Se la liquidazione degli anarchici delle città, piccoli nuclei impotenti, doveva essere abbastanza facile, non fu così nel sud dell'Ucraina; qui il contadino Nestor Machno aveva costituito una forte organizzazione anarchica rurale, sia economica sia militare. Figlio di contadini poveri ucraini, Machno aveva vent'anni nel 1919. Giovanissimo, aveva partecipato alla Rivoluzione del 1905 ed era diventato anarchico. Condannato a morte dallo zarismo, la pena era stata commutata e gli otto anni trascorsi, quasi sempre ai ferri, nella prigione di Butirki, erano stati la sua unica scuola. Con l'aiuto di un compagno di prigionia, Pëtr Aršinov, colmò, almeno in parte, le lacune della sua istruzione.
L'organizzazione autonoma delle masse contadine di cui prese l'iniziativa subito dopo l'Ottobre, copriva una regione popolata da sette milioni di abitanti, e formava una specie di cerchio di 280 km di profondità per 250 di larghezza. L'estremità meridionale toccava il mare di Azov, raggiungendo il porto di Berdiansk. II suo centro era Gulyai-Polyé, un grosso borgo di 20-30.000 abitanti. Si trattava di una regione tradizionalmente ribelle, che era stata, nel 1905, teatro di violenti tumulti.
Tutto era incominciato con l'instaurazione in Ucraina di un regime di destra, che era stato imposto dagli eserciti di occupazione tedesco e austriaco, e si era affrettato a rendere ai vecchi proprietari le terre di cui i contadini rivoluzionari si erano appena impadroniti. I lavoratori delle terre difesero con le armi in pugno le loro recenti conquiste. Le difesero tanto contro la reazione quanto contro l'intrusione intempestiva, nelle campagne, dei commissari bolscevichi, e contro le loro requisizioni troppo pesanti. Questa gigantesca jacquerie fu animata da un giustiziere, una specie di Robin Hood anarchico, soprannominato dai contadini "Padre" Machno. Il suo primo fatto d'arme fu la presa di Gulyai-Polyé, a metà settembre del 1918. Ma l'armistizio dell'11 novembre determinò la ritirata delle forze d'occupazione austro-tedesche mentre offriva contemporaneamente a Machno un'occasione unica di costituire riserve d'armi e scorte.
Per la prima volta nella storia, i principi del comunismo libertario furono applicati nell'Ucraina liberata e, nella misura in cui le circostanze della guerra civile lo permisero, fu praticata l'autogestione. Le terre disputate agli antichi proprietari terrieri furono coltivate in comune dai contadini, raggruppati in "comuni" o liberi "soviet di lavoro". I principi di fratellanza e di uguaglianza erano rispettati. Tutti, uomini, donne, bambini dovevano lavorare secondo le loro forze. I compagni eletti alle funzioni di gestione, a titolo temporaneo, riprendevano poi il loro lavoro abituale a fianco degli altri membri della comune.
Ogni soviet non era che l'esecutore della volontà dei contadini della località in cui era stato eletto. Le unità di produzione erano federate in distretti e i distretti in regioni. I soviet erano inseriti in un sistema economico complessivo, fondato sull'uguaglianza sociale. Dovevano essere assolutamente indipendenti da qualsiasi partito politico. Nessun politico vi doveva imporre la sua volontà dietro la copertura del potere sovietico. I loro membri dovevano essere autentici lavoratori, a servizio esclusivo degli interessi delle masse lavoratrici.
Allorché i partigiani machnovisti penetravano in una località, affiggevano dei manifesti, in cui si poteva leggere: "La libertà dei contadini e degli operai appartiene a loro stessi e non può subire restrizione alcuna. Tocca ai contadini e agli operai stessi agire, organizzarsi, intendersi fra di loro, in tutti i campi della loro vita, come essi stessi ritengono e desiderano (...). I machnovisti possono solo aiutarli dando loro questo o quel parere o consiglio (...). Ma non possono, e non vogliono, in nessun caso, governarli".
Quando, più tardi, nell'autunno del 1920, gli uomini di Machno furono portati a concludere, da pari a pari, un effimero accordo con il potere bolscevico, insistettero per l'adozione della seguente postilla: "Nella regione in cui opererà l'esercito machnovista, la popolazione operaia e contadina creerà le proprie istituzioni libere per l'autoamministrazione economica e politica; queste istituzioni saranno autonome e collegate federativamente - per mezzo di patti - agli organi governativi delle Repubbliche Sovietiche". Sbalorditi, i negoziatori bolscevichi stralciarono questa postilla dall'accordo, per riferire a Mosca, dove, naturalmente, fu giudicata "assolutamente inammissibile".
