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lunedì 20 gennaio 2014

UNA NUOVA PROSPETTIVA ANTICAPITALISTA di Francesco Salistrari


UNA NUOVA PROSPETTIVA ANTICAPITALISTA
di Francesco Salistrari


Questa sinistra italiana… che rabbia.

Una sinistra davvero sinistra, nel senso di inquietante. Una sinistra che nel corso degli ultimi trent’anni ha completamente mancato due appuntamenti storici cruciali: la caduta del muro di Berlino (1989) e l’ingresso nell’euro (1999). Due appuntamenti cruciali, periodizzanti, in cui alla sinistra non è mancato solo il coraggio e l’ardire politico che ci si aspetterebbe da chi, a parole, vuole “cambiare il mondo”. Ma è mancato qualcosa di ancora più importante, qualcosa che ad una sinistra degna di questo nome non dovrebbe mancare mai: la capacità di analisi.

Un’incapacità davvero imbarazzante considerato ciò che stava succedendo realmente, visti gli sviluppi successivi. Anzi, alle inquietanti prospettive che si stavano già dal 1989 delineando dinnanzi a questo paese (e al mondo occidentale), alla sinistra non è mancata solo la capacità di predirle, intuirle, pensarle, ma è mancata anche la capacità di elaborare il “lutto” della caduta del mondo sovietico. Un mondo che per decenni era stato presentato come il contraltare migliore al capitalismo, come la prospettiva auspicata, il “sol dell’avvenire” anche per il mondo occidentale, nascondendo, negando e non comprendendo il profondo abisso nel quale quell’esperienza avrebbe gettato tutta la sinistra antagonista mondiale e di conseguenza l’intero pianeta, spianando la strada alla “globalizzazione della finanza” che ha condannato il mondo al neoliberismo teologico dominante. Che ha portato alla vittoria definitiva di questo capitalismo assoluto nel quale viviamo.
E alla sinistra è mancata la capacità necessaria e fondamentale, in quel frangente storico così decisivo, di analizzare, comprendere, spiegare e trovare le contromisure atte a scongiurare il naufragio di qualsiasi velleità (teorica e politica) di una prospettiva anticapitalista degna di questo nome. Di una prospettiva “socialista” che non avesse più alcun legame con le bugie, le omissioni, le esagerazioni, le brutture e gli errori indicibili di quello che era passato alla storia come il “socialismo reale”.

Una sinistra in definitiva, soprattutto quella italiana, che ha dimostrato di essere completamente inadatta ad una qualsiasi elaborazione filosofica, politica ed economica, capace di rinnovare una teoria anticapitalista adatta ai nuovi tempi e soprattutto pronta ad affrontare con armi ideologiche e politiche quella che stava diventando, con la caduta dell’Urss, l’era del trionfo del capitalismo liberista (neoliberale) globalizzato.

Senza questa analisi, senza questa capacità di elaborazione teorica e pratica, la sinistra è sprofondata sotto le macerie del muro di Berlino. E giace ancora lì. Inerte. Cadaverica e marcescente.

Una incapacità che tra le altre cose si è tradotta anche in una sciatteria politica talmente marcata che ha portato a scissioni, alleanze, politiche e posizioni inconcepibili non solo per formazioni politiche che si autodefiniscono di sinistra, ma per qualsiasi “politico” con un minimo di intelligenza e calcolo sul futuro, sancendo la definitiva sconfitta delle istanze e della difesa dei diritti e degli interessi delle classi subalterne.

Come descrivere, se non come uno degli abbagli più incredibili, delle miopie più assurde, per la storia della sinistra italiana, la partecipazione ai governi “Prodi” che hanno sancito la fine della sovranità nazionale di questo paese, la fine del potere di contrattazione dei lavoratori, la fine dell’istruzione pubblica di questo paese, la fine dell’industria pubblica italiana (e oggi anche di quella privata) e la cancellazione “de facto” della Carta Costituzionale repubblicana (fine della democrazia)? Processi tutti avviati negli anni in cui non solo i governi Prodi sancivano l’ingresso dell’Italia nell’Europa di Francia e Germania (e degli USA), ma che non sarebbero mai divenuti applicabili in un paese in cui fosse ancora esistita una vera sinistra parlamentare e politica.

Dunque, ci troviamo oggi a osservare quello che resta della sinistra (o che si autodefinisce tale) e che ha un terrore atavico di affrontare alcune questioni che al contrario appaiono di importanza capitale, data la situazione attuale non solo europea.

Due questioni su tutte: la sovranità nazionale e l’euro.

Due aspetti che ad un’analisi seria e circostanziata, appaiono (la prima completamente messa in discussione, l'altro come dogma) come due fondamenti di quello che oggi è il capitalismo liberista europeo.

Ed una sinistra che ancora una volta non abbia il coraggio, la lungimiranza e la capacità di affrontare (e non affronta) con nuove armi teoriche e politiche queste due questioni cruciali, non può che far spegnere qualsiasi speranza in tutti quelli che anelano alla rinascita di un polo politico, ideologico ed economico alternativo in questo paese ed in Europa.

Si, perché il non affrontare oggi, così come non lo si è fatto ieri, due argomenti tanto cruciali, attraverso l’uso spietato della critica politica ed economica, sarebbe l’ulteriore incredibile, dannoso, sbaglio di una sinistra che non solo non riesce a risorgere come fenice dalle proprie ceneri, ma soprattutto che non vuole.

E vuole invece restare attaccata al “carro dei padroni”, agli interessi e alle dipendenze, di chi ha decretato la condanna di questo paese e dei popoli europei (occidentali) alla galera perpetua di un sistema di cui non si mettono in discussione più nemmeno i presupposti più semplici. Un sistema che al contrario sta fagocitando in tutto il mondo, popoli, culture, ambiente, prospettive e possibilità future, per l’intera specie umana.

