CONTRATTO
ALIMENTARI: LA LOTTA PAGA… MA PER CHI?
di Lorenzo Mortara
105
euro di aumento in quattro anni, poco più di 25 euro lordi all’anno,
meno di 20 euro netti al mese. 21 euro in meno in quattro anni, in
proporzione il 41% in meno rispetto al precedente rinnovo che ne
aveva portati a casa 126 in tre! La
lotta paga
annuncia roboante la FLAI CGIL. Certamente diciamo noi. La Storia lo
dimostra. Sempre. Ma perché allora a dirlo è chi quella lotta non
la vuol mai fare perché la teme come la peste? Qui gatta ci cova
direbbe qualcuno…
Fin
dalle prime parole dei padroni apprendiamo dell’ennesimo contratto
che soddisfa tutti. «Vincono
i diritti»,
chiosa Stefania Crogi, Segretaria Generale della FLAI-CGIL, e «sono
importanti – risponde Luigi Scordamaglia, presidente di
Federalimentare – i risultati raggiunti, assolutamente
inediti rispetto ai precedenti contratti».
Come da consueto, stucchevole siparietto, festeggiano i sindacalisti
e brindano i padroni. Ne segue che pagheranno i lavoratori, perché
tra burocrazia sindacale e padronato, solo il secondo ha coscienza
della sua “felicità” contrattuale, perché in caso contrario ci
rimette direttamente, la burocrazia sindacale invece no, è al riparo
dei disastri che combina sulla pelle dei lavoratori. Con paga
sganciata dai contratti che firma, al riparo dalle conseguenze
nefaste del JOBS ACT, con orari elastici ma non per questo
flessibili, la burocrazia CGIL può tranquillamente permettersi
l’incoscienza degli interessi della classe per cui firma accordi e
contratti.
Se
la lotta pagasse davvero non sentiremmo Federalimentare
esprimersi in questa maniera a proposito dell’aumento: «compatibile
con le esigenze di contenimento dei costi in una fase di faticoso
rilancio, dopo lunghi anni di stagnazione produttiva e di crisi» (Il
Sole24Ore-
6 Febbraio 2016). Tradotto dal linguaggio padronale, l’aumento, se
va bene, recupera a malapena l’inflazione. E
siccome è il potere d’acquisto il vero metro del salario, ne segue
che non c’è nessun aumento.
Per forza dicono i padroni, visto che l’inflazione è zero. Quando
però è anche la burocrazia sindacale a dirlo facendosi forte della
cifra misera che ha racimolato, la scusa dell’inflazione si fa
davvero preoccupante. A parte il fatto che tra indice IPCA e altri
trucchi, l’inflazione reale è sempre maggiore rispetto a quella
stabilita ad arte dai padroni, ma va detto che in una società divisa
in classi anche l’inflazione non può essere interclassista.
Infatti, tra continui tagli a tutti i servizi pubblici e aumento di
tasse nazionali, regionali e locali, le spese integrative che i
lavoratori devono sostenere per la disintegrazione più o meno totale
di ogni gratuità pubblica, sono di gran lunga superiori a quelle
previste dagli indici inflattivi stabiliti dal padronato. 200 euro di
aumento, quindi, appaiono come la cifra minima per recuperare davvero
la nostra
inflazione. Già, perché solo noi la dobbiamo recuperare. Perché,
se la nostra inflazione è molto più alta di quella interclassista,
quella dei padroni, è addirittura più bassa. Infatti, mentre il
paniere del lavoratore è in continuo aumento, tra affitti alle
stelle, rincari di bollette, asili da pagare, vecchi da mantenere e
infinite altre spese da Stato (borghese) assente, al contrario il
paniere del Capitale, tra sgravi contributivi (Jobs Act), rinnovi
contrattuali ogni dieci anni (macchinisti), voucher, lavori gratuiti
(vedi EXPO), pagamenti in nero, paradisi fiscali, condoni e
agevolazioni d’ogni tipo, è in deflazione permanente. È proprio
grazie a questo duplice aspetto dell’inflazione che è stato
possibile, nel giro di 20 anni, il travaso di reddito dalle nostre
tasche alle loro. Eppure, stante l’inflazione ufficialmente a zero,
mentre il nostro salario secondo la loro teoria non ha il diritto di
aumentare, il profitto, con la stessa presunta inflazione, ha il
sacrosanto dovere di continuare a crescere. Ed è strano, perché se
proprio non si possono alzare i salari quando l’inflazione è zero,
almeno si dovrebbe pretendere che neanche i profitti possano farlo.
