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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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domenica 4 gennaio 2015

GRECIA, ELEZIONI: E SE L'ANELLO DEBOLE SI SPEZZASSE? di Giancarlo D’Andrea




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GRECIA, ELEZIONI: E SE L'ANELLO DEBOLE SI SPEZZASSE?
di Giancarlo D’Andrea






La Grecia andrà al voto il prossimo 25 Gennaio, come ampiamente prevedibile l’elezione a Presidente del tecnocrate Dimas è fallita. Samaras ha fortemente deciso di drammatizzare lo scontro per ribaltare i sondaggi elettorali che attualmente prevedono la vittoria di Syriza, con l’accordo della Troika , oppure qualcuno pensa che una tale rischiosissima scommessa sia frutto del solo pupazzo alla guida della martoriata Grecia ?

In fondo il margine tra Syriza e Nea Dimokratia  è assai limitato, Samaras, che sarà sostenuto come non mai dall'Unione Europea e dal Fondo monetario internazionale, pensa di poter recuperare lo svantaggio che i sondaggi segnalano, la cosa è possibile, e se alla fina vincesse Samaras sarebbe la legittimazione dei sacrifici imposti dalla Troika e si scatenerebbe una violenta offensiva neo-liberista sul disgraziato popolo greco, con ripercussioni in tutta l’Europa del sud.

Naturalmente ci auguriamo, al contrario, che Syriza vinca le elezioni e costituisca un governo di svolta l'unico modo per invertire in Grecia i disastri e la macelleria sociale della Troika.
A questo proposito ci piacerebbe pensare che Syriza non approfitti della inevitabile polarizzazione che il passaggio elettorale drammatico imporrà: appelli al “voto utile“ di veltroniana memoria, potrebbero avere per conseguenza la desertificazione della sinistra greca, la scomparsa delle altre forze di sinistra peserebbe sulla possibilità di dar vita dopo le elezioni ad un governo di emergenza delle forze popolari.
Così come ci piacerebbe pensare che le altre forze della sinistra greca , in particolare il KKE, abbandonino una politica ultrasettaria e si preparino unitariamente ad uno scontro che sarà senza esclusione di colpi.
Forse, purtroppo, questi rimarranno solo auspici di buon senso …

sabato 3 gennaio 2015

NAPOLITANO: I CITTADINI NON HANNO DI CHE VIVERE? ASPETTINO LA CRESCITA di Maurizio Zaffarano

Il Trasloco di Napolitano by Luca Peruzzi



NAPOLITANO: 
I CITTADINI NON HANNO DI CHE VIVERE?
ASPETTINO LA CRESCITA
di Maurizio Zaffarano



E' cosa assai comune nella vecchiaia l'accentuarsi dei tratti caratteriali tipici di una persona e l'incapacità di valutare il mondo e le cose che accadono al di fuori di schemi consolidati e che non si ha più la disponibilità a modificare.
Per giudicare oggi Napolitano bisogna anzitutto guardare alla sua biografia: nei GUF (i gruppi universitari fascisti) con Mussolini al potere, con l'Unione Sovietica quando reprimeva nel sangue la rivolta ungherese del 1956, con Craxi contro Berlinguer e la sua denuncia della questione morale, sempre più allineato all'atlantismo acritico e al liberismo nei decenni in cui si afferma senza vincoli e ostacoli il finanzcapitalismo, autore insieme a Livia Turco della legge che istituisce i Centri di Identificazione ed Espulsione degli immigrati irregolari, tollerante e accondiscendente verso Berlusconi e il berlusconismo, garante per l'Italia del potere e degli interessi e delle volontà della Troika (BCE, FMI, Commissione Europea) dopo l'esplosione della crisi finanziaria del 2008. Una vita passata riuscendo a stare in tanti momenti cruciali della storia dalla parte sbagliata!
Se ha senso parlare della "casta" - le classi dirigenti politiche ed economiche - l'orizzonte di Napolitano è stato tutto interno ed è tutto interno ad essa. Al di fuori delle logiche autoreferenziali e di mera sopravvivenza dei ceti dominanti nulla esiste per Napolitano: i bisogni dei cittadini, la disoccupazione, la povertà, il grido di dolore del popolo inquinato e delle mamme che chiedono giustizia per i propri piccoli uccisi dai veleni versati su tante povere vite sono solo degli incidenti di percorso, certo condannabili a parole ma che non meritano di essere in cima all'agenda politica.

In una prospettiva miope e misera che i fatti e la storia poi provvedono inesorabilmente a condannare, ciò che conta è solo la Ragion di Stato, è solo l'agibilità politica dei palazzi (questo sono le "riforme" di cui parla!): e dunque i veri nemici sono coloro che contestano il sistema, che ne denunciano l'irriformabilità e che ne additano i responsabili facendo nomi e cognomi, che praticano il conflitto come prospettiva necessaria della propria azione politica e sociale. 
Il tratto umano fondamentale che contraddistingue Napolitano è la sua concezione del mondo aristocratica, elitaria, oligarchica e perciò antidemocratica, antiegualitaria, antipopolare ed è davvero bizzarro che quest'uomo abbia fatto parte per decenni del Partito Comunista Italiana la cui missione era quella di raggiungere l'uguaglianza sostanziale tra gli esseri umani.
Per questo Napolitano si autoassolve, per questo fa un bilancio positivo del suo novennato nonostante le scelte fallimentari - per la vita delle persone - effettuate (anzitutto quella di Monti), per questo ha accettato due anni fa il prolungamento di un mandato presidenziale che non avrebbe avuto, per ragioni anagrafiche, l'energia e la lucidità politica per svolgere e completare ma che doveva essere utile (e da questo punto di vista fin qui lo è stato) solo alla sopravvivenza della "casta".



