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giovedì 11 febbraio 2016

CONTRATTO ALIMENTARI: LA LOTTA PAGA… MA PER CHI? di Lorenzo Mortara




CONTRATTO ALIMENTARI: LA LOTTA PAGA… MA PER CHI?
di Lorenzo Mortara




105 euro di aumento in quattro anni, poco più di 25 euro lordi all’anno, meno di 20 euro netti al mese. 21 euro in meno in quattro anni, in proporzione il 41% in meno rispetto al precedente rinnovo che ne aveva portati a casa 126 in tre! La lotta paga annuncia roboante la FLAI CGIL. Certamente diciamo noi. La Storia lo dimostra. Sempre. Ma perché allora a dirlo è chi quella lotta non la vuol mai fare perché la teme come la peste? Qui gatta ci cova direbbe qualcuno…

Fin dalle prime parole dei padroni apprendiamo dell’ennesimo contratto che soddisfa tutti. «Vincono i diritti», chiosa Stefania Crogi, Segretaria Generale della FLAI-CGIL, e «sono importanti – risponde Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare – i risultati raggiunti, assolutamente inediti rispetto ai precedenti contratti». Come da consueto, stucchevole siparietto, festeggiano i sindacalisti e brindano i padroni. Ne segue che pagheranno i lavoratori, perché tra burocrazia sindacale e padronato, solo il secondo ha coscienza della sua “felicità” contrattuale, perché in caso contrario ci rimette direttamente, la burocrazia sindacale invece no, è al riparo dei disastri che combina sulla pelle dei lavoratori. Con paga sganciata dai contratti che firma, al riparo dalle conseguenze nefaste del JOBS ACT, con orari elastici ma non per questo flessibili, la burocrazia CGIL può tranquillamente permettersi l’incoscienza degli interessi della classe per cui firma accordi e contratti.


Se la lotta pagasse davvero non sentiremmo Federalimentare esprimersi in questa maniera a proposito dell’aumento: «compatibile con le esigenze di contenimento dei costi in una fase di faticoso rilancio, dopo lunghi anni di stagnazione produttiva e di crisi» (Il Sole24Ore- 6 Febbraio 2016). Tradotto dal linguaggio padronale, l’aumento, se va bene, recupera a malapena l’inflazione. E siccome è il potere d’acquisto il vero metro del salario, ne segue che non c’è nessun aumento. Per forza dicono i padroni, visto che l’inflazione è zero. Quando però è anche la burocrazia sindacale a dirlo facendosi forte della cifra misera che ha racimolato, la scusa dell’inflazione si fa davvero preoccupante. A parte il fatto che tra indice IPCA e altri trucchi, l’inflazione reale è sempre maggiore rispetto a quella stabilita ad arte dai padroni, ma va detto che in una società divisa in classi anche l’inflazione non può essere interclassista. Infatti, tra continui tagli a tutti i servizi pubblici e aumento di tasse nazionali, regionali e locali, le spese integrative che i lavoratori devono sostenere per la disintegrazione più o meno totale di ogni gratuità pubblica, sono di gran lunga superiori a quelle previste dagli indici inflattivi stabiliti dal padronato. 200 euro di aumento, quindi, appaiono come la cifra minima per recuperare davvero la nostra inflazione. Già, perché solo noi la dobbiamo recuperare. Perché, se la nostra inflazione è molto più alta di quella interclassista, quella dei padroni, è addirittura più bassa. Infatti, mentre il paniere del lavoratore è in continuo aumento, tra affitti alle stelle, rincari di bollette, asili da pagare, vecchi da mantenere e infinite altre spese da Stato (borghese) assente, al contrario il paniere del Capitale, tra sgravi contributivi (Jobs Act), rinnovi contrattuali ogni dieci anni (macchinisti), voucher, lavori gratuiti (vedi EXPO), pagamenti in nero, paradisi fiscali, condoni e agevolazioni d’ogni tipo, è in deflazione permanente. È proprio grazie a questo duplice aspetto dell’inflazione che è stato possibile, nel giro di 20 anni, il travaso di reddito dalle nostre tasche alle loro. Eppure, stante l’inflazione ufficialmente a zero, mentre il nostro salario secondo la loro teoria non ha il diritto di aumentare, il profitto, con la stessa presunta inflazione, ha il sacrosanto dovere di continuare a crescere. Ed è strano, perché se proprio non si possono alzare i salari quando l’inflazione è zero, almeno si dovrebbe pretendere che neanche i profitti possano farlo. Guai! Non sia mai che la nostra dirigenza si ponga un simile traguardo, è già troppo rivoluzionario, a lei basta gongolare felice di aver recuperato l’inflazione stabilita dai padroni! E questo significa che quand’anche fosse vero, anche per questo rinnovo, e quindi per i prossimi quattro anni, la FLAI-CGIL rinuncia alla vera funzione del sindacato: quella di ridistribuire la ricchezza prodotta.

