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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 23 ottobre 2014

DI SOCIALISMO, AMERICA LATINA E COOPERATIVE AUTENTICHE di Norberto Fragiacomo






DI SOCIALISMO, AMERICA LATINA E COOPERATIVE AUTENTICHE


Due chiacchiere in castigliano con un socio-lavoratore argentino: fratellanza e cooperazione come possibili antidoti all’epidemia di paura diffusa dal neoliberismo

di
Norberto Fragiacomo


Capita, alle volte, di apprendere più cose interessanti in un’osmiza carsolina - o seduti ad un tavolino lungo il canale - che in un’aula stipata di “coscritti”.

La puntata a Trieste di un vecchio amico argentino e della sua fidanzata mi ha costretto a rispolverare il mio misero castigliano: girovagando per il centro, tra una descrizione e l’altra non è mancata l’opportunità di informarsi su ciò che sta accadendo dall’altra parte del mondo, in America Latina. Frammenti di chiacchierata che si sono ricomposti davanti a una bella birra fresca, sotto un sole rovente che nulla aveva di ottobrino… un’esperienza gradevole e istruttiva, nonostante il fatto che il mio spagnolo basico non mi abbia permesso, forse, di cogliere tutti i passaggi, le sfumature del discorso.

Josè, ingegnere sui trentacinque, ha un cognome francese e radici siciliane, che l’aspetto fisico – è alto, biondo e con gli occhi chiari – dissimula benissimo. Politicamente parlando mi appare molto di sinistra, anche se pragmatismo e buon senso lo immunizzano dai dogmi: simpatizza per La Presidenta Cristina, che chiama (direi affettuosamente) per nome e dà un giudizio assai positivo sull’operato di Nestor Kirchner, anche se – ammette – “mi ci sono voluti quattro anni per incominciare a fidarmi di lui”. Di Kirchner dice che ha restituito agli argentini la passione, l’interesse per la politica, dissoltisi durante il nefasto regno di Carlos Menem, governante (a Cavallo) per conto del FMI. Lo spartiacque, il nuovo inizio è rappresentato dall’atroce crisi del 2001, figlia delle politiche neoliberiste e dell’assurda parità pesos-dollaro, responsabile dell’annichilimento dell’apparato produttivo locale. In quel maledetto dicembre succede di tutto, e con rapidità paralizzante: prima il razionamento dei prelievi bancari (massimo 250 pesos a settimana), poi – dall’oggi al domani – il blocco totale. I cittadini sono sul lastrico: dopo lo sgomento iniziale, scendono in piazza. Josè mi fa ricordare scene viste in tivù, uomini e soprattutto donne che percuotono rumorosamente le pignatte… il presidente De La Rua scappa in elicottero, ma per i finanzieri l’assedio alle banche è intollerabile: la polizia spara e fa 40 morti a Buenos Aires. Ma come, non siamo in democrazia? Sì, così ci raccontano, e lo stesso raccontavano agli argentini, ma il Popolo è “sovrano” finché sta zitto, cucio e non diventa molesto per l’elite economica. Sembra la fine, ma la Storia – indifferente agli esorcismi di Fukuyama – decide di andare avanti e tira fuori dal cilindro un oscuro governatore della Patagonia. Lo prendono per un pupazzo dell’astuto politicante Duhalde, si rivelerà indipendente e “rivoluzionario con juicio”: Kirchner risolleva clamorosamente l’economia, restituisce diritti a famiglie e lavoratori, favorisce nuove forme di aggregazione e abroga l’amnistia per i reati commessi dai militari. Gli succede la moglie, cioè Cristina: Josè rifiuta la contrapposizione tra i due insidiosamente adombrata dai media, ritiene che condividano la stessa visione. Una classe politica corrotta fa da freno, ma il principale nemico del cambiamento sono i mezzi di comunicazione, il Gruppo Clarìn: pur di screditare il duo inventano di sana pianta menzogne e, come avviene oggi in Europa, spargono i semi della paura. Un telegiornale tipo trasmette quattro notizie quattro: due sono riferite a fatti di sangue, per mostrare che il Paese è allo sbando, la delinquenza spadroneggia; la destra, da parte sua, agita i fantasmi di dicembre, paventando (in realtà auspicando) ad ogni istante un nuovo crollo. No, rassicurano Josè e Fernanda, la situazione è oggi diversissima da quella di allora… ma pericolosi nullafacenti alla Renzi come il ricchissimo ereditiero Macrì assurgono a star televisive e, abilmente ammaestrati da professionisti della manipolazione mediatica, comprano con presenzialismo e false promesse il sostegno dei diseredati. D’altra parte, se i poveri fossero consapevoli delle proprie necessità il Socialismo (quello vero, non la sua caricatura liberale-neoliberista) possiederebbe la terra.