Guai! Non sia mai che la nostra dirigenza si ponga un simile
traguardo, è già troppo rivoluzionario, a lei basta gongolare
felice di aver recuperato l’inflazione stabilita dai padroni! E
questo significa che quand’anche fosse vero, anche per questo
rinnovo, e quindi per i prossimi quattro anni, la FLAI-CGIL rinuncia
alla vera funzione del sindacato: quella di ridistribuire la
ricchezza prodotta.
Inchiodando
al palo dell’inflazione il salario, i padroni hanno ottenuto di
incamerarsi, per altri quattro anni, tutto l’incremento per unità
produttiva. Ecco perché 62 parassiti planetari, per altri quattro
anni possono dormire tranquilli, sicuri che nessuno, tanto meno il
nostro sindacato, proverà a toglierli il 51% della ricchezza
mondiale che detengono sotto il cuscino. Anzi, possono pure sognare –
povere stelle! – di arrivare tra quattro anni a possederne come il
61%. Devono solo aspettare il prossimo rinnovo!
L’importo
complessivo raggiunge poco più di 2800 euro nel quadriennio, 700
euro lordi all’anno, ma tenuto conto che il padronato risparmierà
sulla «moratoria di un anno sulla contrattazione aziendale di
secondo livello», si può dire a grandi linee che quello che verrà
dato nel primo anno a livello nazionale, sarà risparmiato a livello
aziendale. Ne segue che a occhio e croce possiamo tranquillamente far
scendere “l’incredibile” aumento degli alimentaristi, da 105
euro lordi in quattro anni, ai 75 euro in quattro anni e mezzo dei
chimici. Sì, perché oltre a risparmiare sul contratto di secondo
livello, i padroni risparmieranno anche su ulteriori 16 ore di
straordinario, trasformate in flessibili cioè in semigratuite, che
pagheranno come le altre 72 già ottenute nei rinnovi precedenti, con
maggiorazione al 20% anziché al 45%. Fatta a 10 euro la paga oraria,
son 40 euro all’anno di ulteriore risparmio per i padroni, 3,3 euro
al mese. I 20 euro netti di aumento mensile all’anno, si riducono a
poco più di 17, se li si calcola all’ingrosso della moratoria
sull’integrativo aziendale, e a 13-15 se li si calcola al netto. Ma
anche così è essere generosi. Infatti i 105 euro di aumento si
riferiscono a un ipotetico lavoratore inquadrato tra la 3ª
e la 3ªA. Solo chi ha la 3ªA riceverà il pieno aumento, anzi
persino qualcosina in più. La maggior parte degli alimentaristi,
inquadrati tra la 4ª e la 3ª, prenderà invece tra i 91 e 99 euro.
Per questi lavoratori, l’aumento è tanto soddisfacente che se per
caso uno di loro facesse la pazzia di iscriversi al sindacato, si
giocherebbe immediatamente l’aumento con la quota tessera! Dobbiamo
aggiungere altro?
Se
è vero come è vero che la lotta paghi, come è possibile allora che
paghi così poco? Semplice: il rinnovo del contratto degli
alimentaristi, non è il frutto della lotta, ma
della sospensione della lotta
che i dirigenti maggioritari della CGIL, hanno imposto ai lavoratori
alle prime briciole messe sul tavolo dai padroni. Tra queste, il
raddoppio temporale del congedo retribuito di sei mesi per le donne
vittime di violenza. Siamo felici per ogni donna che godrà di questa
conquista, ma è evidente che la partita del rinnovo contrattuale non
si giocava su questo. Ed è proprio per questo che i padroni non
hanno avuto molti problemi a concederla.