Inchiodando al palo dell’inflazione il salario, i padroni hanno ottenuto di incamerarsi, per altri quattro anni, tutto l’incremento per unità produttiva. Ecco perché 62 parassiti planetari, per altri quattro anni possono dormire tranquilli, sicuri che nessuno, tanto meno il nostro sindacato, proverà a toglierli il 51% della ricchezza mondiale che detengono sotto il cuscino. Anzi, possono pure sognare – povere stelle! – di arrivare tra quattro anni a possederne come il 61%. Devono solo aspettare il prossimo rinnovo!

L’importo complessivo raggiunge poco più di 2800 euro nel quadriennio, 700 euro lordi all’anno, ma tenuto conto che il padronato risparmierà sulla «moratoria di un anno sulla contrattazione aziendale di secondo livello», si può dire a grandi linee che quello che verrà dato nel primo anno a livello nazionale, sarà risparmiato a livello aziendale. Ne segue che a occhio e croce possiamo tranquillamente far scendere “l’incredibile” aumento degli alimentaristi, da 105 euro lordi in quattro anni, ai 75 euro in quattro anni e mezzo dei chimici. Sì, perché oltre a risparmiare sul contratto di secondo livello, i padroni risparmieranno anche su ulteriori 16 ore di straordinario, trasformate in flessibili cioè in semigratuite, che pagheranno come le altre 72 già ottenute nei rinnovi precedenti, con maggiorazione al 20% anziché al 45%. Fatta a 10 euro la paga oraria, son 40 euro all’anno di ulteriore risparmio per i padroni, 3,3 euro al mese. I 20 euro netti di aumento mensile all’anno, si riducono a poco più di 17, se li si calcola all’ingrosso della moratoria sull’integrativo aziendale, e a 13-15 se li si calcola al netto. Ma anche così è essere generosi. Infatti i 105 euro di aumento si riferiscono a un ipotetico lavoratore inquadrato tra la 3ª e la 3ªA. Solo chi ha la 3ªA riceverà il pieno aumento, anzi persino qualcosina in più. La maggior parte degli alimentaristi, inquadrati tra la 4ª e la 3ª, prenderà invece tra i 91 e 99 euro. Per questi lavoratori, l’aumento è tanto soddisfacente che se per caso uno di loro facesse la pazzia di iscriversi al sindacato, si giocherebbe immediatamente l’aumento con la quota tessera! Dobbiamo aggiungere altro?

Se è vero come è vero che la lotta paghi, come è possibile allora che paghi così poco? Semplice: il rinnovo del contratto degli alimentaristi, non è il frutto della lotta, ma della sospensione della lotta che i dirigenti maggioritari della CGIL, hanno imposto ai lavoratori alle prime briciole messe sul tavolo dai padroni. Tra queste, il raddoppio temporale del congedo retribuito di sei mesi per le donne vittime di violenza. Siamo felici per ogni donna che godrà di questa conquista, ma è evidente che la partita del rinnovo contrattuale non si giocava su questo. Ed è proprio per questo che i padroni non hanno avuto molti problemi a concederla.

