Intervista con il compagno Maurizio Garino
"Gramsci si mise le mani nei capelli. La mia affermazione che tutte le dittature, compresa quella del proletariato, sarebbero sempre finite con l'accentramento del potere nelle mani di una minoranza dirigente, e, più ancora, la mia affermazione che i primi ad essere fucilati saremmo stati noi libertari, lo aveva addolorato e scandalizzato. - Non dire queste cose, Garino! - Mi disse... Vorrei che Gramsci fosse vivo oggi, nel 1971, dopo tutto quello che la dittatura del proletariato ha causato in Russia, in Ungheria, in Cecoslovacchia, in Polonia...". Questo ci dice Maurizio Garino, che siamo andati a trovare a Savona, per parlare con lui del movimento dei consigli di fabbrica a Torino nel biennio rosso (1919-20), che lo vide diretto partecipe, ed anche protagonista.
Infatti Garino, nato in Sardegna 78 anni fa, dopo due anni di militanza nella gioventù socialista, fu tra i fondatori dei Circolo di Studi Sociali che sorse a Torino dopo la morte di Francisco Ferrer (educatore ed agitatore anarchico spagnolo, precursore della pedagogia libertaria, assassinato dalla reazione nel 1910) e che divenne poi la Scuola Moderna "F. Ferrer" della Barriera di Milano. Partecipò attivamente agli scioperi dei metalmeccanici del '12 e del '13, alla settimana rossa ed alle dimostrazioni contro la guerra dell'agosto 1917; fu in seguito il primo ad indire uno sciopero nelle officine di Savigliano contro lo sfruttamento delle donne e dei soldati. Più volte incarcerato, subì la violenza dello stato. Dopo aver militato nel movimento anarchico ancora alcuni anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, si è ora ritirato a vita privata per ragioni di salute e di età. Dopo oltre cinquant'anni da quei drammatici avvenimenti, ancora oggi Garino parla con estrema lucidità e precisione della sua partecipazione alle lotte operaie, alle occupazioni delle fabbriche, alla resistenza anti-poliziesca ed anti-fascista che caratterizzarono quel periodo decisivo per la classe operaia italiana che passa sotto il nome di biennio rosso. Insieme con Italo Garinei (morto circa tre mesi fa) e Pietro Ferrero (assassinato dagli squadristi fascisti), Maurizio Garino fu infatti uno degli anarchici più influenti fra la classe operaia torinese, ed i suoi discorsi ed i suoi scritti, allora come oggi, sono un passaggio obbligato per chi voglia studiare le lotte di quel tempo, per chi voglia riproporre oggi la tematica dei consigli. La lezione storica dell'occupazione delle fabbriche culminata nel settembre del 1920 è quanto mai attuale in un momento come questo in cui alcuni settori della classe operaia stanno portando avanti dure lotte autonome contro il padronato, al di fuori e contro gli stessi sindacati.
"I consigli - sottolinea al riguardo il compagno Garino - dovevano rappresentare, secondo i nostri intendimenti, tutti gli operai ed essere organismi di base, in opposizione alle commissioni interne, scelte dai dirigenti sindacali, che rappresentavano solo gli operai che pagavano la tessera del sindacato. Riguardo ai rapporti con le organizzazioni sindacali, tre furono le tesi che vennero sostenute. La prima voleva i consigli all'interno dei sindacati, in modo da annientarne l'autonomia dai consigli stessi. La seconda, sostenuta da Antonio Gramsci e dai socialisti dell'"Ordine Nuovo", era contraria a questo inserimento e considerava i consigli come organi rivoluzionari tendenti alla conquista del potere politico. Ed infine la terza, sostenuta da noi anarchici, vedeva nei consigli gli organi rivoluzionari, al di fuori del sindacato, capaci non di conquistare il potere, ma di abbatterlo. L'organizzazione dei consigli era caratterizzata dalla revocabilità immediata, da parte della base, di ogni carica. Ogni reparto sceglieva un commissario nella persona di un operaio, che doveva studiare tutto il ciclo produttivo e comunicare le sue conoscenze ai compagni di reparto, così da eliminare ogni gerarchia di funzioni direttive all'interno della fabbrica.
Il consiglio di fabbrica era nominato dalla riunione dei commissari di reparto. Contemporaneamente, a livello nazionale, si cercò di organizzare un congresso per collegare federativamente i consigli di fabbrica e per scavalcare i partiti ed i sindacati. Il congresso fu reso impossibile, pochi giorni prima del suo inizio, dallo scatenarsi della reazione".
Chiediamo a questo punto ulteriori spiegazioni al compagno Garino sulle differenze fra i consigli ed i sindacati, ed in particolare sulla posizione di quegli anarchici che si trovavano a militare nella C.G.L. (sindacato socialista) o nell'Unione Sindacale Italiana (sindacato libertario). "Sì può affermare che i consigli operai erano una sorta di soviet, che ampliavano ed approfondivano i compiti delle commissioni interne. In pratica, i consigli si formavano lungo le complesse strutture dell'azienda, e si differenziavano dalle organizzazioni sindacali producendo due fatti nuovi:
1) combattendo nell'operaio la mentalità del salariato, gli facevano scoprire la coscienza di produttore, con tutte le conseguenze di ordine psicologico e pedagogico.