venerdì 2 gennaio 2015

JOBS ACT: UNO SCIACALLO SI AGGIRA (SVELTO) PER L’ITALIA di Norberto Fragiacomo




JOBS ACT: 
UNO SCIACALLO SI AGGIRA (SVELTO) PER L’ITALIA
di
Norberto Fragiacomo





Come suggerito anche dal nome, l’anima del Jobs Act è un thatcherismo violento, ma ipocrita, subdolo, ammiccante e acrimonioso, che somiglia come una goccia d’acqua al premier più a destra della storia repubblicana.Lo “schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comparso sul sito del governo la vigilia di Natale, sarà fatto sparire e riscritto come d’abitudine renziana, ma mente già con il titolo: un commentatore ha fatto notare che, nel testo, la parola “licenziamento” ricorre 24 volte, il termine “tutele” appena tre – un freddo dato numerico che la dice lunga sui reali intendimenti del legislatore.

D’altra parte, che Matteo Renzi sia uno sceriffo di Nottingham (al servizio di Sua Maestà la Finanza) sconciamente travestito da Robin Hood è evidente da un pezzo a chi non sia cieco o venduto; mi limito perciò a proporre un rapido raffronto tra la disciplina “storica” dei licenziamenti e le novità apportate da un decreto che prima o dopo assumerà forma definitiva.

C’era una volta una sinistra riformista e responsabile, che però era sinistra sul serio: faceva del suo meglio per difendere la dignità della classe lavoratrice ed elevarne le condizioni di vita, e nel 1970 regalò all’Italia lo Statuto dei lavoratori che assicurava, nell’eventualità di licenziamento illegittimo, il reintegro del dipendente e un pieno ristoro economico. Una volta riconosciuta la mancanza della giusta causa (un comportamento, anche esterno all’azienda, che minasse la fiducia datoriale nei confronti del lavoratore) o del giustificato motivo soggettivo (un inadempimento contrattuale) od oggettivo (ad es., una ristrutturazione d’azienda), il giudice annullava il licenziamento. A questo punto la vittima del sopruso padronale, già indennizzata per il periodo di forzosa immobilità1, poteva liberamente scegliere tra la ripresa del lavoro (mantenendo anzianità, diritti ecc.) e un addio addolcito dalla liquidazione di ulteriori quindici mensilità. Il principale difetto dell’intervento normativo era la mancata estensione della c.d. tutela reale alle piccole imprese, ma rispetto al passato si trattava di un gigantesco passo avanti. L’ultimo.

Appena due anni fa Coccodrilla Fornero ha smantellato questo sistema di protezioni, liberalizzando di fatto il recesso per motivi economici (vedi Prime note su quel che resta dell'art.18) e limitando drasticamente le ipotesi di reintegro in caso di licenziamento disciplinare. Il giudice può ancora disporlo in presenza di una delle seguenti condizioni: 1) il fatto addebitato non sussiste; 2) il lavoratore non lo ha commesso2; 3) per il fatto contestato risulta prevista dai contratti collettivi una sanzione meno grave. E’ venuto meno, in sostanza, il principio secondo il quale imprenditore e dipendente hanno pari dignità; malgrado roboanti e menzognere dichiarazioni, inoltre, l’ammontare degli indennizzi concretamente previsti calava.
Al padronato tutto questo non bastava – e dunque Renzi per farsi bello agli occhi dei suoi sponsor ha rimesso mano alla disciplina, accanendosi come uno sciacallo politico sulla carcassa dell’articolo 18.

Diamo un’occhiata all’articolato provvisorio: l’articolo 1 stabilisce che la disciplina si applica ai lavoratori assunti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, nonché a quelli delle piccole imprese diventate “grandi” (superamento dei 15 dipendenti) grazie al Jobs Act, indipendentemente dalla data di assunzione. Nella visione renziana l’impresa può crescere, le tutele mai.

