Una delle
questioni epocali del nostro tempo è quella dell'immigrazione, che
non può certo essere affrontata con slogan o con facili prese di
posizione.
Essa,
infatti, è molto complessa ed è perfettamente connessa a quanto ho
già rilevato con un mio intervento precedente sulla riduzione
dell'essere umano a merce e sulla nullificazione dell'etica nella
prospettiva di un turbocapitalismo che non accetta alternative a se
stesso.
Se l'etica
antica ed umanista è fondata sul detto: “Homo sum, humani nihil a
me alienum puto” che vuol dire: in quanto essere umano non vi è
nulla di umano che mi sia estraneo, la non-etica del turbocapitalismo
si fonda piuttosto sul “res sum, omnia humana puto a me aliena” e
cioè: sono una cosa, tutto ciò che è umano ritengo mi sia
estraneo.
Il migrante
è lo strumento, il fine ed il mezzo per la realizzazione di questo
obiettivo su larga scala, è un essere umano ridotto a merce, per far
lucrare i trafficanti di esseri umani, per riempire le tasche di chi
organizza con mafie e consorterie di vario genere l'accoglienza,
traendo profitto dai fondi stanziati per questo scopo, ed è infine
un oggetto da usare nel mondo della schiavitù salariale destinato
alla discarica dell'emarginazione sociale, quando non serve più.
I flussi
migratori sono parte integrante e consustanziale di un processo di
globalizzazione economica a senso unico turbocapitalista.
Essi servono
al contempo per rendere il mercato del lavoro dei paesi di approdo
più flessibile, scardinando i diritti acquisiti e riducendo fino ad
annullarlo ogni potere contrattuale delle classi lavoratrici, servono
come rendita permanente per le mafie che controllano le
amministrazioni locali e la politica nei vari territori, sono utili,
con le rimesse, per ridurre il potenziale sociale esplosivo dei paesi
di origine, e infine, servono da veicolo omologante, per espandere un
unico modello culturale basato sul consumo e sui modelli propagandati
dalla pubblicità e dai media, ovunque, anche scardinando usi e
costumi di culture che potrebbero opporvisi. La sovrapposizione
progressiva dei diritti civili su quelli sociali risulta
perfettamente compatibile a tale scopo.
E la vera
differenza tra un Socialismo Internazionalista ed un neofascismo
nazionalista consiste proprio nella visione di insieme e globale di
questo fenomeno, anziché ridurlo a mera difesa dei confini della
Patria.
La reazione
della Chiesa Cattolica a questa tendenza, oggi, appare piuttosto
contraddittoria: da una parte si difende il migrante come archetipo e
simbolo di una condizione “parrocchiale”, la cui etimologia e
sostanza derivano da παροικία
(paroikìa),
a sua volta derivato da παροικέω (composto di παρα e
οικέω nel significato di "abitare vicino"), per cui il
“parrocchiano” è il “vicino di casa che non è della casa”,
di conseguenza proprio lo straniero residente tra coloro che sono
originari di un luogo, e dall'altro, specialmente con questo Papa,
vengono ribaditi i diritti essenziali che fondano la stessa dignità
dell'essere umano, come quello al lavoro stabile, da cui derivano
inscindibilmente quello alla famiglia e alla pensione.
E'
fin troppo facile notare che difendere una immigrazione ad oltranza
che scardina questi diritti alla base perché mina le fondamenta di
ogni potere contrattuale e di ogni legislazione sul lavoro, fino a
ridurre il lavoratore, con il voucher a “marchettaro”, è del
tutto contraddittorio rispetto alla tutela della dignità dell'essere
umano come detentore di tali diritti imprescindibili per costruire
una autentica società fondata sull'humanitas.
Tornando
all'assunto iniziale, se l'individuo è ridotto a merce da assistere
e sfruttare, è del tutto evidente che l'individuo non esiste più,
ma esso diventa solo un ingranaggio di una macchina per far soldi.
La
Chiesa è dunque chiamata a riflettere attentamente su un principio che
è già stato ribadito a chiare lettere nell'enciclica Laudato sì:
“la Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà
privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni
proprietà privata grava sempre una ipoteca sociale, perché i beni
servano alla destinazione che Dio ha loro dato”
Se
il sistema neoliberista si fonda sulla negazione dell'ipoteca sociale
che grava sull'accumulazione di capitale, evidentemente la Chiesa
deve essere portata a contestare un intero sistema che costituisce
l'esatto contrario dei presupposti su cui la sua dottrina si fonda,
non solo limitarsi a contestare singoli aspetti di questo sistema
Una nuova
politica sociale che impedisca l'esplodere di queste contraddizioni
non può che indirizzarsi ad una diversa politica internazionale che,
contemporaneamente, consenta pace e progresso e giustizia sociale nei
paesi di provenienza dei flussi, e allo stesso tempo, una concreta
sostenibilità ed integrazione nei paesi di approdo, del tutto
impossibile se essi diventano centri permanenti di accoglienza per
navi che sbarcano immigranti da tutto il Mediterraneo in un solo
Paese, il nostro.
Questo,
ovviamente, non può effettuarsi nel permanere di strutture militari
come la NATO che, come è dimostrato palesemente dagli ultimi eventi
dall'inizio di questo secolo, non hanno fatto altro che alimentare i
conflitti e creare le cause strutturali per l'incremento della
povertà e dei flussi migratori.
L'Europa
deve potere fare a meno della NATO, creando una sua struttura
militare di difesa e di stabilizzazione di situazioni di crisi
intorno a se stessa, che risponda alle esigenze dei Paesi e dei
popoli europei e non agli interessi imperialistici dei potentati che
hanno come scopo il profitto che deriva dalla vendita di armi e dal
commercio di migranti.
La grandezza
della civiltà europea, dai millenni passati, è stata sempre legata
indissolubilmente al mare intorno al quale questa stessa civiltà è
nata e cresciuta. Se questo mare si trasforma in una tomba, con tanti
esseri umani ridotti a merce, sprofonderà negli abissi anche il
futuro della stessa civiltà europea, ridotta ad una mercificante
barbarie i cui conflitti interni non tarderanno ad esplodere anche
violentemente, come in parte già accade.
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