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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 6 ottobre 2016

ZAGREBELSKY? FORSE HA SEMPLICEMENTE SBAGLIATO “CONTESTO” di Norberto Fragiacomo




ZAGREBELSKY? FORSE HA SEMPLICEMENTE SBAGLIATOCONTESTO
di
Norberto Fragiacomo




La “spersonalizzazione” del Referendum costituzionale – che, inizialmente previsto per ottobre, si terrà invece alla vigilia dell’inverno – è stata solo un’abile finta di Renzi, cui i media peraltro seguitano a (fingere a loro volta di) abboccare: nelle ultime settimane il premier è tornato prepotentemente in campo, atteggiandosi ad agitprop del SI in qualunque circostanza e di fronte a qualsiasi oppositore.
La disfida con Marco Travaglio dalla Gruber (del tutto impari, se conteggiamo i minuti concessi all’uno e all’altro contendente) è stata solamente l’aperitivo di un “duello al sole”, tenutosi in prima serata tra il fiorentino e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, anima argomentante del fronte del NO.

Ora, sul confronto si è detto e scritto di tutto: per i poveri di spirito – come sempre suggestionabili con ammiccamenti e mossette - Renzi avrebbe “asfaltato” il suo interlocutore1, mentre persone di maggior caratura, schierate per il NO, hanno evidenziato come il professore, pur ricorrendo a un linguaggio piano e comprensibile, sia stato penalizzato da un contesto - quello televisivo - che valorizza lo slogan e la battuta ad effetto molto più di un pacato argomentare. Non avendo assistito all’intero dibattito devo limitarmi a poche annotazioni. La mia impressione è che il professor Zagrebelsky sia partito un po’ in sordina, conscio della maggior consuetudine del primo ministro con il mezzo televisivo, e poi – col trascorrere del tempo – abbia acquistato sicurezza, piazzando alcune stoccate anche piuttosto efficaci, come quando, infastidito dall’untuosa litania di Renzi “io mi sono formato sui suoi testi, professore”, ha risposto tranchant che i libri bisogna saperli leggere, o quando ha lasciato intendere, di fronte ad insinuazioni particolarmente spudorate del fiorentino, che se avesse supposto che la contesa si sarebbe incentrata sulla coerenza dell’uno e dell’altro avrebbe approfondito la biografia del contraddittore e, a quel punto, di cose da dire ne avrebbe avute a iosa.

 A chi ha rimproverato al Presidente emerito della Consulta una certa mancanza di incisività replico che un intellettuale autentico ha bisogno di tempo per articolare il suo ragionamento; che se viene sistematicamente e metodicamente interrotto da una controparte che, all’opposto, parla per frasi fatte (da qualche spin doctor lautamente pagato) rischia di andare in affanno proprio per le maggiori sue preparazione e serietà; che, infine, indipendentemente dalla bravura del docente, non tutti i concetti possono essere spiegati in due parole: la sintesi è un dono, il pressapochismo un pessimo regalo fatto all’ascoltatore. La mia sensazione è che Zagrebelsky, finissimo giurista e uomo perbene, abbia accettato per senso del dovere una sfida su un terreno a lui estremamente sfavorevole e ne sia uscito a testa alta: si è trattato, insomma, di un atto di coraggio civile, che si aggiunge alle appassionate prese di posizione e alle approfondite analisi sui difetti della riforma che il Fatto Quotidiano ha pubblicato nei mesi scorsi. L’accusa, formulata nei suoi confronti dall’ottimo Aldo Giannuli, di “non saper parlare alla casalinga di Voghera” è completamente assurda: chi s’impegna in una battaglia ideale non può e non deve inseguire il demagogo sulla strada della cialtroneria, pena il venir meno delle ragioni e delle motivazioni della lotta. Nel composito schieramento del NO c’è spazio per personaggi diversissimi come Zagrebelsky, Freccero, Moni Ovadia, Fiorella Mannoia e Scanzi (che a parer mio, grazie alla battuta micidiale e non preconfezionata, è il più indicato a battere Renzi sul suo campo): a ognuno va riconosciuto un ruolo differente a seconda di inclinazioni e indole – ma quello del “ballista” non è contemplato, lo lascio volentieri a quanti si ergono a paladini della c.d. riforma Boschi, compreso qualche “emerito” assai meno rispettabile del professor Zagrebelsky.

Fin qui sono rimasto sulle generali anche perché, come premesso, non ho seguito la discussione dal principio alla fine. C’è stato un passaggio, però, nel discorso del costituzionalista che mi ha lasciato lievemente perplesso: alludo ai riferimenti al “contesto” all’interno del quale va calata la riforma, che non è evidentemente il contesto in cui si è svolto il dibattito. Zagrebelsky ha tracciato un ardito parallelismo tra la costituzione del Centro Africa di Bokassa e quella americana, sostenendo che è la situazione di fatto più che una Carta, buona o cattiva che sia, a determinare il tasso di democrazia di un Paese. Mettiamo fra parentesi l’indignazione posticcia di Renzi, mera posa retorica, e concentriamoci sul ragionamento: la costituzione materiale si impone a lungo andare su quella formale. Non occorreva volare in Africa per appurarlo: basta tenere a mente l’esperienza di Weimar e quello che ovunque sta avvenendo nell’Europa odierna, dove le norme fondamentali vengono svuotate di significato, talora espressamente (nuova formulazione dell’art. 81 in Italia), talvolta senza clamori. Si tratta di una considerazione alquanto banale per chi ha una certa familiarità col marxismo: è la struttura (lo stato dei rapporti economici all’interno di una società) a influenzare potentemente la sovrastruttura (il diritto, in questo caso), non viceversa. Il sentiero è però troppo impervio per Zagrebelsky, democratico sincero e moderatamente “di sinistra”, ma anzitutto giurista, con tutto quel che ne consegue, soprattutto in termini di forma mentis. No, lui non voleva “svalutare” il diritto, bensì inserirlo in una cornice non tanto economica quanto politica.

