La piazza centrale della città di Pando
di Riccardo Achilli
La cosiddetta “presa di
Pando” fu un episodio particolarmente importante nella storia della
guerriglia del Movimiento de Liberación
Nacional (MLN), meglio noto come Tupamaros. Fu, in qualche modo,
l'azione più eclatante, più mediatica, che diede alla guerriglia
tupamara una notorietà internazionale, ed una (illusoria) immagine
di onnipotenza (di fatto, come meglio vedremo, sia pur per pochissime
ore, riuscirono a “conquistare” un'intera cittadina) ma, di
fatto, fu il picco da cui iniziò il rapidissimo declino militare ed
organizzativo, che portò alla completa disfatta del MLN nel giro di
2-3 anni, ed un completo fiasco in termini politici, cioè di
coinvolgimento delle masse nella causa dei Tupamaros.
Il contesto
Il
MLN nacque in un contesto sociale e politico già gravemente
deteriorato. L'Uruguay, un tempo noto per il suo benessere, il suo
stato sociale e la sua democrazia estremamente avanzati, sin dalla
metà degli anni Cinquanta era entrato dentro un tunnel di decadenza
economica, in larga misura determinato dalla chiusura protezionistica
dei mercati agricoli europei e statunitensi, che aveva prosciugato il
canale esportativo principale del Paese. I nodi di un modello
produttivo basato su una monocultura economica, e di un modello
sociale basato sul compromesso battlista, garantito dal predominio
politico dei colorados (stato sociale avanzato in cambio della pace
sociale e della pressoché totale assenza di attività sindacale)
iniziarono a venire tragicamente al pettine.
Il
fronte borghese, tradizionalmente, teneva il Paese sotto controllo
(la sinistra politica era quasi inesistente, ed il sistema politico
era di fatto retto, con forme consociative molto avanzate, e
garantite da una Costituzione che, ad esempio, prevedeva una
presidenza della Repubblica di tipo collegiale, per consentire a
tutti di governare, da due partiti borghesi: il partido nacional, o
blancos, che rappresentava soprattutto la borghesia agraria dei
latifondi, ed il partido colorado, che rappresentava la borghesia
urbana delle professioni e del commercio). Tale fronte, retto da
legami consociativi, iniziò a sgretolarsi rapidamente. Il
chicotacismo, una corrente dei blancos retta da Benito Nardone,
soprannominato “Chico Tazo”, impresse una accelerazione a tale
sgretolamento, costruendo, con una politica ampiamente denotata da
contenuti demagogici e richiami al fascismo sociale, un fronte di
piccoli proprietari rurali, spesso in rovina economica,
dichiaratamente ostile alla borghesia “illuminata” della città
che aveva costituito la base di consenso del battlismo. Tale fronte
ruralista si alleò con la componente più reazionaria e “compradora”
della grande borghesia, rappresentata dalla corrente herrerista del
partido nacional, propugnatrice delle politiche neoliberiste
suggerite dal FMI, e dichiaratamente intenzionata a demolire il
welfare battlista ed a privatizzare il largo comparto nazionalizzato
dell'economia nazionale. Tale coalizione vinse le elezioni del 1958,
interrompendo 93 anni di dominio incontrastato dei colorados, e
ponendo fine al compromesso battlista, con l'avvio di politiche
neoliberiste selvagge.
Benito Nardone "Chico Tazo" (primo da sin.) e Luis Alberto Herrera (alla sua sinistra)
Ciò
provocò, sul versante sociale, l'impoverimento di ampie fasce di
popolazione, ad iniziare dai lavoratori agricoli ridotti
letteralmente alla fame e dai piccoli proprietari agricoli in rovina,
spinti ad emigrare verso Montevideo, popolando le prime bidonville, e
l'assottigliamento dei ceti medi urbani, che avevano garantito la
base per la costruzione di un sistema socialdemocratico molto
avanzato, sotto i colpi della crescente disoccupazione associata ad
un tasso di inflazione altissimo, alimentato dalla caduta del tasso
di cambio del peso e dalla monetizzazione del crescente debito
pubblico. Il disastro economico era servito: la crescita del PIL
diventa negativa dal 1962; il tasso di disoccupazione raggiunge l'8%,
in un Paese tradizionalmente prossimo al pieno impiego; gli emigrati
finiscono per rappresentare l'11% della popolazione, con una media di
1.000 persone che ogni giorno abbandonano il Paese, e sono spesso
persone giovani a medio/alto livello di scolarizzazione; il tasso di
inflazione passa dal 10% del 1961 al 135% del 1967.
Sul
versante politico, la riposta fu un processo di organizzazione della
sinistra politica e sindacale, sino a quel momento assente dalla
scena. Nel 1961 nasce il FIDEL (frente izquierda de liberación),
un fronte di sinistra radicale costruito attorno al partito
comunista. Nel 1964 nasce la CNT, il primo sindacato unitario del
Paese. Il tutto sullo sfondo di lotte sociali sempre più violente,
che squassano il velo di tranquillità in cui aveva da sempre
sonnecchiato il Paese. Particolarmente intense sono le iniziative dei
lavoratori del settore dello zucchero del nord del Paese (i cañeros),
da cui scaturisce la figura politica di Raúl
Sendic, cioè del futuro leader dei Tupamaros, e del settore dei
frigorificos (gli stabilimenti di refrigerazione della carne
destinata all'esportazione) che arrivano a forme molto esplicite
(sciopero della fame del 1956) o ad eventi di grande partecipazione
(marcia a piedi da Fray Bentos a Montevideo nel medesimo anno), fino
allo sciopero generale, il primo della storia di quel Paese,
verificatosi nel 1965. Nei 15 mesi intercorrenti fra gennaio 1964 e
marzo 1965 si verificano 657 manifestazioni, scioperi o occupazioni
di fabbrica.
