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venerdì 22 aprile 2011

La democrazia secondo Marx ed Engels


di Riccardo Achilli

Nella “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico”, Marx espone, fra l'altro, la sua visione della democrazia, poi ripresa, e specificata, anche da Engels. L'idea fondamentale è quella della separatezza fra società civile e società politica. Per Hegel, quanto per Marx, la società civile e lo Stato sono due entità divise ed anzi contrapposte. Hegel infatti: “parte dalla separazione della società civile e dello Stato politico, come due opposizioni fisse, come due sfere realmente differenti (...) questa separazione è certamente reale nel mondo moderno”. La società è caratterizzata dalla scissione di due sfere che da un lato formano il regno sociale dell’egoismo dilagante e degli interessi privati e, dall’altra, formano una dimensione politica che dovrebbe garantire l’interesse generale, ma dove questo si attua soltanto a livello formale. “Lo stato costituzionale, è lo Stato in cui l’interesse statale, in quanto reale interesse del popolo, c’è soltanto formalmente, ed esiste come una determinata forma accanto allo Stato reale” (ovvero la società civile con il suo intreccio di rapporti economico-sociali, che determina il posizionamento delle classi sociali e dei singoli individui).
Tale scissione si verifica anche a livello di singoli individui, che si sdoppiano, fra la loro vita sociale e la loro vita politica. Infatti, “nella repubblica come forma semplicemente particolare di Stato, l’uomo politico ha la sua peculiare esistenza accanto all’uomo non politico, all’uomo privato. La proprietà, il contratto, il matrimonio, la società civile, [...] appaiono qui come modi di esistenza particolari accanto allo Stato politico, come il contenuto, nei cui confronti lo Stato politico si comporta come la forma organizzatrice”.
Tutto ciò ha rilevanti conseguenze sulla natura stessa dello Stato democratico liberale. Infatti, la separazione fra società civile e società politica, con lo Stato che rappresenta solo formalmente gli interessi sociali, regolati invece nell'ambito della società civile, tramite i rapporti di produzione, crea un ceto politico di professione, sostanzialmente autoreferenziale e sganciato da chi dovrebbe rappresentare. Secondo Engels, “la società, per la tutela dei propri interessi comuni, si era provveduta di organi propri, all'origine mediante una semplice divisione del lavoro; ma col tempo questi organi, con in cima il potere dello Stato, si sono trasformati da servitori della società in padroni della medesima, al servizio dei propri interessi particolari. Il che, per esempio, è evidente, non solo nella monarchia ereditaria, ma anche nella repubblica democratica. In nessun paese i 'politici' formano una sezione della nazione così separata e così potente come nell'America del Nord. Quivi ognuno dei due grandi partiti che si scambiano a vicenda il potere viene a sua volta governato da gente per cui la politica è un affare, che specula sui seggi tanto delle assemblee legislative dell'Unione quanto dei singoli Stati […] e la nazione è impotente contro questi due grandi cartelli di politicanti che si presumono al suo servizio, ma in realtà la dominano e la saccheggiano.”
Ciò conduce Marx ad avere seri dubbi circa l'utilità stessa del sistema rappresentativo, tipico delle democrazie parlamentari. “La separazione dello Stato politico dalla società civile si manifesta come separazione dei delegati dai loro mandanti. La società delega semplicemente gli elementi della sua esistenza politica”. Tale forma di diffidenza per le democrazie parlamentari è sviluppata ulteriormente da Gramsci, secondo il quale nel processo elettorale “non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia 'esattamente' uguale. Le idee e le opinioni non 'nascono' spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di formazione, di irradiazione, di diffusione, di persuasione, un gruppo di uomini o anche una singola individualità che le ha elaborate e presentate nella forma politica d'attualità. La numerazione dei 'voti' è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l'influsso massimo appartiene proprio a quelli che 'dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze' (quando lo sono)”.