A un tratto Josè mi sorprende con una domanda: “ma voi, cioè un italiano, uno spagnolo ecc., come considerate i popoli vicini?” La sua impressione è che, per noi, gli altri siano appunto dei vicini di casa, da guardare con sospetto; “per un argentino, invece – dice – brasiliani, venezuelani ecc. sono popoli fratelli.” Hermanos, appunto… non varrà per tutti, ma per chi confida nel Bolivarismo sicuramente sì. Come definirlo questo “Socialismo del XXI secolo”? Forse un Socialismo atipico, realista, senza fronzoli ideologici né liturgie… una prassi che si fa gradualmente dottrina, anziché il contrario. Questo grandioso esperimento, reso possibile (anche) dalle “distrazioni” asiatiche di Bush junior, ha avuto in Hugo Chavez il suo ispiratore, la figura di maggior spicco. “Al principio lui era da solo – spiega Josè – circondato da Paesi in mano a destre sottomesse agli yankee, eppure non si è perso d’animo. Senza di lui non ci sarebbero stati neanche i Morales, i Correa” ecc. Mi è successo di vedere, su Internet, parte di un’intervista/documentario che la televisione argentina (quella pubblica, naturalmente) gli ha dedicato: l’uomo parla lentamente, con fervore, e tutto a un tratto l’aspetto dimesso e un po’ contadinesco scompare, l’ascoltatore avverte una forza, una convinzione, un carisma unici nell’oratore che, con calma, sorseggia il suo mate. L’amico argentino ha parole di ammirazione per Correa, un economista che ha conosciuto il nemico nella sua tana universitaria (ha studiato negli USA), per Pepe Mujica (la destra argentina cita ad esempio la sua morigeratezza – ride – ma sulle sue politiche tace del tutto) e il brasiliano Lula. Le critiche al Partito dei lavoratori (PT), le sommosse premondiali, la problematica rielezione di Dilma Rousseff? Josè riflette, per concludere che da quando Lula è salito al potere, nel 2002, la condizione dei poveri è enormemente migliorata: molti di loro sono confluiti nella classe media (e oggidì, magari, votano a destra…). D’accordo, ma le manifestazioni di maggio-giugno? L’amico argentino rifiuta ogni paragone con il mondiale del ’78, adoperato dalla giunta militare per nascondere i suoi orrori, e sostanzialmente assolve Dilma, contro la quale il Gruppo mediatico O Globo ha giocato la carta Marina Silva – un’ex attivista di sinistra che, al ballottaggio presidenziale, appoggia il candidato della destra più retriva. Sui banchi del Libero Mercato, talvolta, anche la fede politica è esposta come merce.