La
marea montante della lotta sociale provoca una svolta reazionaria ed
autoritaria da parte della borghesia nazionale, largamente al
servizio dell'imperialismo nordamericano. Sul versante informale, e
con la consulenza della CIA, sin dal 1961 vengono costituiti gruppi
paramilitari di estrema destra, veri e propri squadroni della morte,
responsabili di azioni di grande violenza, come si verificò nel
1961, in occasione della visita di Che Guevara all'Università di
Montevideo, quando venne assassinato il docente Arbelio Ramirez. Sul
piano formale, nel 1966 la vecchia Costituzione parlamentarista viene
riformata, introducendo una Costituzione presidenzialista. Tra
l'altro, e ciò fu foriero delle successive tragedie del Paese, il
Presidente della Repubblica, oltre che essere titolare del potere
esecutivo, deteneva anche i cosiddetti “poteri di sicurezza
immediata” (in precedenza regolati dal Parlamento): in pratica il
potere unilaterale di sciogliere con la forza, mediante un semplice
decreto presidenziale, manifestazioni o scioperi, e di imporre forme
di coprifuoco e di repressione poliziesca.
Repressione politica durante gli anni Sessanta
Nel
1966, un partido colorado rapidamente ripulito dai suoi elementi
socialdemocratici portò al potere un ex generale dell'Aeronautica,
Oscar Gestido, che, deceduto pochi mesi dopo la proclamazione, lasciò
lo spazio al suo vicepresidente, Jorge Pacheco Areco, un personaggio
sinistro, autentico rappresentante del modello nepotistico della
borghesia uruguayana: vero somaro che non riuscì nemmeno a laurearsi
in giurisprudenza, fece però una brillante carriera nel mondo del
giornalismo e della politica grazie alle sue parentele con le
famiglie più importanti del Paese, crescendo dentro la corrente
vierista del partido colorado, nota soprattutto per aver contribuito
alla dittatura fascista di Gabriel Terra fra il 1933 ed il 1938.
Sin
dall'inizio del suo mandato, Pacheco Areco promulgò leggi
liberticide: vengono messi fuorilegge interi partiti politici, come
il partito socialista; numerosi quotidiani vengono sistematicamente
censurati (ad esempio Epoca, diretta dal grande scrittore Eduardo
Galeano) interi settori della P.A. e delle imprese pubbliche vengono
militarizzati, ivi compreso l'addestramento militare degli impiegati,
e i poteri di sicurezza immediata vengono utilizzati in modo
estensivo, mentre la televisione e la radio di Stato vengono
utilizzate per diramare le violente minacce che il Presidente lancia
quotidianamente contro i suoi avversari di sinistra (notissima, e
largamente ripresa dagli umoristi, la frase minacciosa “l'ho fatto
(cioè ho sciolto un corteo o una manifestazione, nda) e posso
tornare a farlo”: su alcuni quotidiani di sinistra Pacheco Areco
viene ritratto mentre pronuncia questa frase seduto su un gabinetto).
Jorge Pacheco Areco, il primo repressore
La nascita del MLN
In
questo contesto già compromesso sul piano sociale e democratico, nel
1965 iniziano ad operare i Tupamaros, guidati da Raúl
Sendic. Movimento con base marxista/leninista, influenzato però in
modo molto forte dal pensiero di Che Guevara, sia dal punto di vista
teorico che da quello dell'organizzazione militare, ha i suoi
fondamenti teorici ed organizzativi principali nel cosiddetto
“comunicato nr.1”, promulgato nel 1967:
-
la lotta di liberazione nazionale assume connotati antimperialistici
in connessione con le altre lotte sociali del continente
latinoamericano;
-
l'azione rivoluzionaria del MLN è armata e violenta, ritenendo
impossibili miglioramenti reali delle condizioni del popolo per via
parlamentare. La priorità dei tupamaros è quindi quella di
costruire una organizzazione militare. Ciò consentirà (in questo
richiamandosi a Che Guevara) di rompere l'equilibrio
dittatura-oligarchia-pressione delle classi popolari, costringendo
l'oligarchia a mostrare il suo vero volto repressivo, al di là delle
ipocrisie democratiche;
- in
un Paese caratterizzato da una popolazione urbana che rappresenta il
65% del totale, e con una orografia pianeggiante, la guerriglia va
condotta in ambito urbano;
- la
lotta sarà di lungo periodo e basata su una strategia di
vietnamizzazione del Paese;
- il
MLN crede (sbagliando tragicamente) che nel Paese esistano le
condizioni oggettive per una rivoluzione ma debbano essere costruite
le condizioni soggettive (mancando ancora una coscienza di classe,
nonché la capacità di organizzazione e direzione di una lotta
rivoluzionaria);
- il
movimento si propone di unificare la sua lotta con quella del
sindacato, portandola al di là della mera rivendicazione economica
ed estremizzandola.
Da
quel momento inizia la lotta armata, con episodi anche molto
significativi e di grande violenza, con una crescita rapida del
numero di aderenti e della forza militare del movimento, che però, in
termini più generali, fallisce nel creare una movimentazione più
ampia delle masse. La gran parte del proletariato, anche di quello
urbano, rimane indisponibile a seguire il MLN ed a conferirgli
l'attributo di élite rivoluzionaria in senso leninista. Non di rado
le azioni di autofinanziamento del movimento vengono etichettate,
anche a livello popolare, come banali furti, mentre la piccola
borghesia urbana, ancora molto forte anche se impoverita, è
decisamente ostile, e fornisce una base di consenso al pachequismo.