L'osservazione di Gramsci sulla sostanziale iniquità delle competizioni elettorali anticipa, bizzarramente, la fondamentale scoperta fatta in merito ai sistemi elettorali da un economista non certo marxista, Kenneth Arrow, e racchiusa nel famoso “teorema dell'impossibilità”. E' fondamentale sapere che si tratta di un teorema, quindi ha una dimostrazione matematica. L'enunciato di tale teorema è il seguente. Si ipotizzi che una società necessiti di adottare, tramite un processo elettorale, un ordine di preferenze tra diverse opzioni. Ciascun individuo della società ha un proprio ordine di preferenza individuale, che può esprimere per esempio tramite un voto. Il teorema considera le seguenti proprietà, che Arrow ipotizza rappresentare requisiti minimi per poter avere un sistema di voto equo:
Universalità: la funzione di scelta sociale derivante dal risultato del voto deve essere costruita a partire da tutto l'insieme iniziale di preferenze individuali (che ovviamente nel processo elettorale stesso vengono selezionate e scremate);
Non imposizione (o sovranità del cittadino): ogni sistema di preferenze individuale, se riceve un numero sufficiente di voti, deve poter vincere (nessuno deve essere escluso a priori);
Monotonicità: se un individuo modifica il proprio ordinamento di preferenze promuovendo una data opzione, la funzione di scelta sociale deve promuovere tale opzione o restare invariata, ma non può assegnare a tale opzione una preferenza minore;
Indipendenza dalle alternative irrilevanti: se qualche candidato, portatore di una funzione di scelta possibile, si ritira dalla competizione, o ne viene eliminato in una fase preliminare, ciò non deve pregiudicare la rappresentatività, in termini di consenso elettorale effettivo, della scelta che alla fine risulterà vincente.
Il teorema di Arrow dimostra che se il gruppo di cittadini votanti comprende almeno due individui e l'insieme delle alternative possibili almeno tre opzioni, non è possibile costruire una funzione di scelta sociale che soddisfi al contempo tutti i requisiti sopra enunciati. Tale dimostrazione ha effetti pratici molto rilevanti, che gettano una luce negativa sull'equità dei sistemi di voto, e sulla loro manipolabilità potenziale. Arrow concluse che nessun sistema elettorale può contemporaneamente soddisfarre tutti i requisiti di cui sopra, quindi non esiste sistema elettorale pienamente equo. Inoltre, il meccanismo elettorale prescelto può condurre a esiti non rappresentativi della maggioranza degli elettori. Un esempio illuminante è il paradosso di Condorcet, che non è altro che un caso particolare del teorema di Arrow. Dimostra che i sistemi elettorali a più stadi possono determinare risultati che non dipendono dall'effettivo numero di voti di ciascun candidato, ma dall'ordine nel quale i vari candidati si presentano alle varie tornate elettorali (tipico caso delle elezioni a doppio turno, o delle elezioni che prevedono delle primarie: se tizio è eliminato al primo turno o alle primarie, ma al secondo turno avesse avuto una maggiore capacità di aggregare altri voti rispetto ai due candidati residui, in effetti finirà per vincere un candidato con meno consenso complessivo).