La sinistra storicamente è stata l’unico luogo politico nel quale è stato possibile discutere di una alternativa al capitalismo (Pasquinelli), l’unico luogo politico in cui la prospettiva per un futuro migliore non era appannaggio di una classe sociale particolare, ma per l’intero genere umano (universalismo socialista), una prospettiva che dall’opera della classe sociale che più aveva interesse immediato a capovolgere i rapporti di forza esistenti (il proletariato) si sarebbe tradotta in un avanzamento complessivo del genere umano verso forme organizzative più eque, più razionali ed efficienti, meno distruttive e prospetticamente pienamente sostenibili (considerato lo sviluppo tecnologico). Tutto questo ha fatto della sinistra, da sempre, il luogo politico deputato all’elaborazione del “sogno”, dell’utopia, della progettazione di un futuro migliore per tutti.

Questo luogo politico è ormai scomparso quasi praticamente in tutto il mondo.

Quella che non è scomparsa, e questo coloro i quali ancora si definiscono “uomini di sinistra” non l’hanno nemmeno minimamente intuito, è al contrario proprio la necessità di un’alternativa reale e concreta, nonché ideale ed ideologica, al mondo del turbocapitalismo neoliberale in cui siamo immersi oggi.

Un sistema come quello in cui viviamo, non può essere lasciato funzionare liberamente e senza opposizione reale alcuna, non tanto per una questione ideologica o astrattamente classista, semplicemente perché porterà la nostra specie su questo pianeta all’estinzione.

Dunque è compito di ognuno, eliminate le differenze di latitudine politica, superando cioè la dicotomia destra-sinistra di ottocentesca memoria, alzarsi le maniche e collaborare ad una nuova prospettiva anticapitalista.

Una prospettiva ineliminabile e di cui tutti dobbiamo assumerci la responsabilità di tracciare, abbandonando tutte quelle formazioni politiche che oggi, in un modo o nell’altro, difendono questo sistema, lo alimentano e da cui traggono il proprio sostentamento. Abbandonando anche e soprattutto l'isolamento e l'apatia che contraddistingue amplissimi settori sociali.

Per fare questo è necessaria una convergenza collettiva su una serie di punti fondamentali e che abbiano come minimo comun denominatore la messa in discussione radicale dell’ordine e dei rapporti di forza esistenti, sia in senso alle classi sociali, sia in seno alle istituzioni (ormai solo formalmente democratiche).

Occorre dunque l’attivazione di tutte quelle sensibilità intellettuali, popolari, politiche, culturali che in un modo o nell’altro, per ragioni e storie diverse, da prospettive e angolazioni disparate, hanno in qualche modo messo in discussione alcuni (se non tutti) gli aspetti dell’odierno sistema vigente. Un’attivazione che porti alla creazione di un vero polo ideologico anticapitalista che sappia elaborare una nuova teoria del mondo, da contrapporre in maniera decisa (e decisiva) alla teologia del mercato ormai dominante. Una nuova teoria che sappia mettere in discussione i dogmi che vengono difesi e imposti alla società in nome di entità propriamente teologiche quali il mercato, il denaro, la merce (Fusaro).

Una nuova teoria economica, ma non solo economica, invece anche sociologica, politica, che sappia ridefinire, per fare solo alcuni esempi, concetti quali il contratto di lavoro, l’organizzazione del lavoro, il processo produttivo, la logica produttiva, la distribuzione di risorse e ricchezza, l’architettura istituzionale ecc.

In altre parole, una nuova teoria complessiva del mondo alternativa a quella che ci viene al contrario presentata come l’unica praticabile: il capitalismo.

Bisogna sfatare i miti di questo capitalismo. E bisogna farlo da una prospettiva necessariamente anticapitalista. Non è più il tempo del riformismo. Il riformismo ha già mostrato i segni del tempo e la sua assoluta incapacità a frenare gli eccessi e le mostruosità dell’organizzazione capitalista. Il riformismo è stato sconfitto esattamente sul proprio campo da gioco: le riforme.

Il capitalismo ha dimostrato ampiamente di sapersi adattare ad ogni frangente storico con straordinaria capacità adattiva, trasformandosi e cambiando strutturalmente tutte le volte che si è trovato in crisi (ciclicamente). Ha dimostrato ampiamente di esser diventato non più soltanto il sistema di “una” classe sociale (la borghesia), ma di tutte le classi sociali, sconfiggendo sul piano stesso del simbolico i suoi avversari (politici e di classe). Ha dimostrato una forza e una radicalità uniche che ne ha fatto un sistema capace di assecondare, stuzzicare, indirizzare, lusingare e corrompere la cosa più importante, quella che muove realmente il mondo: il desiderio umano.

Occorrono dunque non solo una nuova sinistra, ma una nuova visione del mondo, una nuova politica, una nuova economia.

Quali soggetti sociali dovranno essere interpreti di questo progetto?

Tutti coloro che credono, in fondo al proprio cuore, che questo sistema non sia davvero, come ci viene detto, l’unico destino possibile per l’essere umano su questo pianeta.



2 commenti:

Unknown ha detto...

Bravo Francesco.
Un "pezzo" eccellente che, finalmente, riesce a traguardare le bassezze della politica partitica nostrana per dare una visione ampia e di prospettiva sulle priorità planetarie venute a maturazione.
E allora, grazie!
Fausto Rinaldi

Francesco Salistrari ha detto...

Leggo solo adesso, dopo quasi un mese, questo commento al mio "pezzo". Ti ringrazio Fausto.

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