A
gennaio 1969, lo stesso MLN è costretto a prendere atto della sua
alienante disconnessione dalle masse. Con il comunicato nr. 4,
infatti, ci si lancia in una sottolineatura del grado di conoscenza
crescente che il movimento sta acquisendo presso le masse, per poi
ammettere, più realisticamente, che le masse rimangono perlopiù
apatiche e passive, scontente per la situazione attuale, ma incapaci
di comprendere la necessità storica di fornire appoggio alla lotta
armata.
In
quel momento, il MLN si trova, di fatto, davanti ad un vero e proprio
bivio della sua storia: o si organizza in forma politica, per
radicarsi dentro le contraddizioni del sistema e dentro le esigenze
del popolo, o continua in una alienante lotta armata, che sarà,
infine, isolata e quindi schiacciata. C'è una confusa coscienza di
ciò, nel momento in cui il citato documento afferma che “Si no
contamos con el pueblo deberemos enfrentar los aparatos represivos
solos, mano a mano, como ellos. Ese pleito lo perdemos”. C'è
l'idea confusa di redigere un manifesto politico, che costituisca la
base per la politicizzazione del movimento, nonché di condurre una
maggiore azione di propaganda politica, ma tale iniziale presa di
coscienza viene poi sommersa dall'ala militarista del MLN, che
evidentemente in quel momento controlla i Tupamaros, per cui, alla
fine, si ritiene di poter conquistare l'adesione del popolo tramite
azioni militari, meno grandi e mediatiche, ma più sistematiche e
continuative, tramite l'organizzazione di gruppi di autodifesa nei
quartieri, ecc. Il prevalere della visione militarista è la base che
prepara la sconfitta imminente.
Alla
radice vi è una tragica incapacità di analisi delle condizioni
reali del Paese. Si ritiene che le condizioni oggettive di una
rivoluzione siano presenti, quando non è vero. Si reputa, ad
esempio, che la capacità delle classi dominanti di controllare la
situazione si stia sgretolando, quando invece sta avvenendo
esattamente il contrario: nella realtà la componente illuminata
della borghesia è fuori dai giochi, e non sta affatto collaborando
con le componenti reazionarie (tant'è vero che leader riformisti del
partido colorado, come Michelini, pagheranno con la vita o con lunghi
anni di detenzione o di esilio la loro opposizione alla svolta
dittatoriale del Paese) mentre la grande e la piccola borghesia,
urbana ed agraria, sono compattamente attorno al Governo Pacheco,
sostenuto senza esitazioni dall'imperialismo esterno. Si sottovaluta
l'insufficiente grado di movimentazione delle masse, ritenendo che
tendenzialmente esso sarà in crescita nel prossimo futuro, ignorando
bellamente il fatto che un Paese con un proletariato operaio
sottilissimo, e con un sottoproletariato di disoccupati e
sottoccupati amplissimo, non possiede una base sociale per una
movimento di massa con coscienza politica sufficiente ad innescare
una rivoluzione. Si ritiene che l'apatia delle masse sia dovuta
all'effetto “narcotizzante” dei 90 anni di tranquillità sociale
garantiti dal precedente compromesso battlista, e dalla continua
suggestione di rimedi riformisti, che allontanano il popolo dalla
strada della lotta armata.
Da
qui l'errore più grave, che sarà pagato non solo dal MLN, ma
dall'intero Paese, nei quindici anni a venire: se i riformisti sono
considerati amici del giaguaro, logicamente si ritengono esauriti e
non più utili i loro rimedi, buoni soltanto per irrobustire la
struttura repressiva delle classi dominanti e per allontanare le
masse da una presunta necessità rivoluzionaria. Di conseguenza, la
lotta armata è l'unica soluzione possibile. La politicizzazione del
movimento è un fatto, quindi, secondario, e va anteposta una
intensificazione dell'azione militare. Si rinuncia a capire che la
svolta dittatoriale e fascista del Paese, che porterà da lì a
quattro anni al colpo di Stato militare, è giustificata agli occhi
del Paese, e supportata da ampi settori di una classe media
impoverita ma ancora abbondante, proprio dalla presenza di un
movimento clandestino di lotta armata, che rinuncia a misurarsi
sull'arena politica! La dichiarazione del Presidente golpista
Bordaberry, che succede a Pacheco Areco e che nel 1973 inviterà i
militari a prendere il potere, avviando un regime fascista,
liberticida e sanguinario che durerà fino al 1984, afferma che “la
nostra è una vocazione profondamente democratica (sic)”.
Bordaberry, facendo tale dichiarazione allucinante nel giorno stesso
del golpe militare da lui promosso, non era ubriaco o sotto l'effetto
di qualche droga, o con la canna di una pistola alla tempia.
Rifletteva esattamente la visione che larga parte del popolo
uruguayano si era fatta dei Tupamaros. Visione ovviamente da essi
stessi prodotta.
Raul Sendic ai tempi dei fatti di Pando
La presa di Pando: i
fatti
La
pianificazione e l'inizio dell'attacco
In
questo clima, a settembre 1969, cioè pochi mesi dopo il comunicato
numero 4 già analizzato, il Comitato Esecutivo del MLN, controllato
dall'ala militare, inizia a progettare un'azione spettacolare da
compiersi il 9 ottobre, cioè in occasione del secondo anniversario
della morte di Che Guevara. Inquel momento, che può considerarsi
l'apice del MLN, esso conta su 1.200 membri circa, in un Paese di
circa 2,6 milioni di abitanti, suddivisi in sette colonne, di cui una
sola (comandata da Sendic e da Mansilla) ha competenza territoriale
sull'area interna del Paese.