L’articolo 2 non vale la carta su cui è scritto, mentre l’articolo 3 merita attenzione. Si dispone che in caso di licenziamento illegittimo per assenza di giusta causa o di giustificato motivo il giudice, preso atto dell’estinzione del rapporto, condanni il datore al pagamento di una somma variabile tra quattro e ventiquattro mensilità retributive. In soldini: l’illegittimità degrada a mera irregolarità, perché viene meno la possibilità di annullamento e l’imprenditore se la cava con un pagamento di modesto ammontare a titolo di sanzione. Unica eccezione alla regola (2° comma): se il dipendente riesce a dimostrare “direttamente” (?) in giudizio «l’insussistenza del fatto materiale contestato(gli)» avrà diritto alla reintegrazione e (eventualmente) ad un’indennità. Ricapitolando: delle due ipotesi di reintegro esplicitate dalla Legge Fornero (tre, se si considera anche quella rimasta nella penna) ne resta una soltanto, la numero 1). Esempio: il dipendente viene licenziato perché accusato di rapina (giusta causa) o per aver pesantemente insultato il superiore od essersi assentato senza giustificazione dall’ufficio (giustificato motivo soggettivo) – sarà salvo se in grado di provare che l’evento non si è verificato, cioè che la rapina non ha avuto luogo o che quel dato giorno tutti erano presenti in ufficio. Attenzione: se invece la rapina è avvenuta ma è stata commessa da altri o se ad aggredire il dirigente è stato Tizio anziché Caio, ingiustamente accusato, versiamo nell’ipotesi numero 2) (“il lavoratore non ha commesso il fatto”). Niente reintegra, quindi? Il testo renziano pare furbescamente escluderla, ma si tratterebbe di scelta così irragionevole da cozzare contro l’articolo 3 della Costituzione: è probabile, pertanto, che in siffatte eventualità i giudici ordineranno comunque la reintegrazione, fingendo che quella del legislatore sia stata una nuova, involontaria dimenticanza (non lo è: è un imbroglio bello e buono, anche se malamente architettato e goffamente attuato). Più insidioso è l’inciso «resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento», non superabile in via interpretativa: si elimina il terzo appiglio concesso dalla controriforma Fornero, col risultato che d’ora in avanti il padrone sarà libero di espellere il lavoratore per mancanze lievissime, tipo un ritardo in entrata di dieci minuti, liquidandolo (letteralmente, visti i tempi che corrono!) con una manciata di euro. Ecco spiegato il ripristino del controllo a distanza anche con strumenti informatici: per il lavoratore, perennemente sotto ricatto, sarà rischioso persino rispondere al cellulare e andare al bagno. Tutele crescenti? Risparmiaci lo spirito, fiorentino: d’una tutela, in questo decreto, è assente perfino l’ombra.

Altre chicche: nell’eventualità di un recesso datoriale immotivato o irrispettoso delle procedure di cui all’articolo 7 della legge 300/1970 (non vuoti formalismi, bensì la garanzia del diritto di autodifesa in sede disciplinare!) l’impresa scucirà dalle due (!) alle dodici mensilità (art. 4); fa capolino un invito, rivolto al dipendente dal legislatore, ad accettare una mancia anziché ricorrere al giudice (art. 6); assistiamo al dimezzamento per i piccoli imprenditori delle già magre indennità da versare (art. 9, 1° comma) e all’estensione della disciplina alle c.d. organizzazioni di tendenza (partiti politici, associazioni culturali, organizzazioni religiose ecc. - art. 9, 2° comma), che prima erano sottratte – non del tutto immotivatamente - all’ambito dell’articolo 18: un dispettuccio ai sindacati in puro stile renziano.

Molto più impattante sulla vita di milioni di impiegati ed operai è l’articolo 10, dedicato ai licenziamenti collettivi3. La normativa vigente, che risale – nella formulazione originaria - ai primi anni ’90 (L. 223/1991), prevede l’attivo coinvolgimento dei sindacati nelle decisioni aziendali ed il rispetto di precisi criteri di scelta dei licenziandi (anzianità, carichi di famiglia, esigenze tecnico-produttive ed organizzative); la violazione delle suddette regole invalidava il licenziamento.

Con la famigerata Legge 92/2012 il duo Monti-Fornero ha intorbidato le acque, facendo criptici riferimenti all’articolo 18 riformulato; Renzi taglia come d’abitudine la testa al toro, sancendo che il rapporto è comunque estinto dietro corresponsione di una somma variabile tra le 4 e le 24 mensilità. Caro imprenditore – sembra ammiccare il nostro – tu l’accomodamento non l’hai cercato neppure per un istante, birbaccione, e hai gettato sul lastrico chi aveva più bisogno di lavorare: nessun problema, hai fatto bene… perché tu sei un eroe, il mio eroe! Secondo l’opinione del premier i diritti sono l’equivalente di lacci e lacciuoli… qualcuno potrebbe sorprendersi allora del fatto che i giornali berlusconiani continuino pervicacemente ad intestargli una misteriosa “sinistra popolare” (Il Giornale), o che il detestabile Sacconi lo attacchi sulla riforma “da destra”. Niente di clamoroso, invece: si chiama gioco delle parti. Sacconi, Alfano e gli altri mestieranti del NCD fingono di attaccare il premier per rafforzarlo, attribuendogli un’assurda visione “di sinistra” elettoralmente spendibile4; al contempo, sparandola grossa tentano di convincere gli italiani destrorsi della propria esistenza ed “utilità”. L’oppositore fasullo Berlusconi fa lo stesso: punzecchia Renzi per rispettare il copione, ma si guarda bene dall’ostacolare colui che, in questo momento, gli appare come “l’unto dei mercati” (e il garante della sua sopravvivenza politico-economica). I berlusconiani in servizio attivo e in naftalina sono preziosi alleati di Renzi, quindi, ma anche della c.d. minoranza PD: il respingimento delle velleitarie proposte vandeane d’un Sacconi corrobora la fiction mediatica di un Presidente del Consiglio “mediatore” ed è motivo di giubilo per lo svergognato Speranza, degno erede del bersanismo.