Tra
le altre briciole, gli RLS di sito, cioè qualche delegato e qualche
ora in più per la sicurezza, l’inclusione dei lavoratori
stagionali nei processi di stabilizzazione purché ciò avvenga nel
pieno rispetto dell’intangibile Jobs Act, cioè dell’assenza
dell’articolo 18 e di tutto il resto, e la divisione volontaria del
lavoro tra due part-time per far finta che l’occupazione sia
raddoppiata, cioè che la disoccupazione resti tale e quale a prima
se proprio non si riesce di farla aumentare per via contrattuale,
infine la valorizzazione, non si sa come, della contrattazione di
secondo livello, visto che per il primo anno è sospesa e dal secondo
non potrà chiedere nient’altro che voucher o cose analoghe da
welfare aziendale dato che viene stabilita la «non
sovrapponibilità fra materie e costi della contrattazione nazionale
con la contrattazione aziendale»,
vale a dire che nessuna RSU si potrà sognare di chiedere soldi,
tanto meno di avere indietro, a livello aziendale, anche solo una
della sedici ore di flessibilità in più che i dirigenti sindacali a
livello nazionale hanno dato ai padroni in cambio di niente.
Se
in questo rinnovo mancano il furto della contribuzione del TFR
previsto nel rinnovo dei bancari, l’eliminazione di un giorno di
ferie e del premio presenza come da contratto dei chimici,
l’inquadramento ribassato di 1 o 2 livelli per i neoassunti come
per il contratto del commercio e altre parti del profitto
accessorio
che Federchimica,
banche e grande distribuzione non si son fatti mancare, è solo
perché dopo un giorno di sciopero, i lavoratori dell’alimentare ne
hanno minacciato un secondo. Questo ha permesso di evitare le parti
più vergognose degli altri rinnovi che sono stati ottenuti o senza
un’ora di sciopero o fermandosi al primo giorno senza minacciarne
altri. Proprio per questo, il Presidente di Federalimentare si augura
che adesso si cambi. «Speriamo
– dice – sia l’ultimo CCNL chiuso con l’attuale modello. Lo
strumento è davvero inadeguato».
In breve, per stavolta Federalimentare si accontenta di lasciare per
strada alcuni dettagli, ma dal prossimo i sindacati dovranno
concedere anche quelli. Per ora ai padroni non serve infierire.
È
grazie a questi dettagli risparmiati rispetto agli infimi rinnovi dei
chimici, dei bancari e del commercio, che i dirigenti della FLAI-CGIL
possono cantare vittoria. Se lo facessimo, però, anche noi
dell’Opposizione Cgil, inganneremmo i lavoratori. E siccome non li
inganneremo mai, non possiamo farlo passare per buono ai loro occhi
come fa la burocrazia solo perché è meno pietoso degli altri! Del
resto come fa ad essere buono un rinnovo contrattuale che, nelle
parole della stessa Crogi: «recepisce
lo spirito e le linee contenute nella proposta di nuovo modello
contrattuale avanzata nelle scorse settimane da CGIL, CISL e UIL».
Questa è la prova, se ancora ne serviva una, che anche il rinnovo
degli alimentaristi, non va affatto bene. Infatti, migliore
o peggiore degli altri che sia, anche il nuovo contratto degli
alimentaristi asseconda gli eventi. E il contratto buono è quello
che li inverte.
Ecco,
completo, il quadro di tutto quello che c’è, e soprattutto non
c’è, nel nuovo contratto dell’alimentare. Ben si capisce perché
i padroni festeggino. Accanto a loro, col bicchiere in mano e lo
champagne al bicarbonato dentro, i nostri dirigenti, eternamente
beati per niente, rappresentano la cosiddetta ciliegina sulla torta.
Con dei dirigenti così, infatti, che firmano la resa al grido della
lotta che paga, i padroni hanno anche ottenuto, per i prossimi 4
anni, di dare ai i lavoratori tutto il tempo necessario per
riflettere e concludere che, se la lotta che paga è questa, la
prossima volta sarà meglio non farla. E la disfatta sarà completa.
Lorenzo
Mortara
RSU
FIOM YKK Vercelli
DIRETTIVO
CGIL PIEMONTE
IL
SINDACATO È UN’ALTRA COSA
Stazione
dei Celti
Domenica
7 Febbraio 2016
La vignetta è del Maestro Enzo Apicella
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