Più in generale, stanti n elettori, possono determinarsi 2 exp (n-1) maggioranze possibili, se n è pari, e 2 exp (n-2) se è dispari. L'assunto di senso comune secondo il quale il bene comune dipende dalla volontà della maggioranza che lo esprime è quindi indimostrabile, perché, se le maggioranze possibili sono molte più degli elettori che le compongono, le decisioni assunte da una maggioranza penalizzano le altre 2 exp (n-1) -1 maggioranze possibili. Inoltre, poiché vi è sempre un piccolo gruppo di individui che possono partecipare virtualmente alla maggior parte delle possibili maggioranze, mentre altri, più deboli, possono partecipare solo ad un numero minore delle possibili maggioranze, ci sarà un'élite di individui (generalmente appartenente a lobby particolarmente potenti economicamente o politicamente) che avrà una maggior probabilità di essere rappresentata rispetto agli altri, quale che sia la maggioranza che si forma. Tipico è il caso dei programmi elettorali della destra liberale e del centrosinistra riformista, che in molti punti, per esempio sulle politiche di sostegno alle imprese, sono quasi identici. In questi casi, i capitalisti vincono quale che sia la maggioranza che si formi a seguito delle elezioni.
Ecco un caso in cui Marx, Engels e Gramsci smascherano la natura potenzialmente manipolatrice e non rappresentativa delle cosiddette democrazie rappresentative prima che, molti anni dopo, gli economisti liberali come Arrow giungano allo stesso risultato. La dialettica marxiana evidenzia come la democrazia parlamentare liberale può divenire una sovrastruttura in senso proprio: sganciata dalle dinamiche reali della società civile, composta da politici di professione non necessariamente rappresentativi degli elettori, si converte in un apparato in parte predatorio ed in parte finalizzato a dare una rappresentanza legale ed istituzionale ai meccanismi di sfruttamento di classe.
Come se ne esce? Il primo Marx, quello dell'opera all'inizio citata, pensa ancora che sia possibile uscirne con la stessa democrazia che, radicalizzata al suo estremo, porterebbe alla fine dello Stato. Dice infatti Marx che “soltanto nell'elezione illimitata, sia attiva che passiva, la società civile si solleva realmente all'astrazione di se stessa, all'esistenza politica come sua vera esistenza generale, essenziale. Ma il compimento [Aufhebung] di questa astrazione è al contempo la soppressione dell'astrazione. Quando la società civile ha realmente posto la sua esistenza politica come la sua vera esistenza, ha contemporaneamente posto la sua esistenza civile, nella sua distinzione da quella politica, come inessenziale; e con una delle parti separate cade l'altra, il suo contrario. La riforma elettorale è, dunque, entro lo Stato politico astratto, l'istanza dello scioglimento [Auflösung] di questo, come parimenti dello scioglimento della società civile (...) Il potere legislativo ha fatto […] le grandi rivoluzioni”. In altri termini, preso il potere democraticamente, il proletariato trasformerebbe radicalmente le forme di produzione ed i rapporti sociali, fino ad arrivare all'estinzione delle classi, dello Stato e quindi al comunismo.
Naturalmente questo era il primo Marx, la cui visione poi cambierà profondamente, abbandonando la fiducia nella democrazia, per abbracciare quella della rivoluzione di classe, dopo i moti del 1848. infatti, se la democrazia è la sovrastruttura borghese costruitaper difendere e cosnervare lastruttura classista sosttostante, allora non si potrà utilizzare la democrazia per sovvertire i rapporti di classe, come ben dice Lenin in “Stato e Rivoluzione”: “questa democrazia è sempre limitata nel ristretto quadro dello sfruttamento capitalistico, e rimane sempre, in fondo, una democrazia per la minoranza, per le sole classi possidenti, per i soli ricchi. La libertà, nella società capitalistica, rimane sempre più o meno quella che fu nelle repubbliche dell'antica Grecia: la libertà per i proprietari di schiavi”. Per cui, “lo Stato borghese non può essere sostituito dallo Stato proletario (dittatura del proletariato) per via di "estinzione"; può esserlo unicamente, come regola generale, per mezzo della rivoluzione violenta”.

Fonti:
“La democrazia radicale secondo Marx ed Engels”, E. Screpanti, [pubblicato in N. Bellanca ed E. Screpanti (a cura di), Democrazia radicale, “Il Ponte”, LXIII, 2007;

“Marx e lo Stato hegeliano”, di F. Della Sala, su http://www.centrostudilarcoelaclava.it/sito/?p=140

“Social Choice and Individual Values”, Arrow, K.J, Yale University Press, 1951

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