Meschine contorsioni di teatranti, che non possono celare l’oscenità di una controriforma rabbiosa, raffazzonata, mal scritta e classista – l’unica che ci si può aspettare da un personaggio che, ai tempi della sinistra vera, sarebbe stato additato senza esitazioni come un dilettante ambizioso, grossolano e reazionario. La politica asservita al neoliberismo non sa, a quanto pare, esprimere nulla di meglio: l’egemonia culturale è – oggi – rozza incultura.

PS: l’applicabilità del pastrocchio alla P.A. è un falso problema, direi. Per i licenziamenti economici esiste già una disciplina ad hoc, che verrà presto peggiorata; quanto ai licenziamenti disciplinari, il riconoscimento della loro illegittimità/irregolarità esporrebbe l’amministrazione ad un esborso e – di conseguenza – colui che li ha comminati ad una responsabilità per danno erariale. Ma non temete, pennivendoli arrabbiati col calendario che, per il 2014, ha abbinato Natale e S. Stefano ad un giovedì e a un venerdì: gli scandalosi “privilegi” dei travet pubblici sono in via di estinzione, assieme – come’è noto – ai loro stipendi. Ai pensionati, invece, penserà Boeri, che scambia per oro – da offrire ai mercati senza patria – assegni mensili da duemila euro lordi.


NOTE

1 Con un minimo di 5 mensilità che, nell’ipotesi di pause prolungate, potevano essere molte di più!

2 Così, unanimemente, i commentatori; nel testo, tuttavia, il riferimento manca.

3 Ai sensi della Legge 223/91 si parla di licenziamenti collettivi quando l’impresa intende ridurre il personale di almeno 5 unità nell’arco di 120 giorni causa riduzione, trasformazione o cessazione dell’attività.


4 Anche perché su questo fronte il parolaio toscano è in costante affanno: quando asserisce, con una punta di comprensibile disagio, di essere “di sinistra” può sfoggiare, come unico argomento a favore, l’elemosina degli 80 euro (argomento di per sé deboluccio, visto che la Sinistra autentica riconosce diritti, non fa la carità).



giovedì 1 gennaio 2015

LA PRIMA DELL'ANNO, NUOVA SERIE ... VECCHIO ANNO di Giandiego Marigo




LA PRIMA DELL'ANNO, NUOVA SERIE ... VECCHIO ANNO
di Giandiego Marigo


Per quelli che Si Euro, No Euro … ma che di sistema non parlano mai, quasi che luna lira in mano al liberismo selvaggio cambierebbe qualche cosa rispetto ad un Euro in mano ai medesimi assassini … oh yeah!
Per quelli che gli altri sbagliano sempre tutto … che solo loro hanno la verità rivelata … che solo loro hanno davvero capito … oh yeah!
Per quelli che “chi che non ce la fa a tirare fine mese aspetti la crescita” e non ti dicono che la crescita non esiste … oh Yeah!
Per quelli che pretendono di “crescere” in un mondo fin ito, con risorse finite … senza cambiare affatto il loro concetto di consumo … oh yeah!
Per quelli che hanno capito che due polli a testa statistici, non necessariamente sono equamente divisi … oh yeah!
Per quelli che se ne fottono se la loro presunta ricchezza si realizzi sulle spalle , sul sangue e sulla vita stessa di chi ha poco o nulla, basta che sia ricchezza … oh yeah!
Per chi chiude gli occhi alla depredazione del terzo mondo e poi costruisce muri contro le migranze … oh yeah!
Per quelli che “stanno bene così” … “che questo mondo è il migliore che esista” … “che i ristoranti sono pieni e le autostrade intasate … oh yeah!
Per quelli che “non sono razzista…MA… oh yeah!
Per quelli che sanno che i vampiri esistono … oh yeah!
Per quelli che L’Euro è solo una parte, un aspetto … un elemento importante in un gioco complesso e che parlano d’Europa e non soltanto di moneta … oh yeah!
Per quelli che pensano che una banconota sia diversa da un’altra e non si accorgono che a porgerla è lo stesso usuraio … oh yeah!
Per quelli che non si informano ma si spacciano per informati, non capiscono ma si fanno imbeccare e si spacciano per saputi, che non vogliono cambiare nulla ed infatti si accaniscono sugli stipendi dei camerieri e non sui reati dei loro padroni … per quelli che sanno benissimo che urlando in continuazione e su tutto non si capisce affatto quel che dici … oh Yeah!

