l’altra
europa con tsipras: buoni propositi e metodi discutibili
di
Norberto Fragiacomo
L’ultimo giorno di febbraio mi è capitato di assistere, al
Cafè San Marco, alla presentazione triestina della lista “L’altra Europa con
Tsipras”.
Rincasato, scrissi un breve commento a caldo, che trasudava
perplessità. Ne riporto il passaggio iniziale: “Seduti al tavolino i promotori
(area de Il Manifesto, pacifisti) e un’esponente di SeL che, per essere il
partito ultimo arrivato in una realtà abbastanza insofferente ai partiti,
ricopre un ruolo alquanto vistoso. I segretari di PRC e PdCI erano invece fra
il pubblico. Insomma, a chi è saltato sul carro in extremis – ma sempre tenendo
sott’occhio la carrozza di Schultz - hanno affidato le briglie, agli altri
nisba (a parte la delega a raccogliere le firme, ovviamente: quella è roba da
militanti, non da “intellettuali” o Sinistra Moderna e Postideologica).”
Esprimevo altresì qualche dubbio
sulle modalità di scelta delle candidature (anzi, delle “candidature delle
candidature”, che paiono – a distanza di pochi giorni – essersi già arenate) e
su alcuni aspetti del programma, che mi sembrava – e tuttora mi sembra – “cauto
e, insieme, velleitario.”
Per quanto riguarda le
candidature e l’eccesso di visibilità dato a SeL, il compagno Alessandro
Capuzzo – uno dei promotori – ha precisato, in calce al mio post, quanto segue:
“Quando
ci siamo riuniti nella sede di RC SeL non c'era, e abbiamo lavorato da soli
(fra alcuni dei firmatari che è stato possibile contattare) nella speranza che
le cose andassero finalmente in porto. Anche nella formulazione delle
candidature. Una delle quali SeL ha proposto autonomamente, come qualunque
delle forze politiche avrebbe potuto fare iscrivendosi ai comitati di sostegno.”
Conosco il compagno Capuzzo dai tempi della comune
militanza nel No Debito, e ho di lui grande stima; il fatto stesso che si sia
premurato di fornire una sorta di “interpretazione autentica” degli eventi è
indice di onestà e trasparenza. Questo mi sta benissimo, ma mi interrogo: ricevuta
l’adesione di SeL non sarebbe stato opportuno contattare anche le altre forze
politiche organizzate della provincia? Mi risulta che, un paio di anni orsono,
IdV, PRC, PdCI, PSI e SeL abbiano costituito un coordinamento per confrontarsi
sulle questioni di interesse locale; inoltre, Paolo Ferrero e la sua
Rifondazione sono stati i principali sponsor dell’operazione Tsipras, attivi
almeno dallo scorso autunno (quando i famosi sei intellettuali erano in
tutt’altre faccende affaccendati, e Nichi Vendola esternava ai quattro venti il
suo entusiasmo per il socialista tedesco del ‘14 Schultz). Non va dimenticato
che, all’inizio, i partiti - o almeno i partiti comunisti - sono stati tenuti
ai margini dell’operazione dai promotori stessi (quelli nazionali, intendo): il
cambio di rotta andava dunque in qualche maniera pubblicizzato, per non far
torto a nessuno. Falso problema, in realtà: il cambio di rotta non c’è stato.
Questa ambiguità di fondo (partiti no, partiti ni, magari
un partito sì e gli altri no, ma qua e là, non dappertutto) è riecheggiata pure
nel discorso di Argiris Panagopoulos, corrispondente da Atene del Manifesto ed
autorevole esponente di Syriza. Il giornalista greco che, avendo studiato a
Perugia, parla un italiano perfetto è stato autore dell’intervento più
significativo, dopo quelli abbastanza brevi di Marino Calcinari, iscritto al
PRC ma qui in veste di battitore libero (“questa è una lotta contro il
neoliberismo, noi siamo per un’Europa costruita sulla cultura, l’economia
solidale e, soprattutto, sulla democrazia. Nella scelta dei candidati abbiamo
optato per persone che hanno sempre creduto in alcuni valori fondamentali”),
del citato Capuzzo – che si è focalizzato sul tema, a lui caro, del pacifismo –
e di una giovane esponente di Sinistra Ecologia Libertà.
Panagopoulos ha parlato del rischio di nuove separazioni,
come quella che sta avvenendo in Ucraina. Dov’era l’Europa, mentre a Kiev si
moriva? All’Europa non importa niente di nessuno, pure in Grecia e in Spagna è
in corso una guerra. In Grecia hanno distrutto completamente il sistema
sanitario, com’è avvenuto nell’ex URSS (che pure il relatore dichiara di non
rimpiangere). In tutti i Paesi scompare la classe media, le città diventano
deserti. Non c’è manco un cinema a Perugia, dove lui ha studiato: è in atto un
cambiamento antropologico. Quando Syriza ha detto che questo debito non andava
pagato, si è scatenata una guerra politico-mediatica contro la formazione
politica greca, ma oggi persino il Fmi riconosce l’erroneità delle politiche europee.
