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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 25 luglio 2012

GRECIA: ESPERIMENTO RIUSCITO! di Norberto Fragiacomo


 
 
GRECIA: ESPERIMENTO RIUSCITO!
di
Norberto Fragiacomo
 
 
 
 
Il 17 giugno è l’altroieri, eppure – a leggere le cronache giornalistiche – sembra preistoria.
In quella data si tennero, in Grecia, le elezioni politiche, le seconde in meno di due mesi – una consultazione da cui pareva dipendessero i destini dell’Europa, se non del mondo. Per scongiurare la vittoria di Syriza, la temutissima “sinistra radicale”, si mossero politici, opinionisti, agitprop: le istituzioni internazionali, il governo tedesco (e, spiace dirlo, pure Hollande) facevano apertamente il tifo per Samaras, il programma della sinistra venne “riscritto” dai media per farlo apparire antieuropeista, ai diretti interessati – gli elettori ellenici - fu fatto intendere che una scelta difforme da quella caldamente “consigliata” sarebbe stata foriera di conseguenze funeste.
L’operazione ebbe completo successo: Nuova (?) Democrazia (??) si affermò come primo partito, e poi associò al governo la sinistra collaborazionista (Pasok e Sinistra Democratica).
“Tutto è bene quel che finisce bene”, sentenziava ilare il poliziotto Hüber [1] dopo aver steso a pistolettate un paio di passanti; peccato che l’happy end in Grecia (ed in Europa) sia mancato. Non alludiamo al fatto che le chiavi del Paese sono state consegnate a chi, anni prima, sarebbe stato causa di ogni male truccando i bilanci: più banalmente, all’indomani della buona novella elettorale, speculatori e spread sono tornati a fare il loro mestiere, dando la mazzata finale ai conti greci. A questo punto, l’esecutivo di Samaras – pensando ingenuamente di vantare un credito di riconoscenza, avendo “salvato l’euro” dai bolscevichi – non ha potuto fare altro che chiedere uno sconto sul famigerato memorandum e, com’era prevedibile, Frau Merkel ha strillato: nein, nein, NEIN!
 
Il seguito lo apprendiamo in questi giorni dai telegiornali e dalla carta stampata: improvvisamente, dopo essere stata – per un paio di settimane – il centro dell’universo, la Grecia torna al ruolo abituale di Paese insignificante e periferico, che può far le valigie da Eurolandia senza lasciare rimpianti.
Il Fondo Monetario Internazionale è sul punto di bloccare gli “aiuti”, dal momento che – scrive Andrea Tarquini, su Repubblica – “Atene sembra non stia facendo tutto il necessario per ottemperare agli impegni presi con Ue, Bce e Fmi”, e anche i ministri teutonici scaricano l’ex amico Samaras, che è stato prontamente declassato da affidabile a inadempiente. Il vicecancelliere Philipp Roesler ha affermato testualmente che “un’uscita della Grecia dalla moneta unica da tempo non è più un incubo terrorizzante”. “Da tempo”, dice lui… da quanto tempo?, verrebbe voglia di domandargli.
 
Da quando sono successi fatti nuovi, che riguardano la Spagna e l’Italia (bocconi ben più succulenti della repubblichetta mediterranea)? Oppure dal principio, vale a dire da quando sulla tragicommedia greca è stato alzato il sipario? Crediamo, non senza malizia, che, malgrado l’apparente contraddizione temporale, le due letture si integrino a vicenda.
Abbiamo sempre opinato che, per l’esperimento chiamato crisi, il Paese ellenico costituisse la cavia ideale: piccolo, economicamente marginale, generoso con i suoi cittadini (anche e soprattutto con chi non lo meritava), abitato da gente tosta e combattiva, capace di riempire le piazze per mesi di seguito. Non una Bulgaria qualunque: uno Stato forse di seconda schiera, ma europeo occidentale doc, con tanto di welfare.
Su una società più inquieta e politicizzata della nostra – ma comunque “viziata” dal benessere, che crea dipendenza e pareva definitivamente assicurato – si è scatenata una tempesta inattesa e violentissima: terrorismo finanziario e mediatico, colpevolizzazione di popolo e singoli individui, insostenibili pressioni esterne e mitragliate di tagli, che hanno ridotto il popolo in miseria, una miseria che le giovani generazioni conoscevano solo per sentito dire.
Stipendi dimezzati, tasse alle stelle che hanno reso la proprietà dell’abitazione un lusso per pochi (con conseguenti svendite e crollo del mercato immobiliare…), disoccupazione ed imbarbarimento delle condizioni di lavoro, eliminazione di fatto della sanità pubblica… Il governo, composto da elementi privilegiati, ha ceduto su tutta la linea alla troika, la popolazione no, ha provato a resistere, partecipando a una valanga di scioperi generali, assediando un parlamento blindato, creando strutture parallele a livello di quartiere e villaggio. I greci hanno lottato con la forza della disperazione, senza ottenere nulla – se non un poco di solidarietà in giro per l’Europa, ed il sarcasmo idiota di chi, essendosi ubriacato di propaganda mediatica, seguita a sragionare con la testa dei suoi padroni, che perlomeno sono in malafede (in Italia ci sono infiniti esempi di demenza indotta).
Non solo il carico non è stato alleggerito, ma diviene di giorno in giorno più insopportabile – eppure, nonostante le privazioni e il coraggio greco, la maggioranza (relativa) dei votanti si è lasciata convincere a scegliere, alle ultime elezioni, un partito impresentabile e palesemente asservito agli interessi della finanza internazionale come Néa Dimokratìa, che a sua volta, ad un mese dal voto, viene gettato nella pattumiera dalla troika. Aveva un compito da svolgere: l’ha svolto, può ammuffire nell’ombra.
A fine luglio 2012, siamo finalmente in grado di dire che l’esperimento greco è pienamente riuscito: la prova sta nel fatto che gli “speculatori” – cioè le banche d’affari, i fondi di investimento e le multinazionali finanziarizzate che hanno dettato il copione del dramma europeo – alzano il tiro, mirando a bersagli ben più appetibili della piccola Grecia.
La Spagna va incontro al medesimo destino dello Stato ellenico, ma la sua tragedia si compirà in tempi assai più rapidi – e lo stesso vale per l’Italia, malgrado le rassicurazioni ipocrite del premier Monti, tra i protagonisti del grande gioco.
Nella penisola iberica capitano cose inaudite, che sembrano accettabili e “normali” solo perché la tivù appiattisce ogni notizia, dando meno spazio ad una rivolta di minatori che a una partita di calcio (e adesso ci saranno le Olimpiadi, attenzione!): ai lavoratori viene rubata anche la tredicesima, la protesta popolare incendia Madrid e il governo fantoccio di Rajoy risponde con metodi squadristici e pallottole di gomma; militari e molti poliziotti contestano la repressione e l’esecutivo fa votare in parlamento una legge franchista per zittirli; le comunidades autonomas dichiarano default [2] – la prima è stata Valencia – e qualcuno lancia l’idea geniale di un governo (fintamente) “tecnico” alla Monti, mentre l’aumento delle tasse aeroportuali allontana le compagnie low cost e mette in ginocchio l’unica risorsa su cui la Spagna può ancora contare, il turismo.
 
