IL
LASCITO DI MICHELE ALLA SUA GENERAZIONE
di
Norberto
Fragiacomo
La
lettera d’addio del “precario” (così, un po’
semplicisticamente è stato etichettato da molti giornalisti)
udinese, rilanciata con qualche imbarazzo dai media nazionali, non
lascia indifferente il lettore, già oscuramente turbato dal fatto
che quelle parole – meditate e soppesate a lungo, è evidente -
provengono da un altrove,
dal “paese inesplorato dal cui confine nessun viaggiatore ritorna”
.
La
voce è quella di un trentenne, nato al crepuscolo di un’età
dell’oro presto mutatasi in età di ferro, ed è una voce limpida,
chiara e al tempo stesso sideralmente distante,
che – in epoca di analfabetismo da cellulare – si esprime per di
più in un italiano corretto, nient’affatto banale. Le emozioni
cozzano fra loro, mentre la lettura procede: c’è compassione per
chi è stato condotto a una decisione estrema; rispetto per un
giovane che dimostra una dignità e una capacità di analisi non
comuni; un certo, inevitabile sgomento di fronte alla lucidissima
rivendicazione di un diritto a scegliere che, una volta esercitato,
preclude qualsiasi ulteriore scelta. Ecco: il tratto caratterizzante
è una desolata, raggelante lucidità.
Il
testo di Michele, pieno di affermazioni che condivido, si configura
nel suo complesso come un’unica, potente negazione,
ed è dunque assai di più di una solitaria e disperata protesta.
Leggiamolo
attentamente
Quello del giovane friulano non è semplicemente lo sfogo rabbioso di
chi sta per gettare la spugna, l’ammissione di un fallimento
esistenziale (si veda il passaggio sull’amore non corrisposto)
oppure una vibrante invettiva contro il precariato e il politicante
di turno: è piuttosto una requisitoria che, pur contenendo tutti
questi elementi, li amalgama e li trascende, puntando dritta al cuore
di un sistema che viene denunciato come costruito sulla menzogna e
intrinsecamente corrotto/maligno – dunque irriformabile.
In
questo senso parlavo di una negazione, e qui aggiungo l’aggettivo
“radicale”: il precariato
non riguarda solamente il lavoro nelle sue molteplici forme, ma
assurge a regola generale, senza eccezioni, cui tocca uniformare la
nostra grama esistenza. Michele svela la nudità di un re(gime) che
si ammanta di democrazia, diritti civili e buoni sentimenti (“sono
stufo… di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità,
sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è e non lo sarà mai, perché
questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la
praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le
ambizioni, insulta i sogni…”)
mentre, nella realtà, si traduce in un meccanismo di sfruttamento
spietato e disumano, una catena di montaggio che, anno dopo anno,
procede a ritmi sempre più serrati, insostenibili per l’essere
umano. Si coglie un’assonanza con la logica dello “scarto” di
cui tanto spesso parla papa Francesco: ben lungi dall’assurgere a
“fine in sé”, nell’Europa dell’austerità iperliberista il
singolo individuo è nient’altro che uno strumento da impiegare
finché serve e di cui, venuta meno l’utilità, è buona prassi
disfarsi a piacimento.
Il
giovane friulano di questa involuzione ha chiara coscienza, e assegna
alla propria vicenda umana, alla propria inevitabile sconfitta un
significato esemplare, paradigmatico, non senza lanciare uno sguardo
su un futuro allucinante: “… le
cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete
pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua”
(lo smartphone però sarà sempre alla portata, soggiungo io, in
quanto mezzo infallibile per controllare masse di tecno-lotofagi).
Questa profezia, che giudico assolutamente realistica, è il lascito
alla sua generazione di un ragazzo che si prepara al congedo
definitivo.
L’amarissima
conclusione della lettera (1) sarà fraudolentemente descritta da qualcuno come una resa: non
lo è. Si arrende chi accetta il
ricatto di un mondo presentatoci come “l’unico possibile”,
sottomettendosi alle sue logiche – il giovane grafico, al
contrario, rivendica la sua scelta di libertà, dice di no al sistema
con l’unico strumento che ritiene di avere a disposizione. In
questo specifico caso il suicidio (un suicidio quasi rituale (2)
è l’antitesi di una resa a discrezione. La vera alternativa
sarebbe consistita nella lotta, ma “non
ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per
crearli”.
Come
in “Padri e figli” di Turgenev, siamo fermi alla fase della
negazione: la negazione della negazione è esplicitamente dichiarata
impossibile.
Malgrado
ciò, questa critica alle fondamenta del sistema attuale disorienta,
crea sconcerto – nell’élite, ma non solo: anche in chi si
ingegna a tirare avanti rinunciando al lusso di troppe domande. Si
cerca pertanto di circoscrivere sin dal primo istante la portata del
messaggio, enfatizzando taluni aspetti marginali (i colloqui di
lavoro infruttuosi ecc.) e contrapponendo al “pessimismo” di
Michele la positività di certi suoi coetanei, prontamente scovati e
intervistati dai media. Dal punto di vista della comunicazione, il
risultato è controproducente: la soddisfazione di una ragazza che
gongola per un tirocinio triennale in un negozio di animali, definito
addirittura un posto “importante” (!), suona come involontaria
conferma della tesi esposta nella lettera e induce noi, che abbiamo
qualche lustro in più, a un inevitabile confronto con un passato non
lontanissimo. Venti anni fa uno studente uscito da un liceo o
dall’università considerava il “posto fisso” alla stregua di
un diritto: oggi un lavoro interinale è visto da molti come una
vincita al lotto.
Da
molti, ma non da tutti; e anche quei molti scemeranno di numero,
quando la quotidianità si incaricherà di provare che in un mondo
senza tutele una paghetta (ben che vada) da mille euro non compra il
necessario per vivere.
L’acquisizione
di una più piena consapevolezza delle contraddizioni esistenti può
recare in sé il seme del futuro: per poter cambiare il mondo bisogna
prima imparare a interpretarlo.
1
“Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il
nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere
felice facendo il tuo destino.”
Nessun commento:
Posta un commento