Syriza chiede una conferenza per il debito, quando sarà al governo porrà la
questione con riguardo a tutti i Paesi. Gli avversari da battere sono PPE e
PSE, che portano avanti la medesima politica (“Schultz e Juncker sono entrambi
candidati della Merkel”), e i populismi xenofobi. Panagopoulos ha poi elogiato
gli italiani (“avete fatto in poche settimane quello che in Grecia abbiamo
fatto in anni”: captatio benevolentiae,
presa in giro o semplice abbaglio?), ed esortato – questo passaggio mi ha
soddisfatto – a valorizzare le cose che uniscono, mettendo da parte quelle che
dividono (“non ci si può dividere di fronte a questi barbari, o siamo perduti!
1+1 non fa 2, fa 42!”). Fondamentale resta “convincere la gente a tornare a
votare e lottare, poi qui vedo pochi giovani, senza giovani – sono loro le
principali vittime della crisi – non faremo niente!”
Elogio degli italiani a parte (persino in Austria e in
Slovenia sono assai più avanti di noi sulla strada di una sinistra unita)
un’ottima allocuzione, ma – come dicevo – con qualche elemento di ambiguità.
Ambiguità forse inevitabili, visto il contesto. Dopo la sviolinata
all’associazionismo, l’esponente di Syriza ha chiarito che “non si può andare
avanti senza i partiti, ma litigare su idee superate è inutile. Dobbiamo stare
tutti insieme per fare cose comuni, visto che la crisi durerà anni.” Partiti e
associazioni, dunque… perlomeno in Italia, visto che altrove la Lista Tsipras è un partito tout court (Izquierda Unida
in Spagna, la nuova sinistra unita in Slovenia ecc.), e pazienza se le due
componenti si guardano in cagnesco, malgrado il fatto che i sostenitori della
società civile ricoprano sovente cariche di partito…
Questa sovrapposizione di ruoli, questa vicendevole e un
po’ schizofrenica assenza di fiducia hanno già causato un bel po’ di problemi.
In nome della trasparenza, della democrazia e di un antipartitismo vagamente
populista, i “saggi” (Spinelli, Viale, Revelli ecc.) si sono arrogati il
diritto di decidere simboli e candidature; la stessa cosa è stata fatta a
livello locale, anche se senza esiti apprezzabili (quasi tutti i triestini “candidati
alla candidatura” sono rimasti a mani vuote).
Nonostante qualche querelle un po’ ridicola, e comunque
inutile (Camilleri non voleva Casarini in lista, sarebbe intervenuto
direttamente Alexis Tsipras per “imporre” l’inclusione di chi, bene o male, la
globalizzazione la combatte da 15 anni), le candidature uscite il mercoledì
delle ceneri sembrano di spessore, anche se si notano soprattutto le assenze
(dov’è finito Emiliano Brancaccio?); la decisione, tuttavia, di ostracizzare i
Comunisti Italiani, provocandone la giustificata reazione, non appare
particolarmente “saggia”. Se Atene piange, Sparta non ride: la stessa SeL,
privilegiata – mediaticamente – a livello giuliano, è stata snobbata sul piano
nazionale. Partiti all’angolo, quindi, e tra pochi giorni parte la raccolta
firme… chi le raccoglierà, il professor Prosperi e Moni Ovadia, durante
l’intervallo dei suoi coinvolgenti spettacoli? Anche il ritiro, da parte del
bravo Camilleri, della candidatura “di bandiera” sembra più una ripicca che
altro – e visto che abbiamo di fronte dei “banditi” sarebbe il caso di
rinunciare ai protagonismi: quelli
non fanno prigionieri.
Sinteticamente: l’antidoto
alla prepotenza delle segreterie è il coinvolgimento attivo della cittadinanza
consapevole, non la benevola ma inflessibile dittatura di un manipolo di
intellettuali autoconvocati.
Potrei anche dilungarmi su un altro tasto – per me –
dolente, la pretesa irrealistica (visti i rapporti di forza e l’indisponibilità
della controparte a scendere a patti) di “rinegoziare i trattati”, che vanno
invece stracciati; preferisco tuttavia sottolineare in positivo, oltre al
carattere sovranazionale dell’esperimento, che il riferimento fatto – non
ricordo da quale dei promotori nazionali – ad un Parlamento “costituente”
implica la volontà di andare ben oltre una blanda contestazione del sistema
attuale, e ricorda a chi scrive le parole pronunciate da Franco Russo nella
bella intervista che ci ha concesso in febbraio (http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2014/02/franco-russo-necessario-un-progetto.html).
La formula “Parlamento costituente” significa azzeramento delle istituzioni
esistenti, palesemente antidemocratiche (e dunque “rottura dell’Europa dei
mercati”), oppure non significa nulla.
Insomma, ombre e luci (tra cui annovero anche un sondaggio
che dà “La Nuova Europa” al 7,2%, anche se la lezione di Ingroia consiglia
cautela), e contraddizioni forse fisiologiche in una forza messa insieme in
fretta e furia - fatto sta che questa lista ci si offre come l’unico strumento
teoricamente idoneo a modificare un quadro desolante, a “sparigliare” le carte.
Male che vada, servirà a far capire alle masse – sempre miopi, ma oggi
doverosamente preoccupate – che cosa sia davvero l’Europa di Maastricht.
Sempreché i nostri cavalieri – intellettuali o dirigenti di
partito che siano – si concentrino sull’impresa, mettendo da parte orgoglio,
ambizioncelle e personalismi: purtroppo per gli europei questa partita non è
affatto un gioco.
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