più per lo sdegno (comprensibile) che per l'accuratezza della ricostruzione dei fatti. Si potrà consultare il buon lavoro di Paul Avrich, che pone veramente termine ad una diatriba pluridecennale sul carattere "conservatore" o "rivoluzionario" del soviet di Kronstadt, riassumendone l'orientamento politico nel modo seguente:
"Obiettivo degli insorti non era, pertanto, quello di mettere fuori legge il comunismo, ma di riformarlo, di liberarlo delle tendenze dittatoriali e burocratiche che erano emerse durante la guerra civile. Sotto questo profilo Kronstadt si avvicinava alle correnti di opposizione all'interno del partito, l' "opposizione della flotta", i centralisti democratici, e l'opposizione operaia delle quali condivideva sia il malcontento, sia la visione idealistica di sinistra". (1)
E' una delle pagine più tragiche e dolorose nella vita di Trotsky. Questi non ha avuto negli avvenimenti la parte determinante che gli si è voluto malevolmente attribuire, ma il fatto che egli abbia sempre rivendicato globalmente l'operato bolscevico nella vicenda, rende in fondo secondario l'accertamento in sede storiografica delle sue reali responsabilità dirette. E' un fatto che nell'autobiografia egli non parli minimamente dell'episodio (salvo un fugace cenno, p.430) dimostra l'entità del trauma politico provocato dalla decisione di reprimere la rivolta e di farlo per giunta nella forma di un massacro, inutile e sanguinoso, che tutte le fonti confermano.
Trotsky sorvola sulla vicenda scrivendo nel 1929 -quando ben altro "massacro" era in corso nelle campagne sovietica. Ma sarà costretto a tornarvi sopra lungamente, con evidenti difficoltà psicologiche, che si esprimeranno anche nella ripetitività degli argomenti giustificativi -le infiltrazioni delle guardie bianche, il pericolo di un'invasione, il caos- accompagnati in genere da veri e propri anatemi ideologici contro chi si fosse permesso di sollevare il problema dei diritti politici dei marinai e dei lavoratori di Kronstadt. Il problema, è comunque destinato ad essere risollevato. E ciò avverrà, ad esempio, nell'aprile del 1937, nel corso delle sessioni del Tribunale Dewey -convocato per controbattere alle falsificazioni contro Trotsky diffuse dalle istruttorie dei primo processi di Mosca. Ciò è anche comprensibile, se si pensa che uno dei componenti più importanti della Commissione giudicante è proprio il celebre anarchico italoamericano Carlo Tresca.
Trotsky è costretto a pronunciarsi pubblicamente e lo fa a settembre del 1937, sugli organi di stampa dell'Opposizione di sinistra internazionale. Ma il tono è talmente sbrigativo e liquidatorio da provocare la reazione di Victor Serge (Victor Lvovic Kibalcic, 1890-1947), il celebre rivoluzionario, romanziere, combattente antistalinista della prima ora, liberato dalla prigionia siberiana solo grazie ad una campagna internazionale del mondo della cultura occidentale.(2)
Si tratta, a nostro avviso, della personalità più forte politicamente e più ricca sul piano teorico, tra quanti si siano affiancati a Trotsky per aiutarlo nella sua battaglia. (3) Di origini russe (naturalizzato francese), figlio di un celebre narodniko e di provenienza anarchica egli stesso, Serge ci ha lasciato nella sua autobiografia, Memorie di un rivoluzionario (Firenze 1956) un affresco grandioso e letterialmente avvincente del passaggio in questo secolo dell'intellighenzia rivoluzionaria, dal pensiero libertario al comunismo. Il mancato incontro, all'indomani dell'Ottobre sovietico, delle tradizioni di uomini, esigenze culturali e principi teorici di queste due grandi correnti storiche, avrebbe per l'appunto rappresentato (secondo Serge, ma anche a nostro modesto avviso), la grande occasione perduta di questo secolo. Appasionato sostenitore sino alla fine dell'operato di Trotsky -cui dedicherà insieme alla vedova, Natalja Sedova, una celebre e sobria biografia- Serge non si dichiarerà mai convinto delle spiegazioni del "Vecchio" riguardo a Kronstadt: un episodio tra l'altro vissuto da lui in prima persona, trovandosi in Russia al momento del massacro. Nelle Memorie scriverà al riguardo:
"Il peggio era che la menzogna ufficiale ci paralizzava. Che il partito ci mentisse così, non era mai capitato... Dei manifestini diffusi nei sobborghi fecero conoscere le rivendicazioni del soviet di Kronstadt. Era un programma di rinnovamento della rivoluzione... La verità filtrava poco a poco, da un'ora all'altra, attraverso lo sbarramento di fumo della stampa letteralmente scatenata nella menzogna... Kronstadt aveva ragione, Kronstadt cominciava una nuova rivoluzione liberatrice, quella della democrazia popolare..." (pp.133-6)
A settembre del 1937, Serge rispondeva direttamente (in La révolution prolétarienne), augurandosi che possa finalmente vedere la luce, un grande bilancio dell'esperienza russa, concepito, però, "in uno spirito critico, se non autocritico" considerando per il momento "insufficienti e ingiuste da vari punti di vista" le poche righe da Trosky dedicate a Kronstadt.
E' inesatto che i marinai di Kronstadt abbiano avanzato dei privilegi... In seguito, quando si sono visti impegnati in una battaglia mortale, hanno formulato una rivendicazione politica estremamente pericolosa per quel momento, ma generale, sinceramente rivoluzionaria e quindi disinteressata: "dei soviet eletti liberamente".
Sarebbe stato facile evitare la rivolta, dando ascolto alle proteste di Kronstadt, discutendole, appagando anche le richieste dei marinai... Sarebbe stato più facile, umano, più politico e più socialista, dopo la vittoria militare riportata su Kronstadt da Voroshilov, Dybenko, Tuchacevskij, di non ricorrere al massacro...
Il massacro che ne seguì fu abominevole.
Le rivendicazioni economiche di Kronstadt erano talmente legittime, così poco controrivoluzionarie nella realtà, così facili da soddisfare che nelle stesse ore in cui venivano fucilati gli ultimi marinai, Lenin accoglieva quelle rivendicazioni facendo adottare la "nuova politica economica"... La Nep gli fu imposta dalle rivolte di Kronstadt, di Tambov ed altri luoghi".
Serge ricorda poi quanta ragione avesse avuto Trotsky, a febbraio del 1920, nel proporre la risoluzione sulla fine del comunismo di guerra che abbiamo ricordato e conclude attribuendo a Lenin la responsabilità per il ritardo del passaggio alla nuova linea, da cui doveva dipendere anche la tragedia di Kronstadt:
"Lenin lo fece respingere. Era come darsi la zappa sui piedi. Il suo errore doveva costare molte sofferenze e sangue al popolo russo. Perchè non dirlo? Noi non abbiamo bisogno della leggenda menzognera di un Lenin infallibile" (pp.178-80).
Ad ottobre sulla stessa rivista, Serge torna alla carica, ampliando il discorso e mostrando come Kronstadt fosse solo la punta di un iceberg che stava distruggendo le conquiste più significative della rivoluzione russa. L'autore di S'il est minuit dans le siècle, non lesina la propria sensibilità artistica, per tradurre in scarne parole il dramma di un epoca:
"Tutto in questa pagina cupa sembra prefigurare un avvenire del quale scrutiamo oggigiorno, divenuto ormai il presente, le tenebre...