Tale
azione deve essere spettacolare, in modo da accrescere la conoscenza
ed il prestigio dei Tupamaros, che secondo la visione distorta
dell'ala più militarista del movimento, di per sé, avrebbe permesso
di creare quel legame con le masse ancora mancante, deve consentire
di procurarsi denaro ed armi per autofinanziare il movimento, e deve
cogliere di sorpresa gli apparati di sicurezza, che naturalmente si
aspettano un'azione tupamara nel giorno della morte del Che, e che,
in coerenza con la natura di “guerriglia urbana” che tipicamente
caratterizza il MLN, è attesa dentro la capitale, Montevideo,l'unica
area metropolitana del Paese.
Si
sceglie, quindi, di eseguire tale azione fuori da Montevideo, troppo
sorvegliata, ma neanche troppo lontano dalla capitale, perché le
basi logistiche e i nascondigli si trovano nella capitale, e si
sceglie di “occupare”, spettacolarmente, una cittadina
dell'interno, svaligiandone, al contempo, le banche, al fine di
procurarsi nuovi mezzi finanziari per comprare altre armi. Dopo aver
scartato varie opzioni, o perché troppo piccole per avere banche da
assaltare, o perché le vie di fuga erano inadeguate, la scelta cade
su Pando, sonnacchiosa cittadina rurale a circa 30 chilometri da
Montevideo, di circa 14.000 abitanti, con tre banche ed una stazione
di polizia da assaltare, nonché una comoda via di fuga per ripiegare
su Montevideo ad azione terminata.
L'operazione
avrebbe coinvolto 50 militanti presi da tutte e sette le colonne del
movimento, al fine di responsabilizzare l'intera organizzazione,
coordinati da Hectór
Amodio Perez, suddivisi come segue:
- 6 uomini, comandati da Andrés Cultelli, avrebbero assaltato e svuotato il Banco Pan de Azucar;
- 9 uomini, comandati da Eleuterio Fernández Huidobro (oggi leader politico di spicco, fino ad un paio di anni fa Ministro della Difesa dell'Uruguay) avrebbero depredato il Banco Caja Obrera Popular de Pando;
- 14 uomini, sotto il comando di Raúl Sendic, avrebbero preso il Banco Republica, ed avrebbero fornito supporto alla presa del commissariato di polizia;
- 7 uomini, sotto il comando di José Mujica (attuale Presidente della Repubblica dell'Uruguay) avrebbero preso il controllo della sede locale dell'UTE, la compagnia telefonica nazionale, ed avrebbero costituito il falso corteo funebre usato per entrare dentro la città (cfr. oltre);
- 13 uomini, comandati da Alberto Cocco Perez, avrebbero attaccato il commissariato di polizia, e preso il controllo anche della caserma dei pompieri.
Inoltre,
un altro centinaio di componenti del MLN, alcuni dei quali nemmeno
organici, furono mobilitati per fornire servizi logistici, sanitari,
di trasporto, di ascolto della radio della polizia, di riserva, ecc.
Ad
ogni gruppo fu concessa solo una settimana per studiare in dettaglio
i suoi obiettivi, e tale breve periodo di analisi della situazione
sul campo sarà uno dei motivi del successivo disastro. Per
l'occasione, fu anche creata la famosa bandiera dei Tupamaros (ovvero
la bandiera artiguista con la stella e la “T” nel mezzo, senza
nemmeno accorgersi che la stella con la T in mezzo è un simbolo
capitalista, perché è il logo dell'azienda petrolifera Texaco),
pensando di innalzarla sull'asta del commissariato di polizia, una
volta conquistato (fatto che poi non si realizzerà). Uno dei leader,
Fernandez Huidobro, insisté per un certo tempo nell'utilizzare una
bandiera a colori gialloneri, perché era un tifoso della squadra di
calcio del Peñarol,
e questo la dice lunga sul clima quasi goliardico ed irresponsabile
con cui venne pianificata un'azione così seria ed importante.
La bandiera dei Tupamaros, che si richiama a quella della Confederazione dei Popoli Liberi di Artigas, aggiungendovi la stella con la T nel centro.
Mauricio
Rosencoff ideò il sistema per fare entrare il gruppo dentro la
città: un falso corteo funebre. Si inventò quindi un presunto
defunto, certo Juan Pedro Antúnez
Burgueño
(il nome fu scelto dopo una ricognizione nel cimitero di Pando, per
scegliere un cognome che fosse comune nella zona) che sarebbe stato
cremato a Buenos Aires, la cui urna, su richiesta della famiglia,
avrebbe dovuto essere portata nel cimitero di Soca, attraversando
Pando. Il gruppo coordinato da Mujica si presentò quindi da
Martinelli, nota azienda di Pompe Funebri di Montevideo, con un'urna
piena di cenere di caminetto, con 21.000 pesos in contanti, fingendo
di essere i parenti del morto. I funzionari di Martinelli si
insospettirono quando gli fu consegnata l'urna (in genere, è la
ditta a cremare i morti) ma i soldi in contanti fecero evaporare
eventuali dubbi. Le donne si sforzavano di piangere come fontane. Si
contrattarono, per il corteo, 5 auto (quattro Cadillac ed una Ford
Mercury) ed un furgone Pontiac, ciascuno dei quali con un autista
delle Pompe Funebri. Come in un film, quando il falso corteo funebre
passò davanti ad una caserma dell'Esercito, i soldati, ignari, si
misero sull'attenti e fecero il saluto militare.