dal sito Cornice Rossa


mercoledì 31 dicembre 2014

LA NUOVA DOTTRINA MILITARE RUSSA di Riccardo Achilli



LA NUOVA DOTTRINA MILITARE RUSSA 

di Riccardo Achilli



Questo scritto del generale Gerasimov, capo di stato maggiore dell'Esercito russo, è di grande interesse per capire le evoluzioni più recenti della dottrina militare russa, che potremmo, se la tensione geopolitica internazionale dovesse, come prevedibile, aumentare, vedere attuata in pratica, e che di fatto, in Ucraina,è già stata sperimentata, sia pur parzialmente, ma con un certo successo. 
Questa dottrina sovverte il tradizionale concetto sovietico di forza di impatto costituita da grandi contingenti militari, supportati da ingenti contingenti di artiglieria, reparti corazzati ed attacchi al suolo dell'Aeronautica, in nome di una strategia molto più flessibile, una guerra asimmetrica, da non dichiarare ufficialmente mediante i consueti canali diplomatici, né da anticipare mediante mobilitazioni di massa (che metterebbero immediatamente sull'allerta il nemico) fatta da una combinazione di quattro elementi teorici di fondo (al netto, ovviamente, del mantenimento di un avanzato sistema di dissuasione nucleare, che, per rispondere alla nuova minaccia costituita dallo schieramento di missili nucleari NATO nei Paesi est europei a ridosso della frontiera russa, che potrebbero quindi raggiungere Mosca in soli 3 minuti, sarà rinnovato completamente entro il 2020, con due nuove classi di sottomarini che sostituiranno gli Akula ed i Typhoon, un nuovo bombardiere strategico, nuovi missili, fra i quali il Bulava, già entrato in servizio, ed un nuovo sistema di allerta e controllo integrato radaristico e spaziale, nonché un sistema di rappresaglia interamente digitalizzato, che può funzionare automaticamente nel caso in cui per il primo attacco nemico non vi siano più responsabili umani in vita):

martedì 30 dicembre 2014

PRODI PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: IL MALE MINORE? di Maurizio Zaffarano




Romano Prodi e Renzi visti da Luca Peruzzi


PRODI PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA: IL MALE MINORE?
di Maurizio Zaffarano




Premessa indispensabile: l'elezione del prossimo Presidente della Repubblica è cosa loro cioè qualcosa che riguarda gli equilibri interni alle ristrette oligarchie - economiche, finanziarie, politiche, burocratiche, criminali - che dominano il nostro Paese e sulla quale la stragrande maggioranza dei cittadini non ha alcuna voce in capitolo e tantomeno i cittadini democratici e progressisti. La maggioranza dei cittadini la guarderà solo da spettatori (un po' come juventini, milanisti e romanisti guardano l'esito della Champions League), potrà subirla e basta, al massimo costituirà quel parco buoi al quale bisognerà propinare una scelta non manifestamente e palesemente indigeribile e truffaldina.

Aldo Giannuli, uno dei più lucidi politologi italiani, nello stimolante articolo che di seguito viene riportato indica i requisiti "minimi" che dovrebbe avere il nuovo Presidente della Repubblica: una fedina penale (non solo grazie alla prescrizione) immacolata (sembra una cosa assurda in un Paese in cui persino ad un bidello o ad un archivista viene richiesto il certificato dei carichi pendenti ma sappiamo tutti che nel nostro sistema politico è cosa che va ribadita ogni nanosecondo), la lealtà nei confronti della Costituzione (dimostrata dalla propria storia personale), aver ricoperto ruoli di responsabilità nazionale nei quali abbia dato dimostrazione delle proprie qualità politiche e morali e delle proprie competenze sulle materie istituzionali sulle quali sarà chiamato a misurarsi, avere a cuore anzitutto gli interessi nazionali, un curriculum politico importante, essere dotato di equilibrio e imparzialità, aver svolto nella propria vita una qualche rilevante attività professionale senza essersi limitato esclusivamente al mestiere politico.

domenica 28 dicembre 2014

IL PROGRAMMA DI SYRIZA


                              


Il programma di Syriza: un programma concreto, razionale, radicale, ritagliato sui bisogni dei ceti popolari. Con due elementi irrisolti: come si affronta il differenziale di produttività e competitività tra economie del nord Europa e del Sud Europa che è alla base della crisi dell’euro, qual è il piano di riserva nel caso (prevedibile) di fallimento delle trattative con la Troika e la Germania.

Il Programma annunciato a Salonicco il 15 Settembre 2014 da Alexis Tsipras

mercoledì 24 dicembre 2014

IL DIBATTITO "EURO SI EURO NO" E' UN'ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA di Marco Bersani

IL DIBATTITO "EURO SI EURO NO" E' UN'ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA
di Marco Bersani