Una delle debolezze relative del movimento machnovista era l'insufficienza di intellettuali libertari nel suo seno. Ma, almeno saltuariamente, fu aiutato dall'esterno. Dapprima, da Kharkov e da Kursk, da parte degli anarchici che, sul finire del 1918, si erano fusi in un'alleanza detta Nabat (l'Allarme), animata da Volin. Nell'aprile 1919, tennero un congresso in cui si pronunciarono "categoricamente e definitivamente contro ogni partecipazione ai soviet, divenuti organismi puramente politici, organizzati su una base autoritaria, centralizzatrice, statale". Questo manifesto fu considerato dal governo bolscevico come una dichiarazione di guerra e il Nabat dovette cessare ogni attività. In seguito, a luglio, Volin riuscì a raggiungere il quartier-generale di Machno ove, di concerto con Pëtr Aršinov, assunse l'incarico della sezione culturale ed educativa del movimento. Presiedette uno dei congressi, quello tenuto in ottobre a Aleksandrovsk. Vi furono adottate delle Tesi Generali, che precisavano la dottrina dei "soviet liberi".
Il congresso riuniva delegati dei contadini e delegati dei partigiani. In realtà, l'organizzazione civile era il prolungamento di un esercito insurrezionale contadino, che praticava la tattica della guerriglia. Era assai mobile, capace di percorrere fino a cento chilometri al giorno, non solo con la sua cavalleria, ma anche grazie a una fanteria che si spostava su leggere vetture ippotrainate, a molla. Questo esercito era organizzato sulle basi, specificatamente libertarie, del volontariato, del principio elettivo, in vigore per tutti i gradi, e della disciplina liberamente accettata: le regole di quest'ultima, elaborate da commissioni di partigiani e quindi ratificate da assemblee generali, erano rigorosamente osservate da tutti.
I corpi franchi di Machno diedero del filo da torcere agli eserciti "bianchi" interventisti. Quanto alle unità di guardie rosse bolsceviche, erano assai poco efficaci. Si battevano solo lungo le strade ferrate, senza mai allontanarsi dai loro treni blindati, ripiegando al primo insuccesso, astenendosi spesso dal riprendersi i propri combattenti. Così ispiravano poca fiducia ai contadini che, isolati nei loro villaggi e privi d'armi, sarebbero stati alla mercé dei controrivoluzionari. "L'onore di avere annientato, nell'autunno del 1919, la controrivoluzione di Denikin spetta principalmente agli insorti anarchici"; scrisse Aršinov, il memorialista della machnovščina.
Machno rifiutò sempre di porre la sua armata sotto il comando supremo di Trotsky, capo dell'Armata Rossa, dopo la fusione in quest'ultima delle unità di guardie rosse. Così il grande rivoluzionario credette di doversi accanire contro il movimento insurrezionale. Il 4 giugno 1919, redasse un ordine, con cui proibì il prossimo congresso dei machnovisti, accusati di levarsi contro il potere dei Soviet in Ucraina, stigmatizzò ogni partecipazione al congresso come atto di "alto tradimento" e ordinò l'arresto dei suoi delegati. Inaugurando una procedura che sarà imitata, diciotto anni dopo, dagli stalinisti spagnoli contro le brigate anarchiche, rifiutò armi ai partigiani di Machno, sottraendosi al dovere di assisterli, per accusarli poi di "tradire" e di lasciarsi battere dal le truppe bianche.
Tuttavia i due eserciti si trovarono d'accordo, in due occasioni, allorché la gravità del pericolo interventista esigette una azione comune; questo accadde, dapprima, nel marzo 1919 contro Denikin, poi durante l'estate e l'autunno 1920, quando sorse la minaccia delle forze bianche di Wrangel, distrutte, infine, da Machno. Ma, appena scongiurato l'estremo pericolo, l'Armata Rossa riprendeva le operazioni militari contro i partigiani di Machno, che restituivano puntualmente i colpi subiti.
Alla fine di novembre del 1920, il potere non esito ad organizzare un agguato. Gli ufficiali dell'esercito machnovista di Crimea furono invitati dai bolscevichi a partecipare ad un consiglio militare. Furono subito arrestati dalla polizia politica, la Ceka, e fucilati, e i loro partigiani disarmati. Nello stesso tempo una offensiva in piena regola veniva lanciata contro Gulyai-Polyé. La lotta - una lotta sempre più disuguale - fra libertari ed "autoritari" durò ancora nove mesi. Ma, alla fine, messo fuori combattimento da forze molto superiori di numero e meglio equipaggiate, Machno dovette abbandonare la partita.
Riuscì a rifugiarsi in Romania, nell'agosto 1921, quindi a raggiungere Parigi, dove morì, più tardi, malato e povero. Così finiva l'epopea della machnovščina, prototipo, secondo Pëtr Aršinov, di un movimento indipendente delle masse lavoratrici, e, perciò stesso, fonte di ispirazione futura per i lavoratori del mondo.
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