Secondo
l'accordo preso fra i finti parenti del finto morto e la ditta di
Pompe Funebri, a metà strada si sarebbe aggiunta l'auto di altri
“parenti” (si trattava di una Volkswagen Kombi rubata ad una
azienda e ritinteggiata di azzurro da Mujica e dal suo gruppo). Poco
dopo, i “parenti” tirarono fuori i mitra e fecero prigionieri gli
autisti di Martinelli, legandoli e infilandoli, senza
maltrattamenti,dentro il Kombi. E lì si verifica il primo problema
grave di un'azione pianificata in modo dilettantistico: le auto
dell'azienda di Pompe Funebri, essenziali per la fuga successiva,
hanno il cambio automatico, e nessun tupamaro lo sa usare. Devono far
uscire uno degli autisti dal Kombi e farsi spiegare sommariamente
come funziona un cambio automatico, ma senza capirci molto. Infatti,
uno dei veicoli, che avrebbe dovuto essere usato per la fuga del
gruppo comandato da Andrés Cultelli, rompe il cambio automatico
immediatamente, e viene abbandonato seduta stante sul ciglio della
strada. Inoltre, il furgone di Martinelli si rivela troppo piccolo,
ed incapace di accogliere tutto il gruppo di Cocco Perez,
diversamente da quanto era stato stabilito con le Pompe Funebri. Ma
oramai è troppo tardi per tornare indietro.
Nel
frattempo, altri tupamaros entrano dentro Pando usando l'autobus di
linea, spacciandosi per pescatori, riunendosi, alle 12.30, mezz'ora
prima dell'attacco programmato, con quelli del corteo funebre, ed
iniziano a cambiarsi: alcuni indossano uniformi della polizia, altri
addirittura dell'Aeronautica militare. Tutti indossano una fascia
bianca al braccio, come segno di riconoscimento.
Ed
ecco emergere un altro intoppo: era previsto che il coordinatore di
tutta l'azione, Amodio Perez, avesse un veicolo veloce ed agile,
possibilmente una motocicletta, per girare nella cittadina e
coordinare al volo i vari gruppi impegnati nei rispettivi obiettivi.
Alle 9 di mattina del giorno stesso, i compagni di Montevideo
incaricati di rubare una moto falliscono nell'obiettivo. Solo alle
12.25, 35 minuti prima dell'inizio dell'azione, riescono a grattare
un vecchio Peugeot, lento ed inidoneo, e si dirigono da Montevideo a
Pando suonando il clacson e con le luci accese, arrivando però a
destinazione quando l'azione sarà largamente iniziata. Inoltre,
mentre Amodio Perez gira per la cittadina con il Peugeot, per
coordinare gli attacchi, si imbatte in un agente di polizia, Ramón
Brito, che inizia a sparargli. Nel tentativo di evitarlo, Amodio
Perez va a sbattere, spaccando il semiasse del veicolo, e rendendolo
inutilizzabile per la successiva fuga.
L'attacco
al Commissariato di polizia.
Alle
13.00 precise Alberto Cocco Perez, accompagnato da Olga Barrios,
entra nel commissariato, spacciandosi per collaboratore di una
associazione di volontariato, chiedendo di parlare con il
Commissario. Poi entrano Jorge Salerno e Alberto Cia del Campo,
simulando di essere vittime di un incidente stradale. Alla fine,
entrano i tre ultimi tupamaros del gruppo, con i mitra spianati...e
senza caricatore, che avevano dimenticato a casa!!! (altro
incredibile elemento che dimostra il dilettantismo
dell'organizzazione). Alcuni agenti di polizia vengono immediatamente
fatti prigionieri senza spari, mentre la radio della stazione viene
spaccata a mazzate. Ma il sergente Olivera inizia a sparare. Lo
stesso Cocco Perez si salva per miracolo da un colpo diretto alla sua
testa. Ne segue una breve sparatoria, che risulta decisiva perché i
rumori di arma da fuoco rivelano alla cittadina intera che è in
corso un attacco. Alla fine, Olivera, ferito, si arrende. Il
Commissario capo viene sottoposto ad un duro interrogatorio, perché
accusato, in passato, di aver maltrattato alcuni compagni arrestati.
L'azione termina dopo un quarto d'ora, ed i Tupamaros, dopo aver
sequestrato i fucili Mauser della polizia, abbandonano il
Commissariato...dimenticando di issare la bandiera all'uopo
disegnata,e dirigendosi verso il Cimitero di Pando, luogo stabilito
per riunirsi con gli altri gruppi e fuggire insieme.
L'attacco
alla caserma dei pompieri.
Alle
13.00, il gruppo deputato a tale obiettivo, riunitosi in un bar di
fronte alla Caserma, entra nella stessa e, senza sparare un colpo,
arresta i pompieri (corpo che allora era militarizzato).
Si
verificano episodi da commedia. Un Tupamaro scopre un pompiere nel
gabinetto, mentre urina, e gli urla “mani in alto”. Il militare,
che ignora cosa stia succedendo, pensando che sia un suo collega, gli
risponde “non dire stronzate!”. Un altro Tupamaro si mette a
discutere per quasi quindici minuti con un Pompiere che, prima di
essere legato, impassibile, vuole prendere il termos del suo mate
nell'armadietto.
L'attacco
del Banco Republica
Alle
13.00, Oscar Puig Iturralde entra nella banca, accompagnato da Raúl
Sendic, entrambi vestiti in modo molto elegante, spacciandosi, il
primo, per un uomo d'affari, il secondo per il suo segretario
personale, con altri due Tupamaros che si spacciano per le loro
guardie del corpo. Disarmano il poliziotto di guardia, spiegano ai
clienti i motivi politici della loro azione e si fanno consegnare
almeno 40 milioni di pesos. In quel momento, un colpo accidentale
parte dalla pistola di Nybia Gonzalez, e ferisce gravemente, allo
stomaco, il suo compagno, Fernan Pucurull Saénz de la Peña.