Vent'anni dopo la prima rivoluzione socialista vittoriosa, noi ci sentiamo tutti vinti. D'una magnifica vittoria dei lavoratori, abbiamo visto nascere, sulla base della proprietà socialista dei mezzi di produzione, un regime inumano, profondamente antisocialista, per il trattamento che infligge all'uomo. Davanti a questi risultati, devono forse ricominciare le liti tra sétte? E i nostri comuni avversari non hanno buon gioco in apparenza?
E' facile (tanto da essere idiota) ricavarne come conclusione il fallimento delle rivoluzioni, del marxismo ecc.; facile per i riformisti dire: Ah, se avessero lasciato seguire le strade della democrazia! (Come se queste strade non fossero state percorse, ahimè, fino al peggior estremo, in Italia, in Germania e in Austria!). Facile per i libertari gridare: Ah, se avessero lasciato fare agli anarchici russi! Mentre la rivoluzione spagnola passa di sconfitta in sconfitta sotto i nostri occhi, malgrado l'egemonia degli anarchici nel movimento operaio...
Davanti ad un esperienza ventennale così vasta, non vedo che un atteggiamento fecondo: quello dell'analisi critica e del disarmo dello spirito di sétta".
Ed infine l'attacco più serio -perchè storicamente fondato- che qualcuno abbia mai rivolto a Trotsky dall'interno stesso del suo movimento:
"Mi sembra giusto constatare che a partire dalla fine del 1918-inizio del 1919, uno spirito di autorità, di intolleranza,di statalismo ad oltranza prevale sempre più sul Comitato centrale bolscevico, eliminando via via più brutalmente i principi dell'Ottobre. Nè Lenin, nè Trotsky non lo contrastano realmente, costretti piuttosto a servirsene. Essi affermano con ragione che la salvezza risiede nella massima fermezza, nella più forte organizzazione del nuovo Stato socialista, nella più rigorosa disciplina. Ma a ben riflettere, nullo di tutto ciò è incompatibile con la democrazia operaia, anzi il contrario".
Segue una lunga risposta di Trotsky, un'altra di Victor Serge, ed altri interventi ancora d'ambo le parti, con un aggravamento del tono, che si fa mano a mano più aggressivo da parte sopratutto del primo, sino alla rottura definitiva di rapporti politici con un articolo di Trotsky del giugno 1939.
E' una polemica affascinante, che varrebbe la pena di approfondire, come testimonianza del conflitto tra due grandi interpreti della storia e del pensiero politico moderno, e come discussione sulle finalità stesse del socialismo, sull'etica della rivoluzione ecc.
Nato su Kronstadt, lo scontro finisce così col coinvolgere la dimensione più generale della strategia rivoluzionaria, in rapporto ai problemi del presente: il presente di allora, ovviamente, fatto di stragi e atroci processi a Mosca, di sconfitta sanguinosa della guerra civile spagnola e di marcia inesorabile dell'umanità verso la barbarie del nuovo conflitto mondiale.
Serge svolge in tutto ciò la parte di avvocato del diavolo e pone chiaramente Trotsky in seria difficoltà nel giustificare le scelte di allora, e sopratutto nel dimostrare che esse non abbiamo avuto alcun rapporto con la successiva degenerazione del potere sovietico sotto la direzione staliniana.
Va detto comunque che, nel 1939, questa appare da anni a Trotsky come l'espressione politica di una nuova casta sociale, che egli definisce ormai apertamente come controrivoluzionaria sino in fondo. Il Vecchio non avrà forse cambiato idea su Kronstadt fino alla morte, ma appare evidente che sulla definizione del gruppo al potere in Urss il cambio c'è stato. E che cambiamento!
E' una conclusione amara, sul piano politico e personale, dietro la quale vi sono la sofferenza umana del militante e lo sconvolgimento di categorie di analisi marxista apparentemente consolidate.