Finalmente un libro che entra nel merito. Parliamo di “Non c’è euro che tenga” di Marco Bertorello, che, andando decisamente oltre lo schieramento da tifoseria calcistica “pro o contro l’euro”, affronta il problema in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue declinazioni, contribuendo in maniera fondamentale all’avvio di una discussione della quale c'è urgente bisogno.
Per tutte le persone che, tra il versante dei sostenitori dell'euro come fonte di stabilità imprescindibile e destino oggettivo e ineluttabile, e il versante dei detrattori dell'euro come radice di tutti i mali dell'epoca contemporanea, si sono sempre sentite strette, il libro di Bertorello rappresenta una boccata d'ossigeno, con un grande pregio: la capacità di analizzare e comunicare con la dovuta semplicità, senza mai far torto alla complessità del problema.
Per chi è da sempre schierato su uno dei due fronti e, quando entra nel merito, lo fa all'unico scopo di trovare conferma alla propria analisi pre-costituita, il libro di Bertorello potrà apparire - e speriamo sia - in qualche modo fastidioso: perché ogni volta che, con dovizia di dati e lucidità di approccio, sembra dar ragione ad una delle due tesi, subito dopo ne pone a severa critica le basi, con capovolgimenti di fronte che rischiano di confondere chi alla curiosità ha deciso da tempo di preferire la certezza.
Rompendo la narrazione mitologica dell'analisi della crisi a partire dalla nascita dell'euro, Bertorello dimostra come la medesima crisi sia il prodotto di un contesto geografico molto più internazionale e di un ordine temporale molto più vasto, senza la considerazione dei quali il rischio della banalizzazione si incontra ad ogni angolo.
Ma nel contempo, non consente a nessuno di far derivare dal contesto geografico e dall'ordine temporale come sopra delineati alcuna conseguenza di ineluttabilità dello stato di cose presenti, quasi che l'Europa possa essere solo quella data.
Ciò che appassiona del viaggio che ci propone l'autore è soprattutto la laicità dell'approccio, con la precisa analisi dei pro e dei contro l'euro, con la segnalazione dei punti di forza e delle evidenti debolezze di ciascuna delle due tesi.
Senza mai rinunciare alla propria opinione in merito. E' così che la discussione sulla moneta unica, viene finalmente inserita dentro il contesto storico, economico e politico di cui è il prodotto; e, nel contempo, l'Unione Europea viene analizzata dentro i processi di globalizzazione economica che hanno visto il prevalere dell'ideologia neoliberale nella sua costruzione materiale e politica.
Bertorello non lo dice, ma in parte sembra suggerire come la focalizzazione della discussione “euro sì / euro no”, come aspetto a sé stante, rischi di essere una involontaria “arma di distrazione di massa”.
Perchè il mantenimento della moneta unica o l'uscita dall'euro sono entrambi orizzonti praticabili, ma totalmente inefficaci se non frutto di una trasformazione sociale ben più ampia, capace di sovvertire l'approccio neoliberale, che ha fatto dell'Europa il territorio privilegiato di attacco ai diritti dei lavoratori e allo stato sociale da parte dei grandi interessi del capitalismo finanziarizzato.
E se, come dice Luciano Gallino, la lotta di classe viene oggi condotta dall'alto, sembra giunto il tempo in cui “il mondo in basso” si attrezzi per un percorso lungo, articolato e complesso, di ribellione sociale. Per decidere a valle, ovvero dopo aver modificato profondamente i rapporti di forza nella società, e non a monte, quali coordinate economico-monetarie darsi nella costruzione di un futuro più giusto per tutti.

23 dicembre 2014

dal sito http://www.communianet.org/


martedì 23 dicembre 2014

IMMIGRAZIONE: UNA CONVERSAZIONE CON L'ASSOCIAZIONE DHUUMCATU di Stefano Macera


Bachu

IMMIGRAZIONE: 
UNA CONVERSAZIONE CON L'ASSOCIAZIONE DHUUMCATU
di Stefano Macera

L’Associazione Dhuumcatu, creata e composta da bengalesi, è da tempo una presenza significativa nella principale metropoli italiana: in prima fila in tutte le manifestazioni per i diritti degli immigrati che si sono svolte nello scorso decennio, offre anche assistenza per le pratiche relative al permesso di soggiorno. Negli ultimi anni ha inoltre sviluppato proficue collaborazioni con le Università La Sapienza e Roma 3, strettamente legate alla possibilità – per gli studenti – di conseguire Master sulle politiche migratorie e sulla convivenza tra etnie nei grandi agglomerati urbani. La sede di questa Associazione è in via Casilina 525, nel quartiere Tor Pignattara, cioè in un’area a forte connotazione multietnica, purtroppo segnata, negli ultimi mesi, da tensioni tra comunità e anche da episodi gravissimi e di cui è necessario ribadire la condanna, come l’omicidio del pachistano Shahzad ad opera di un minorenne romano. Rivolgendoci a Bachcu, che dell’Associazione è uno degli animatori, abbiamo cercato di mettere a fuoco alcuni contorni della situazione degli immigrati a Roma, con l’intento di fuoriuscire dai luoghi comuni veicolati dai media più diffusi.

giovedì 18 dicembre 2014

LA CRISI ECONOMICA RUSSA: A CHI CONVIENE E QUALI SONO I RISCHI di Riccardo Achilli





LA CRISI ECONOMICA RUSSA: 
CHI CONVIENE E QUALI SONO I RISCHI
di Riccardo Achilli




Tanto tuonò che piovve. Sono anni, direi dall’esplosione, ancora irrisolta, dell’intera area caucasica a partire dal 1991 (e che ha avuto nel primo conflitto osseto-georgiano, nel conflitto georgiano-abcaso, e nella guerra russo-georgiana del 2008, oltre che nel lunghissimo conflitto ceceno, che ha coinvolto anche l’Inguscezia) che l’Occidente e la Russia stanno combattendo una guerra per la redistribuzione delle aree di influenza. Una guerra che ha coinvolto i Balcani, poi in tempi più recenti la Siria e la Libia, che si è acuita con la crisi economica europea, combinandosi in modo perverso con la tradizionale dottrina tedesca di politica estera dello spazio vitale ad est, che ha trascinato l’Europa intera nella deflagrazione programmata dell’Ucraina.