Salta fuori un argomento stuzzicante, quello delle fabricas recuperadas, e Josè, dopo aver citato le Officine Zanon, ne approfitta per raccontare del suo lavoro in una cooperativa [1] che produce software libre – testimonianza preziosissima, perché diretta. Un tempo anche lui lavorava “sotto padrone”, e quando gli proposero di partecipare alla fondazione di una cooperativa titubò: sarà saggio rinunciare a uno stipendio sicuro? Per fortuna accettò – oggi afferma che quella “è stata la scelta migliore della mia vita”. Perché mai? “Perché il mio lavoro finalmente mi appartiene”, perché le decisioni sono prese democraticamente dai soci, perché si opera meglio e in maggiore serenità. Soprattutto nessuno può costringerti a fare qualcosa che non vuoi, disporre di te come un oggetto… dice che una volta furono contattati da un odioso politico di destra, che aveva bisogno di una sorta di database (io l’ho capita così, ma di informatica non mi intendo). Alcuni propendevano per il sì (“in fondo, è solo un cliente che ci chiede una prestazione”), altri erano contrari (“quello è un farabutto!”), altri ancora suggerivano: “d’accordo, lavoriamo per lui – ma chiediamogli un prezzo doppio rispetto a quello normale, e devolviamo la differenza in iniziative sociali”. Alla fine vinse la linea del no, senza bisogno di un voto a maggioranza (ammette: “se ci fossimo trovati con l’acqua alla gola, ovviamente avremmo accettato. Ma ugualmente avremmo accettato se il nostro unico scopo fosse il profitto). Il numero dei soci è ridotto (12 in tutto), e Josè considera il conoscersi tutti una delle chiavi del successo: “inoltre, se fossimo centinaia o migliaia una votazione sarebbe indispensabile ogni volta, e questo creerebbe maggioranze e minoranze, cioè frizioni”. Quello che lui auspica è un proliferare di minicooperative di lavoro, non immaginate, però, come in concorrenza fra loro, ma riunite in una sorta di lega o confederazione nell’interesse di tutti i lavoratori.

Il compagno ingegnere esemplifica il clima societario con un aneddoto: “uno di noi ha avuto un figlio; in questi casi, la legge accorda due giorni di permesso – una mierda. Ci siamo riuniti per affrontare la questione: quanti giorni possiamo andare avanti senza il suo contributo? In fondo, la nascita di un figlio è l’evento più importante nella vita… sarebbe giusto concedergli almeno due mesi, ma potremmo privarci di lui per così tanto tempo? Purtroppo no… alla fine, abbiamo optato per due settimane.” Provo sincera ammirazione: sembra il Socialismo realizzato, gli confesso. Lui annuisce soddisfatto, ma aggiunge: “i governi Kirchner (Nestor e Cristina) ci hanno dato una mano, promuovendo la costituzione di cooperative.” Narra che nel suo barrio c’erano cinque ristoranti, sempre affollati, di proprietà di un unico riccone. Per ragioni sfuggite al mio insufficiente castigliano, a un certo punto il tizio ha deciso di chiuderli tutti e cinque: cuochi e camerieri hanno prontamente reagito, barricandosi nei locali e dichiarando di voler continuare a lavorare. Il governo regionale ha fatto intervenire la polizia, ma quello nazionale si è messo in mezzo, accogliendo le richieste dei dipendenti e agevolando la nascita di una cooperativa di lavoro. “Oggi – conclude Josè – i ristoranti hanno più clienti di prima, gli addetti – diventati «padroni» – lavorano con maggior lena e i guadagni sono aumentati!”

Si può costruire il Socialismo dal basso? Contagiato dall’entusiasmo del mio amico sudamericano mi persuado che sì, sia possibile – e che la stragrande maggioranza degli esseri umani ne trarrebbe un inestimabile beneficio. Prima però si tratta di restituire credibilità alla politica e di scalzare gli oppressori: nell’Europa assassinata dalla crisi neoliberista libertà, democrazia ed equità (per non parlare del Socialismo) ci appaiono come sbiaditi miraggi – ma nel deserto, oltre a sabbia, sciacalli ed avvoltoi, esistono fino a prova contraria anche le oasi. Raggiungerne una sarà – nella migliore delle ipotesi – complicatissimo, ma l’inerzia ci sarebbe fatale.   



[1] Le cooperative di lavoro – gli preme sottolineare – sono cosa diversa da quelle che, specie nelle zone rurali, assumono la gestione di un servizio non assicurato localmente dallo Stato (p. es. la telefonia) e poco profittevole per i privati: in queste realtà i lavoratori non sono soci, ma comuni empleados.


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