Tra le altre briciole, gli RLS di sito, cioè qualche delegato e qualche ora in più per la sicurezza, l’inclusione dei lavoratori stagionali nei processi di stabilizzazione purché ciò avvenga nel pieno rispetto dell’intangibile Jobs Act, cioè dell’assenza dell’articolo 18 e di tutto il resto, e la divisione volontaria del lavoro tra due part-time per far finta che l’occupazione sia raddoppiata, cioè che la disoccupazione resti tale e quale a prima se proprio non si riesce di farla aumentare per via contrattuale, infine la valorizzazione, non si sa come, della contrattazione di secondo livello, visto che per il primo anno è sospesa e dal secondo non potrà chiedere nient’altro che voucher o cose analoghe da welfare aziendale dato che viene stabilita la «non sovrapponibilità fra materie e costi della contrattazione nazionale con la contrattazione aziendale», vale a dire che nessuna RSU si potrà sognare di chiedere soldi, tanto meno di avere indietro, a livello aziendale, anche solo una della sedici ore di flessibilità in più che i dirigenti sindacali a livello nazionale hanno dato ai padroni in cambio di niente.

Se in questo rinnovo mancano il furto della contribuzione del TFR previsto nel rinnovo dei bancari, l’eliminazione di un giorno di ferie e del premio presenza come da contratto dei chimici, l’inquadramento ribassato di 1 o 2 livelli per i neoassunti come per il contratto del commercio e altre parti del profitto accessorio che Federchimica, banche e grande distribuzione non si son fatti mancare, è solo perché dopo un giorno di sciopero, i lavoratori dell’alimentare ne hanno minacciato un secondo. Questo ha permesso di evitare le parti più vergognose degli altri rinnovi che sono stati ottenuti o senza un’ora di sciopero o fermandosi al primo giorno senza minacciarne altri. Proprio per questo, il Presidente di Federalimentare si augura che adesso si cambi. «Speriamo – dice – sia l’ultimo CCNL chiuso con l’attuale modello. Lo strumento è davvero inadeguato». In breve, per stavolta Federalimentare si accontenta di lasciare per strada alcuni dettagli, ma dal prossimo i sindacati dovranno concedere anche quelli. Per ora ai padroni non serve infierire.

È grazie a questi dettagli risparmiati rispetto agli infimi rinnovi dei chimici, dei bancari e del commercio, che i dirigenti della FLAI-CGIL possono cantare vittoria. Se lo facessimo, però, anche noi dell’Opposizione Cgil, inganneremmo i lavoratori. E siccome non li inganneremo mai, non possiamo farlo passare per buono ai loro occhi come fa la burocrazia solo perché è meno pietoso degli altri! Del resto come fa ad essere buono un rinnovo contrattuale che, nelle parole della stessa Crogi: «recepisce lo spirito e le linee contenute nella proposta di nuovo modello contrattuale avanzata nelle scorse settimane da CGIL, CISL e UIL». Questa è la prova, se ancora ne serviva una, che anche il rinnovo degli alimentaristi, non va affatto bene. Infatti, migliore o peggiore degli altri che sia, anche il nuovo contratto degli alimentaristi asseconda gli eventi. E il contratto buono è quello che li inverte.

Ecco, completo, il quadro di tutto quello che c’è, e soprattutto non c’è, nel nuovo contratto dell’alimentare. Ben si capisce perché i padroni festeggino. Accanto a loro, col bicchiere in mano e lo champagne al bicarbonato dentro, i nostri dirigenti, eternamente beati per niente, rappresentano la cosiddetta ciliegina sulla torta. Con dei dirigenti così, infatti, che firmano la resa al grido della lotta che paga, i padroni hanno anche ottenuto, per i prossimi 4 anni, di dare ai i lavoratori tutto il tempo necessario per riflettere e concludere che, se la lotta che paga è questa, la prossima volta sarà meglio non farla. E la disfatta sarà completa.




Lorenzo Mortara
RSU FIOM YKK Vercelli
DIRETTIVO CGIL PIEMONTE
IL SINDACATO È UN’ALTRA COSA

Stazione dei Celti

Domenica 7 Febbraio 2016




La vignetta è del Maestro Enzo Apicella





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