Era inevitabile che una guerra guerreggiata non tracimasse anche in una guerra economica. Sono mesi che le politiche economiche occidentali stanno alimentando una situazione globale svantaggiosa per gli interessi russi. Ad iniziare dal grande risiko degli oleodotti/gasdotti, con il progetto europeo del Nabucco chiaramente posto come concorrente del South Stream, per proseguire con gli annunci di fine del tapering, che già diversi mesi fa provocarono una fuga di capitali dalle economie emergenti, ivi compresa quella russa. Le sanzioni economiche imposte a seguito della guerra civile ucraina e la distruzione dell’economia cipriota, tradizionale punto di riferimento bancario per i capitali russi, hanno finito di creare il terreno affinché, con il calo molto forte e sostenuto del prezzo del petrolio, l’economia russa entrasse in recessione.

martedì 16 dicembre 2014

12 DICEMBRE: UNO SCIOPERO “GIUSTO” A PRESCINDERE di Norberto Fragiacomo





12 DICEMBRE: 

UNO SCIOPERO “GIUSTO” A PRESCINDERE


La CGIL va criticata stando in mezzo ai “suoi” lavoratori, non al chiuso di una torre sperduta nel deserto


di

Norberto Fragiacomo





Prima che andasse in scena, domenica 14, la pantomima piddina – con il cinepanettone narrativo di Renzi, l’ira (autentica) di Fassina, l’ennesima replica di Pippo adelante con juicio e le tergiversazioni di minoranze assortite – qualcosa in Italia s’è mosso, e non solo metaforicamente: allo sciopero generale indetto da CGIL e UIL e appoggiato dall’UGL (!) hanno aderito milioni di lavoratori, un milione e mezzo dei quali avrebbe dato vita, secondo le stime, agli imponenti cortei che hanno attraversato cinquanta città italiane, azzerandone il traffico.

Parafrasando Giovannino, potremmo anche dire che stavolta la “Grande Proletaria” s’è messa in cammino, e ha preso la direzione giusta.

Il dato davvero significativo mi sembra quello citato: tutto il resto (il fatto che Barbagallo, dal palco, sia stato più incisivo della veterana Camusso, invocando una “nuova Resistenza”; la solita battaglia di cifre tra organizzatori e ministero dell’interno e quella – ben più cruenta – tra attivisti di sinistra e celerini a Milano, Torino ecc.) è, a parer mio, mero contorno.


Del serpentone triestino sono stato… una scaglia, e penso di poter dire che la partecipazione ha oltrepassato le aspettative: la sfilata, sotto un cielo incoraggiante, di sei-settemila persone per le vie del centro (stima fatta ad occhio, oltre che “media” fra i conteggi della questura e quelli del sindacato) vale due feste dei lavoratori ed è paragonabile, sotto il profilo numerico, solamente alla dimostrazione del Movimento Trieste Libera di metà settembre 2013. La scelta, da molti giudicata poco coraggiosa, di ospitare il comizio conclusivo nell’insufficiente piazza Verdi anziché in piazza dell’Unità dimostra che, come ben sappiamo, la domanda di rappresentanza seria è superiore all’offerta, ma non sminuisce il successo di un’iniziativa realmente sostenuta da chi lavora: capita di rado che gli uffici pubblici si svuotino per uno sciopero, e questa volta è avvenuto.

Il richiamo al MTL, dissoltosi dopo l’effimero exploit di un anno fa, vuole però essere una sorta di memento: le mobilitazioni di massa acquistano un significato durevole soltanto se riescono a veicolare un messaggio, una strategia, un progetto concretamente attuabile nel breve-medio termine – in caso contrario, si riducono a eventi di cronaca, ben che vada a note a margine sugli annali di storia locale.

sabato 13 dicembre 2014

ROMA: L'OCCASIONE DA NON PERDERE PER COSTRUIRE L'ALTERNATIVA E L'UNITA' DELLA SINISTRA di Maurizio Zaffarano






ROMA: 
L'OCCASIONE DA NON PERDERE PER COSTRUIRE L'ALTERNATIVA E L'UNITA' DELLA SINISTRA
di Maurizio Zaffarano





L'inchiesta Mafia Capitale e il marcio che ha scoperchiato nell'amministrazione del Comune di Roma, con lo scioglimento per mafia non escluso nemmeno dal Prefetto, rende possibili a breve nuove elezioni per la carica di Sindaco della città. E comunque rende da subito necessario cominciare a lavorare per costruire un'alternativa – nei metodi, nella trasparenza, negli obiettivi – per il governo di Roma.
Per quanto Ignazio Marino non sia stato direttamente coinvolto nell'inchiesta ed anzi possa atteggiarsi a vittima della cricca fascio-mafiosa, la sua maggioranza esce ulteriormente indebolita dalla vicenda. La tesi che la sua amministrazione e che il PD abbia fatto argine al malaffare non regge: risultano indagati esponenti del PD e tra questi Luca Odevaine, già collaboratore della Melandri, di Veltroni, di Zingaretti; la cooperativa "29 giugno" di Luca Buzzi, che aveva contributo al finanziamento della campagna elettorale di Marino ed aveva avvicinato un membro della sua segreteria, anche durante il 2013, primo anno dell'amministrazione Marino, ha visto l'incremento delle commesse assegnate dal Comune.