2) educando ed addestrando gli operai all'autogestione, facevano loro acquisire le conoscenze necessarie alla conduzione dell'azienda.
Quindi i consigli, a differenza dei partiti e dei sindacati, non erano solo delle organizzazioni contrattuali, ma piuttosto delle associazioni naturali, necessarie, indivisibili. Non c'era né un capo né una qualsiasi gerarchia che organizzasse dei gregari in un gruppo politico determinato; qui era lo stesso processo produttivo che inquadrava organicamente e funzionalmente tutti produttori. In questo senso i consigli rappresentano ancora oggi il modello di un'organizzazione unitaria dei lavoratori, e così l'unità è reale perché il prodotto non di un'intesa, di un compromesso, di una combinazione, ma di una necessità".
Si viene così al problema degli anarchici e delle loro organizzazioni nel movimento dei consigli, ai loro apporti teorici ed organizzativi; Garino inizia ricordando la figura di Pietro Ferrero, anarchico, segretario della FIOM torinese, il sindacato dei metalmeccanici aderenti alla CGL. Visibilmente commosso, Garino ci parla a lungo del "compagno ed amico" Ferrero, sempre in prima linea nelle lotte operaie, anarchico militante ed aderente come lui al sindacato socialista con lo scopo di portare all'interno della stessa CGL il discorso rivoluzionario. La tragica fine di Ferrero, assassinato dai fascisti il 18 dicembre 1922 dopo lunghe ed atroci sevizie, ed il cui cadavere straziato fu successivamente legato ad un carro e trascinato per le strade di Torino come trofeo di vittoria, ci offre lo spunto per trattare il tema dello squadrismo fascista; Garino si ricorda con molta chiarezza delle violenze operate dalle squadre fasciste contro gli operai che lasciavano le fabbriche, al termine delle dure occupazioni. La borghesia si vendicava della grande paura causata in lei dal movimento dei consigli finanziando lo squadrismo in camicia nera, e preparando quella che l'anarchico Luigi Fabbri ha definito la "controrivoluzione preventiva".
Il compagno Garino, comunque, nel corso del colloquio, torna più volte sulla fondamentale differenza di valutazioni teoriche e pratiche fra gli anarchici, appoggiati parzialmente da Antonio Gramsci e dall'"Ordine Nuovo", ed i socialisti, o meglio, la dirigenza social-riformista della CGL e del PSI. A livello sindacale, infatti, solo gli anarco-sindacalisti dell'U.S.I. appoggiarono il movimento dei consigli, pur sollevando alcune riserve sia di carattere teorico, sia di carattere organizzativo. Lo stesso Garino, concludendo la sua relazione sui consigli di fabbrica e di azienda al Congresso dell'Unione Anarchica Italiana (Bologna - 1/4 luglio 1920), aveva d'altra parte affermato che "come mezzo di lotta immediata, rivoluzionaria, il consiglio è perfettamente idoneo, sempreché non sia influenzato da elementi non comunisti. Esso sostituisce alla mentalità del salariato la coscienza del produttore, imprimendo ai movimenti operai un chiaro sentimento espropriatore... Riteniamo sia desiderabile, da parte degli anarchici comunisti, favorire la creazione e lo sviluppo di questi strumenti di lotta e di conquista senza però farne l'unico campo d'azione e di propaganda, e come per il passato, non chiudersi nella stretta cerchia sindacale, continuando ad esplicare la nostra maggiore attività in campo politico...". A cinquant'anni di distanza, Garino è convinto che gli anarchici abbiano fatto tutto il possibile all'epoca dell'occupazione delle fabbriche per sostenere le lotte operaie e per sconfiggere le correnti anti-rivoluzionarie e sostanzialmente borghesi rappresentate da D'Aragona, Buozzi, Baldesi e dagli altri dirigenti del PSI e della CGL. Non si riuscì ad impedire che la rivoluzione fosse messa ai voti in una squallida riunione cui parteciparono centinaia di dirigenti socialisti, ormai isolati dal reale movimento operaio, e questo portò ad accentuare la sfiducia, la stanchezza, la confusione fra gli operai, a convincerli della necessità di disarmarsi e di abbandonare le fabbriche occupate, a favorire così la rivincita padronale e l'instaurazione della dittatura fascista. In questo contesto, sia l'occupazione delle fabbriche, sia la posizione assunta al riguardo dagli anarchici, sono attuali, e devono essere profondamente meditate da chi non le abbia vissute.
"La situazione attuale non è certo uguale a quella del 1920, quando bastò la decisione unilaterale della direzione della FIAT di spostare l'orario di lavoro dall'ora solare a quella legale, per scatenare nell'aprile il famoso sciopero durato tre settimane, durante il quale si tennero numerosissimi comizi; fra l'altro, proprio durante uno di questi comizi agli operai, in cui parlavo come anarchico del gruppo libertario torinese e come aderente alla FIOM, fui arrestato. In ogni caso, tanto allora quanto oggi, siamo sempre stati considerati dei sognatori, degli utopisti; noi siamo certi di non esserlo, ed anche l'esperienza del biennio rosso conferma le nostre tesi: l'unica via rivoluzionaria aperta di fronte alla classe operaia è quella della rivoluzione libertaria, dell'autogestione".
G.L. - R.A.
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