_____________________________________________________
Note
(1) Paul Avrich, Kronstadt 1921, Milano 1971, p.172
(2) Ora in The Kronstadt Rebellion in the Soviet Union, Education for Socialist, New York 1973; Trotsky-Lénine sur Kronstadt, a cura di Pierre Frank, Paris 1976; o nella raccolta più completa, curata da Michel Dreyfus, di lettere ed articoli di V.Serge e L.Trotsky, La lutte contre le stalinisme. Textes 1936-1939, Paris 1977, da dove citiamo a nostra volta.
(3) Si veda lo stimolante lavoro di Attilio Chitarin,"V.Serge e L.Trotsky: i presupposti di un dialogo difficile (1926-1936)", nel numero speciale de Il Ponte dedicato a "Trotsky nel movimento operaio del XXsecolo", nov.-dic.1980

per gentile concessione della Massari Editore
dal sito Il marxismo libertario
http://stefano-santarelli.blogspot.com/

1 commento:

Anonimo ha detto...

LUTTO O FESTA ? (1)

Lenin è morto.

Noi possiamo avere per lui quella specie di ammirazione orzata che strappano alle folle gli uomini forti, anche se allucinati, anche se malvagi, che riescono a lasciare nella storia una traccia profonda del loro passaggio : Alessandro, Giulio Cesare, Lodola, Cromwell, Robespierre, Napoleone.
Ma egli, sia pure colle migliori intenzioni fu un tiranno, fu lo strangolatore della rivoluzione russa – e noi che non potemmo amarlo da vivo, non possiamo piangerlo da morto.
Lenin è morto, Viva la libertà !

Dopo la lettura di questo articolo Luigi Fabbri, esprime come segue le sue perplessità in calce ad un suo articolo dal titolo < Lenin e l’esperimento russo >:

P.S. – Avevo scritto questo articolo quando ho letto in Pensiero e Volontà nel n° 3 il trafiletto di prima pagina con quel brutto titolo . Le idee espresse in quelle poche righe sono all’incirca le mie; ma esse acquistano col titolo appostovi un sapore così acre, che urta contro il sentimento, anche di chi, come me, ci tiene ad essere e restare intransigentemente antibolscevico.

Segue la risposta di Malatesta :

Chiunque è ammesso a scrivere su Pensiero e Volontà, sia come membro della readazione sia come collaboratore ordinario o occasionale, espone liberamente le sue idee senza subire alcuna censura e – naturalmente – risponde di quanto scrive. Perciò mi affretto a dichiarare che sono io l’autore del trafiletto, titolo compreso, che ha provocato le osservazioni del Fabbri.
In fondo tra me ed il Fabbri non v’è sulla questione dissenso sostanziale : è una semplice differenza di stile, di modo di esprimersi. Io comprendo i motivi di sentimento e di opportunità che consiglierebbero di mettere fuori causa la personalità di Lenin, ma non mi sembrano sufficienti. I fatti di Russia dimostrano , dice benissimo il Fabbri ; ma lo Stato è fatto di uomini e si concreta nella fiducia negli uomini di Stato.
Lenin fu un tiranno e quando muore un tiranno è umano che ci si rallegri e faccia festa chi ha avuto amici e compagni carissimi perseguitati, torturati, fucilati per opera di quel tiranno, anche se esso tiranno fu all’inizio della sua carriera rivoluzionario sincero e come tale acclamato ed amato.
Io non metto nullamente in dubbio l’onestà e la sincerità di Lenin, ma questo non lo assolve di fronte alla Storia : Lodola e Torquemada furono anche essi fanatici sinceri, pronti a soffrire ed a sacrificarsi per la salvezza delle anime e la maggior gloria di Dio, ma furono tanto più nefasti quanto più grande fosse la loro sincerità.
Lenin ebbe una superiorità, forse unica, sul volgo dei tiranni e dei fanatici : egli sapeva adattarsi alle esigenze delle varie situazioni e cambiare di tattica secondo le circostanze senza mai perdere di vista i suoi fini, anzi metteva una certa civetteria a riconoscere i propri . E questo sarebbe un merito grande. Ma egli aveva fatto fucilare ( o sopportato che altri facesse fucilare ) come contro rivoluzionari coloro che quegli errori avevano denunziato prima di lui, ed era pronto a far fucilare, sempre come , chi non lo seguiva nelle sue evoluzioni e non si trovava a pensare in ogni momento proprio come la pensava lui in quel momento.
Questo mi sembra … eccessivo anche per un grand’uomo e per un !

ERRICO MALATESTA

Non posso non rilevare che le stesse riflessioni su Lenin si possono oggi applicare anche al comportamento dell’allora comandante della armata rossa Lev Trotsky!
Si dimentica poi che la strage compiuta a Kronstadt fu tanto più grave proprio in quanto effettuata su compagni che avevano reclamato il rispetto della promessa e parola d’ordine della rivoluzione che tutto il potere sarebbe rimasto ai liberi Soviet!
Non esistono attenuanti né di ordine teorico, né concettuale né tanto meno contingente o contestuali : SI SPARA AL NEMICO CHE ABBIAMO DI FRONTE E NON ALLA SCHIENA DI RIVOLUZIONARI !

Alfredo Mazzucchelli

(1) - Errico Malalatesta in Pensiero e Volontà, n° 3 del 3 Febbraio 1924

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