Nel caso di specie il “contesto” che, combinandosi con la riforma in atto, potrebbe condurre a un brusco passaggio dalla democrazia all’autoritarismo in Italia è rappresentato – spero di aver bene inteso il suo pensiero, ma questo ha detto – dalla vigenza di una legge elettorale poco rispettosa della reale volontà degli elettori e dall’emergere, a livello continentale, di destre nazionaliste e xenofobe. Trattasi, in fondo, di argomento caro alla c.d. sinistra dem, Bersani in testa, che si accontenterebbe di una riforma della legge elettorale: esaudito il pio desiderio, il “ni” recentemente evolutosi in un cauto “no” tornerebbe uno squillante “sì”. Non so se l’ex Presidente veda la faccenda come la vede un Cuperlo, penso onestamente di no, ma il monito sui pericoli di una deriva di destra (nel senso di fascista-nazionalista), ripetuto più volte, non lascia dubbi su chi, per Zagrebelsky, sia l’avversario più insidioso. D’altra parte, lui stesso ha chiarito di non scorgere tentazioni autoritarie nell’attuale premier e nel suo esecutivo (che pure non gli piace: il riferimento all’oligarchia era una stilettata), ma di aver timore di futuri governi estremisti.

Mi chiedo: si può considerare “contesto” una legge elettorale sicuramente obbrobriosa, ma non ancora messa alla prova? Lo escludo: essa è semmai un effetto del contesto, una spia che segnala una situazione. Inoltre, al pari della riforma Boschi, l’Italicum è stata voluto e approvato dall’attuale maggioranza di governo, non da una futuribile “destra nazionalista” dagli incerti contorni. Stando così le cose, il “contesto” zagrebelskiano si rivela del tutto evanescente, e soprattutto inverosimile: Renzi e i suoi sarebbero una banda di dilettanti che, senza avvedersene, dissodano il terreno a beneficio di forze ostili alla democrazia che, un domani, potranno raccogliere senza fatica ciò che è stato scriteriatamente seminato.

Questa visione ha delle notevoli implicazioni, prima fra tutte l’impossibilità, per chi la fa propria, di comprendere le ragioni obiettive dell’odierna riscrittura della Carta fondamentale. E’ per questo che il professore, capace di rispondere brillantemente ed esaurientemente al quesito “quali fra le numerose innovazioni possono mettere a rischio la democrazia?”, si trova a mal partito e a corto di argomenti quando la domanda è “ma per quali motivi è stata concepita una riforma che può preludere a un’involuzione autoritaria?”

Il nodo resta irrisolto - semplicemente perché, partendo dalle premesse citate, esso appare irrisolvibile. Ora, potrebbe anche darsi che, da gentiluomo quel è, Zagrebelsky abbia voluto evitare, davanti a milioni di telespettatori, uno sgradevole scontro frontale e abbia schermato le sue reali convinzioni a proposito del governo Renzi: in diritto vale però la volontà espressa, dichiarata, non quella intima, ed è perciò sulla prima che dobbiamo basare il nostro giudizio.

A questa stregua, non è tanto partecipando alla trasmissione di Mentana che egli avrebbe “sbagliato contesto”, quanto individuandone uno ipotetico-fantastico in luogo di quello reale.

Il vero contesto in cui riforma elettorale e costituzionale, ma anche Jobs act, riforma della P.A. ecc. vedono la luce (e che dire dell’eliminazione di soppiatto della black list dei paradisi fiscali?) è quello dell’offensiva finale della destra non già “fascista”, bensì economico-finanziaria contro il welfare e le istituzioni democratiche dell’Europa continentale: lo scopo è quello di affiancare a un isterilimento dei diritti sociali ed economici un accentuato accentramento dei poteri decisionali, da attuarsi attraverso il potenziamento degli esecutivi – affrancati dal controllo parlamentare, ma a loro volta sorvegliati speciali della Commissione UE, che detta le regole economiche e di bilancio - e la cancellazione (Province, ma anche Comuni) ovvero l’annichilimento (Regioni, rese impotenti dalla c.d. clausola di supremazia) degli enti territoriali intermedi.

Il Nemico non sono i tartari di cui si attende istericamente l’arrivo: è un’armata in giacca e cravatta che già occupa in forze il territorio italiano ed europeo. Cerchiamo di tenerlo a mente e – al prezzo di essere noiosi - di ricordarlo ogni giorno a chi ci sta accanto, quale che sia il mestiere che fa.





1 Sembra che l’abbia sostenuto lui per primo. Nessuna sorpresa: modestia, buon gusto, eleganza e cultura non sono certo i punti di forza del buon amico del finanziere Serra.

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