Il ferimento del loro compagno rallenterà la successiva fuga di
questo gruppo che, uscendo dalla banca in stato confusionale per
l'incidente, abbandonerà incredibilmente uno dei propri compagni,
Juan Carlos Rodriguez Ledesma, che, rimasto solo, verrà arrestato
dalla polizia pochi minuti dopo.
L'attacco
al Banco La Caja Obrera de Pando.
Alle
13.00, i Tupamaros entrano in gruppi di due, distribuendosi in
posizioni prestabilite. Poi entrano, per ultimi, Zabalza e Cultelli,
armi in pugno, facendosi consegnare 7 milioni di pesos, ed uscendo
dalla banca dopo il consueto piccolo discorso politico ai clienti ivi
presenti. Uscendo, però, si imbattono in un agente di polizia di
pattuglia, Heber Roncio, che inizia a sparare, facendo retrocedere il
gruppo di Tupamaros. Essi rispondono al fuoco, costringendo Roncio a
buttarsi dietro il loro stesso veicolo, che avrebbero dovuto usare
per fuggire. Credendo Roncio morto, i Tupamaros salgono a bordo
dell'auto, ma costui, vivo e vegeto, spara alle gomme, colpendole.
Camminando sui cerchioni, con l'auto crivellata dai proiettili, il
gruppo si avvia lentamente verso il cimitero, luogo prestabilito di
incontro con gli altri gruppi, quando si imbattono in un altro agente
di polizia, Ramón
Brito, lo stesso che aveva già sparato contro il Peugeot di Amodio
Perez, causandone la rottura definitiva. Brito apre il fuoco, ed i
Tupamaros rispondono.
Nel
fitto scambio di proiettili, un innocente, padre di famiglia, tale
Carlos Burgueño
(per ironia della sorte con lo stesso cognome del finto defunto usato
per entrare nella cittadina) viene colpito a morte da un proiettile
vagante. Avrebbe dovuto prendere l'autobus per Montevideo delle
12.50, ma si era trattenuto in un bar con degli amici e, sentendo il
rumore delle armi da fuoco, si era affacciato per capire cosa stesse
succedendo. Inizialmente scambiato per un Tupamaro, benché ferito e
sanguinante, venne trascinato dai poliziotti nel Commissariato
liberato, e sottoposto ad un duro interrogatorio finché, esanime per
il sangue perduto, perse conoscenza, e solo allora venne portato in
ospedale, dove arrivò morto. La versione ufficiale fu che era stato
colpito dai Tupamaros, ma i risultati della perizia tecnica, eseguita
molto tempo dopo, accertò che fu colpito da una calibro 38 di
ordinanza, di quelle in possesso della polizia.
L'attacco
al Banco Pan de Azucar
Eseguito
anch'esso alle 13.00, si traduce, senza colpo ferire, in un sequestro
di circa 3 milioni di pesos, e della Citroen del Direttore della
banca, che doveva rimpiazzare, per la fuga, l'auto di Martinelli
abbandonata per strada con il cambio automatico rotto.
L'attacco
alla UTE
Il
gruppo guidato da Mujica entra negli uffici dell'UTE, spacciandosi
per degli investigatori privati che dovevano indagare su un presunto
allarme-bomba. Senza sparare un colpo, fanno prigionieri tutti gli
impiegati e tagliano i fili della centrale telefonica. Secondo il
racconto fatto da Mujica, erano talmente impreparati che furono
costretti a chiedere agli stessi operai sequestrati dove si
ubicassero i fili da tagliare per isolare telefonicamente la città.
Al
che si realizzò un ulteriore, comico, inconveniente. Molti
cittadini, ignari dell'attacco, non potendo più telefonare, uscirono
dalle loro case e si ammassarono davanti alla sede dell'UTE per
reclamare. Mujica ed i suoi furono costretti a farli entrare e
imprigionarli dentro gli uffici dell'ente. Poi fuggirono verso il
cimitero.
L'epilogo:
la fuga e la cattura
Quando
tutti si riunirono al cimitero, ad attacco avvenuto, constatarono la
situazione, a dir poco tragica. Tre degli autoveicoli che dovevano
servire per la fuga erano inutilizzabili. Il furgone di Martinelli
era troppo piccolo. Un compagno era gravemente ferito allo stomaco a
causa di fuoco amico, e doveva essere disteso dentro il veicolo, che
non avrebbe potuto ovviamente correre, perché lo avrebbe ucciso,
rallentando di conseguenza l'intero convoglio, quando la velocità di
fuga sarebbe stata un fattore essenziale. Un altro Tupamaro, come
detto, era stato dimenticato indietro, e non poteva più essere
recuperato. Stipandosi all'inverosimile (con 15 persone che si
infilarono in un furgone che ne poteva portare al massimo 9)
iniziarono, lentamente, il cammino verso i nascondigli di Montevideo.
Ma
fu commesso un errore determinante. Il più grave di tutti. Benché
in sede di analisi della situazione sul campo, prima dell'attacco, si
sapesse che una volante della polizia stradale, munita di radio,
stazionasse permanentemente davanti ad un istituto di zooprofilassi
situato in periferia di Pando, nessuno aveva pensato a
neutralizzarla. Mujica aveva proposto, nel momento in cui fosse
iniziato l'attacco, di mettersi di traverso con la sua macchina per
bloccare la volante della polizia, ma tale suggerimento era caduto
nel vuoto.