giovedì 11 dicembre 2014

TTIP, PERICOLOSO MOSTRO DEL PENSIERO UNICO LIBERISTA di Giuliana Nerla





TTIP, PERICOLOSO MOSTRO DEL PENSIERO UNICO LIBERISTA
di Giuliana Nerla



Matteo Renzi, fedele alla sua linea politica iperliberista, ha di recente affermato che “il TTP ha l’appoggio totale e incondizionato del governo Italiano” e che “non è un semplice accordo commerciale come altri, ma è una scelta strategica e culturale per l’UE”. Ne è convinto e non ammette critiche, poco importa se arrivano anche da premi Nobel come Joseph Stiglitz che, in una lectio magistralis di fronte ai gruppi parlamentari della Camera, ha sostenuto che il TTIP “accresce le disuguaglianze sociali, dando profitti a poche compagnie multinazionali a spese dei cittadini … i costi per la salute, l’ambiente, la sicurezza dei cittadini sono enormi … e neppure valutabili, perché è in atto un tentativo di sottrarre il TTIP dal processo democratico”. A conferma di ciò basti osservare come esso sia assente dal dibattito pubblico.
Lo scopo dichiarato del TTIP, accordo UE-USA su commercio e investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership), è comunque noto a tutti: abbattere le barriere per costruire la più grande area di libero scambio al mondo.
Le barriere da abbattere sono per il 20% tariffarie (dazi e dogane) e per l’80% non tariffarie, ossia consistenti nel nostro sistema di sicurezza alimentare e ambientale.

Gli standard UE si fondano sul principio di precauzione, che impone cautela in caso di decisioni politiche ed economiche su questioni scientificamente controverse; in base a tale principio, di fronte a minacce di danno serio o irreversibile, si adottano misure di prevenzione anche in assenza di certezze scientifiche. Se questo principio venisse superato sfumerebbe gran parte del sistema normativo europeo sulla sostenibilità ambientale. In questo modo, ad esempio, approderebbe anche in Europa il fracking, fratturazione idraulica che sfrutta la pressione di un fluido immesso in uno strato roccioso per liberare il gas naturale intrappolato; tecnica devastante per i suoli sottostanti, le aree vicine e le falde acquifere.

mercoledì 10 dicembre 2014

UN ROMANZO GIA’ LETTO, UN COPIONE GIA’ SCRITTO di Norberto Fragiacomo







UN ROMANZO GIA’ LETTO, UN COPIONE GIA’ SCRITTO
di
Norberto Fragiacomo




Amo rilassarmi in campagna, il fine settimana (le poche volte che sono libero da impegni, perlomeno…), alternando corsette in bicicletta a “pastroci” coi pennelli – e di solito, quando sono in soggiorno a dipingere, accendo la tivù perché mi tenga compagnia.

Questo weekend, in particolare, mi sono “abbeverato” alle fonti differentemente inquinate di RaiNews24 e La7, che di storie da raccontare – magari rivedute e corrette – ne avevano parecchie. Il canale diretto un tempo da Corradino Mineo è propaganda pura: ha meritoriamente coperto l’evento della “prima” alla Scala di Milano, ma parzialità e ipocrisia trasudavano da ogni commento, in studio e sul campo. Di esempi ne potrei citare a bizzeffe, ma due bastano e avanzano: per l’inviato - che allibiva di continuo per i caschi protettivi indossati dai giovani, quasi fossero mannaie o revolver - le violente cariche dei celerini contro i manifestanti erano invariabilmente “di alleggerimento” (lo erano già prima di essere lanciate, s’intende), mentre il collegamento da San Vittore, illustrante la favola bella di guardie e ladri pronti a gustarsi insieme il Fidelio in tv, è stato bruscamente interrotto per esibire ai telespettatori il vestito trasparente di Valeria Marini… televisione “gossippara”, oltre che educational.

domenica 7 dicembre 2014

Mafia Capitale: la chiamavano sussidiarietà




MAFIA CAPITALE: LA CHIAMAVANO SUSSIDIARIETA'
di Maurizio Zaffarano


Alcune considerazioni/riflessioni mentre ci massacriamo e ci ubriachiamo di indignazione per l'ennesima inchiesta giudiziaria che scoperchia l'ennesimo caso di connessione tra criminalità, politica e affari (questa volta con la direzione, peraltro non una novità per Roma, di residuati fascisti) con il coinvolgimento bipartisan, per l'ennesima volta, dei protagonisti politici dell'ultimo ventennio di storia italiana: il PD e e il PDL.
Primo. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che la degenerazione morale e criminale della vita politica, sociale, economica non è determinata dalla deviazione di singoli individui, da una casta corrotta che va sostituita con nuovi elementi provenienti da una società civile intrinsecamente sana (qui sta la debolezza dell'analisi grillina e travaglina a cui pure va riconosciuta la coerenza ed il coraggio della denuncia del malaffare), dall'insufficienza di regole e di strumenti di controllo e di prevenzione. Qui siamo di fronte ad un sistema – quello dell'economia di mercato - che contiene in sé i germi della corruzione politica ed economica. Quando le decisioni politiche e l'impiego dei fondi pubblici può determinare enormi arricchimenti e vantaggi a favore di soggetti privati questi saranno disposti a comprare, con le buone e con le cattive, chi detiene il potere di spesa e di determinarne la propria fortuna. E se c'è qualcuno disposto a comprare ci sarà sempre qualcuno disposto a vendersi, anzi la selezione della classe dirigente avverrà in funzione della contiguità e dell'arrendevolezza nei confronti dei torbidi interessi in gioco (la ricattabilità è uno dei requisiti fondamentali per essere cooptati nei ruoli politici).

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