In Italia la situazione è poco seria (la ciliegina sullo sterco è una strombazzata, poi smentita, quindi nuovamente annunciata “ridiscesa in campo”), ma non meno grave, se è vero che anche da noi si studia uno scherzetto ammazza-PIL ai danni delle tredicesime, lo spread vola ad altezze berlusconiane (528) a onta della macelleria sociale, e si prova ad assicurare a Mario Monti la dittatura a vita, se necessario attraverso elezioni anticipate [3].
Previsioni del tempo fino a dicembre 2012, estese a tutto il bacino mediterraneo: costante vento di spread, con raffiche improvvise e devastanti; arrivo da oltreoceano di un fronte temporalesco liberista; diluvi su welfare e autonomie locali; probabile formarsi, in quota, di governi tecnocratici di unità nazionale – drammatica restrizione delle libertà e immiserimento diffuso e senza scampo, causato da grandinate di “riforme” (naturalmente “indifferibili” e “non negoziabili”) e fiscal compact.
Poi l’aria gelida si sposterà più a nord, verso l’Europa centrosettentrionale: il declassamento dell’outlook (=prospettive economico-finanziarie) per Germania e Olanda è una rondine che fa inverno, e sarà seguito – risolte le pratiche Spagna e Italia – da attacchi concentrici alle economie dei Paesi (che si credono) forti. L’euro verrà tenuto artificialmente in vita fin quando continuerà a rappresentare un efficace strumento di ricatto, poi finirà nella spazzatura della storia, assieme alla disunione europea.
 
Il fine ultimo di chi manovra rating, Borse e spread è la privatizzazione selvaggia dell’Europa occidentale, secondo il modello americano: sulle macerie dello Stato sociale si possono, infatti, ammassare utili per migliaia di miliardi.
In un continente distrutto e sinizzato qualche economista annuncerà, tosto o tardi, di intravvedere segni di “crescita”; intanto, sarà sorto un nuovo “modello di sviluppo”: diritti solo per l’elite, controllo poliziesco totale, lavoro sostanzialmente coatto. Pochissimi honestiores, moltitudini di humiliores.
Il capitalismo sarà pure compatibile con la democrazia (per limitati periodi di tempo, e se non c’è altra opzione), ma preferisce senza dubbio la dittatura: il mondo perfetto è una gigantesca fabbrica, governata da un Politburo in cui il più moderato la pensa come Marchionne.
Da questi raffinati pianificatori e scienziati sociali non ci salverà di sicuro il riformismo.
 
 
 


[1] Divertente personaggio televisivo creato dal trio Aldo, Giovanni e Giacomo per Mai dire Gol (e interpretato dal primo).
 
[2] Presto potrebbe toccare anche a qualche regione italiana (la Sicilia?).
 
[3] Per non dare tempo a Grillo di crescere troppo, ed impedire all’embrione di opposizione “di sinistra” (Alba, Comitato NO Debito, FdS ecc.) di unirsi, e magari di acquisire consensi trasversali.
 
 

1 commento:

Mario Circello ha detto...

"Il capitalismo sarà pure compatibile con la democrazia (per limitati periodi di tempo, e se non c’è altra opzione), ma preferisce senza dubbio la dittatura..."

No! Il capitalismo è l'antitesi della democrazia. Esso, è dittatura!

Noi viviamo in democratura (Cit. Massimo Fini - "Sudditi. Manifesto contro la democrazia").

Fra l'altro, anche la democrazia - tanto di moda e sulla bocca di tutti - non è altro che una degenerazione, come - ironia della sorte - ci aveva già detto più di 2'300 anni fa, uno dei greci più illustri della storia: Aristotele.

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