Fu
un errore tragico. Un tizio che viveva vicino al Commissariato di
polizia, sentendo gli spari, e non vedendo poliziotti fuori dal
fabbricato, provò a telefonare, ma, accortosi che il telefono non
funzionava, perché la linea era stata tagliata, prese
tranquillamente un autobus urbano, scese davanti all'istituto di
zooprofilassi e raccontò ai poliziotti di pattuglia che stava
succedendo qualcosa di strano in città. Costoro allertarono il
Comando centrale di polizia di Montevideo, che, non sapendo ancora
niente di cosa stesse succedendo, ordinò ai reparti antisommossa di
prendere delle volanti e recarsi a Pando, a vedere cosa stesse
succedendo.
Nel
frattempo, la pattuglia della stradale di sorveglianza davanti
all'istituto di zooprofilassi entra dentro Pando, si reca al
Commissariato e libera i poliziotti lasciati, legati ed imbavagliati,
dai Tupamaros in fuga, confermando a Montevideo quanto fosse
successo, e prendendo in carico il Tupamaro che era rimasto indietro.
Parlando con la popolazione, capiscono anche quale sia la strada che
i Tupamaros hanno preso per fuggire ma, come in un telefilm di
Hazzard, inizialmente, una volante che li intercetta pensa che si
tratti realmente di un corteo funebre, e li fa passare. Entrando
dentro il Dipartimento di Montevideo, il gruppo si divide in due. Le
armi vengono passate in altri veicoli “legali”, in attesa,
coordinati da Rosencoff, ed alcuni Tupamaros si allontanano a piedi
per prendere l'autobus,salvandosi dall'arresto successivo.
Tuttavia,
proseguendo verso la capitale, i veicoli dei Tupamaros incontrano il
primo blocco stradale, costituito da due semplici volanti della
Stradale, che sbarrano la strada. Anziché affrontare le deboli forze
della polizia, sfruttando il grande vantaggio numerico (erano, in
quel momento, 23 contro 4, e se avessero rimosso il blocco della
polizia, probabilmente si sarebbero salvati), i Tupamaros dimostrano
lo scarso addestramento militare, ed una grave mancanza di
combattività scendono dai veicoli e si danno alla fuga, a piedi,
nelle boscaglie che affiancano la strada, nonostante i disperati
ordini dati da Sendic di non disperdersi, mentre altri provano un
debole fuoco di sbarramento, per poi tentare anch'essi la fuga.
La polizia inizia la battuta di ricerca contro i Tupamaros fuggiti
Nel
frattempo, convergono sul posto di blocco 120 uomini dei reparti
speciali della polizia, 15 volanti, 12 gruppi della polizia
antisommossa, alcune unità della Guardia Repubblicana, un reparto di
fanteria motorizzata dell'Esercito ed un elicottero dell'Aeronautica.
Arapey Cabrera e Jorge Salerno, fuggendo a piedi, si imbattono in una
volante. A questo punto, le versioni della polizia e quelle dei
Tupamaros si differenziano, accusandosi a vicenda di aver sparato per
primi. Sta di fatto che Arapey Cabrera scaglia una granata, che
danneggia un negozio lì vicino, che viene ferito ad un braccio ed
arrestato, e che Jorge Salerno viene crivellato di colpi e muore, a
24 anni.
Lì
vicino viene ucciso dalla polizia anche Alfredo Cultelli, 18 anni. La
polizia afferma che il ragazzo ha sparato per primo, ma la perizia
medica accerta che Cultelli è stato abbattuto da colpi che sono
penetrati sia nel petto, sia nella schiena, quando cioè volgeva le
spalle agli agenti. Quindi, o è stato abbattuto mentre scappava,
oppure quando era già ferito, dandogli il colpo di grazia. In ogni
caso, è stato assassinato.
José
Solsona Acosta e Ricardo Zabalza penetrano, fuggendo, in una casa
rurale, e si ritrovano circondati dalla polizia. Inizia una
sparatoria. Ricardo Zabalza muore a 20 anni, con la testa fracassata
dal calcio di un fucile ed un proiettile nella nuca. Secondo il padre
di Zabalza, un parlamentare del partido blanco, fu addirittura il
colonnello Rivero, capo della polizia metropolitana, che coordinava
le azioni, a dare l'ordine di assassinare il ragazzo, già preso
prigioniero.
Il cadavere di Zabalza
Probabilmente,
i tre omicidi perpetrati dalla polizia furono la vendetta per
l'uccisione di uno di loro, il sergente Enrique Fernandez Diaz che,
sceso dalla sua volante, viene raggiunto da alcuni colpi sparati
dalla boscaglia nella quale si erano lanciati i Tupamaros in fuga, e
muore, dopo undici giorni di agonia, nell'ospedale in cui viene
immediatamente portato (a differenza di Burgueño
che, come si è visto, scambiato per un Tupamaro, viene lasciato
morire dissanguato nel Commissariato). Va infatti precisato che tutti
questi avvenimenti si verificano in un raggio di soli 500 metri dal
punto in cui il sergente di polizia viene ferito.
I tre tupamaros uccisi dalla polizia
Il bilancio di Pando
Come
risultato finale del rastrellamento nelle boscaglie, 17 tupamaros
vengono immediatamente arrestati (fra questi, cadono in trappola
Eleuterio Fernandez Huidobro ed Oscar Puig, che, dopo una breve
sparatoria prima dell'arresto, per miracolo si salvano dall'essere
fucilati sul posto grazie all'intervento di un ufficiale), 3 vengono
uccisi, altri 3 sono catturati il giorno dopo, nel tentativo di
recuperare alcuni compagni nascosti in uno dei nascondigli del MLN.
40 dei 51 milioni di pesos rubati alle banche vengono recuperati.
Infatti, per fuggire più facilmente, il gruppo diretto da Sendic
nasconde i 40 milioni rubati al Banco Republica sotto una cunetta
stradale, dove verranno recuperati da dei ragazzini. Vennero perse 10
pistole e 3 fucili, mentre 9 carabine rubate alla polizia vennero
recuperate.
Uno dei tupamaros partecipanti all'azione di Pando catturato
Sendic,
il leader, riesce a salvarsi fuggendo nei campi, e così anche Mujica
ed il suo gruppo, che riescono a sfuggire alla morsa poliziesca
prendendo una strada diversa rispetto a quella del resto del corteo,
per poi passare il resto della serata in un bar di Montevideo,
bevendo birra ed ascoltando le notizie dei loro compagni alla radio.
Le
successive ritorsioni operate dalla polizia per rispondere ai fatti
di Pando provocano inoltre, nelle settimane immediatamente
successive, la perdita di 8 nascondigli, 1 laboratorio fotografico,
13 altre armi da fuoco, e 12 altri Tupamaros arrestati.
Il
bilancio dell'azione di Pando si risolve quindi in una clamorosa
sconfitta militare. Un'azione spettacolare ed ardita, per quanto
progettata ed eseguita in modo molto dilettantistico, si risolve in
pesanti perdite materiali e fornisce alle forze di sicurezza ed
all'intelligence un'idea precisa della modesta capacità di
pianificazione, dello scarso addestramento militare e del modesto
spirito combattivo dei Tupamaros. Sebbene l'azione, grazie alla sua
spettacolarità, induce, nell'immediato, un aumento delle richieste
di adesione al MLN, ma adesioni di bassa qualità, motivate più da
spirito di avventura che da fede politico/ideologica. Inoltre, come
sottolinea Oscar Puig, “molti dei quadri intermedi che dovevano
istruire i nuovi entranti erano caduti a Pando”.
A
posteriori, molti ex Tupamaros che vi parteciparono, pensano che
Pando non abbia comportato alcun vantaggio politico, a fronte delle
pesanti perdite militari. Secondo Germán
González,
“non fu un successo politico perché non aumentò la coscienza del
popolo. La gente non ci condannò per aver occupato Pando (…) però
questo non significò un salto in termini di appoggio popolare
all'MLN”. Aggiunge Elida Baldomir Coelho: “E' stata una sconfitta
militare e politica in tutti i sensi. Perché per un giorno fummo
delle stelle in televisione ed alla radio, e poi, che? Che abbiamo
riscattato, politicamente, da Pando? Che per mezz'ora ci spararono
addosso?” mentre per Fernandez Huidobro “tutte queste perdite
umane e materiali furono un colpo molto duro per l'organizzazione,
dal punto di vista dell'infrastruttura e della sua capacità
organizzativa”.
Dopo
Pando, l'organizzazione tupamara inizia il suo declino. Il documento
numero 5, emanato il 1 gennaio 1971, che è in qualche modo il
prodotto della riflessione interna condotta dopo gli avvenimenti
descritti, cancella completamente ogni riferimento alla necessità di
“politicizzare” il movimento, di radicarlo dentro le necessità
sociali ed economiche del popolo, di inserirsi nel dibattito politico
del Paese. Prevale una logica puramente basata sulla guerriglia
armata come detonatore di una rivoluzione bolscevica imminente.
Risuonano frasi come “la lotta armata e l'organizzazione che gli
corrisponde rappresentano l'unica via d'uscita coerente”; “dobbiamo
passare dalla fase attuale (propaganda armata) ad una superiore di
guerra generalizzata, di insurrezione”; “politica di rappresaglie
non limitata solo contro gli agenti diretti del potere, ma anche
contro quelli che sostengono in un modo o nell'altro il regime:
giudici, pubblici ministeri, giornalisti, padroni, funzionari
statali, ecc.”. In breve, un delirio privo di analisi politica,
tipico dell'alienazione e dell'isolamento sociale di un piccolo
gruppo di terroristi fanatici. Non più un movimento politico.
Alcuni tupamaros che parteciparono a Pando: in alto a sinistra, Fernandez Huidobro, al centro in alto Pepe Muijica, in basso, al centro, Lucia Topolansky, ed alla sua destra Sendic negli ultimi anni (morirà nel 1989).
Rappresenta,
di fatto, la vittoria definitiva dell'ala militarista su quella
politica. Sendic, Mujica, Mansilla, Cocco Perez, ovvero i capi più
politici e con il maggiore spessore culturale e teorico, erano
infatti stati catturati ed incarcerati nel corso del 1970, mentre
Amodio Perez, altro referente dell'ala politica, era stato
addirittura espulso dal MLN perché troppo innamorato del whisky di
marca e degli abiti costosi. Il comando dell'organizzazione era
stato preso dai duri, quelli che teorizzavano la via militare prima,
ed al di sopra, del dialogo politico con le masse, e soprattutto
dalle componenti politiche più massimaliste, di estrazione
comunista, quindi più rigidamente legate al fallimentare dogma della
rivoluzione leninista, per il quale, come si è visto, non c'erano
nemmeno le condizioni oggettive, oltre che quelle soggettive (mentre
ad esempio Sendic era un ex socialista, e Mujica era addirittura
stato un blanco, prima di avvicinarsi anch'egli al partito
socialista): Rosencof, Adolfo Wassen, Nelson Berreta, Henry Engler
Golovchenko, Armando Blanco.
Da
lì a circa un anno, il MLN sarebbe stato di fatto reso politicamente
e militarmente inoffensivo.
Fonti:
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