UN NO SU CUI RIFONDARE L’EUROPA
di
Norberto
Fragiacomo
61,3%
di NO: alzi la mano chi l’aveva previsto. Io la mia la tengo a
mezz’aria sulla tastiera: troppo comodo spacciare – a posteriori
– auspici e speranze per vaticini.
Tsipras
ce l’ha fatta, in barba ad anatemi, minacce e calunnie: raschiando
il fondo del barile, L’Espresso era andato addirittura a pescare,
in Grecia, un professorucolo sedicente di sinistra ansiosissimo di
certificare (de
relato) che
l’attuale premier era all’università uno studente pigro e
svogliato. Non so quanto valga Alexis come ingegnere, ma sulle sue
doti politiche penso non si possano nutrire più dubbi. Un’immagine,
anzi una vignetta (pubblicata da Il Fatto di domenica) fotografa la
vicenda e il suo protagonista, raffigurando un ometto che si rivolge
ad un gigante alla sua sinistra. Il titano, di cui sono visibili solo
i pantaloni, si dice dispiaciuto di non aver potuto indossare la
cravatta, dono dell’altro: gli stava stretta. Renzi e Tsipras: da
un lato la politichetta furba, ammiccante, plebea, amorale e
parolaia, che pesa col bilancino rischi calcolati e micragnosi
guadagni e disdegna di guardare oltre la prossima tornata elettorale;
dall’altro il coraggio al limite della temerarietà, l’anelito a
far ripartire la Storia. Colpisce lo stupore, quasi lo sgomento di
certi commentatori nel riferire dei toni usati dal primo ministro
greco nei comizi conclusivi: trovavano inconcepibile e quasi
blasfemo, nella loro mentalità da contabili, che un leader si
riferisse alle tradizioni anziché alle poste di bilancio, facesse
appello a una resistenza orgogliosa in luogo di promettere strizzando
l’occhio 80 euro, presentasse i molto rispettabili creditori per
quel che in effetti sono – taglieggiatori e bugiardi. Assurdo che
un politico si giochi tutto (carriera, popolarità, futuro) per…
non comprendevano neppure per cosa, pur lambiccandosi il cervello
sulla pagina bianca: per opinionisti abituati al quotidiano do
ut des della
politica fintamente post-ideologica i grandi progetti, le aspirazioni
al cambiamento sono versi scritti in una lingua morta.
Non
solo Tsipras, però: in quest’elettrica settimana di fine giugno
anche il ministro delle finanze Varoufakis si è ritagliato un ruolo
di primattore. Le sue sfide al Gotha internazionale avevano qualcosa
che rimandava ai poemi omerici; il presentarsi alla conferenza stampa
in maglietta, a referendum stravinto, e le successive dimissioni da
ministro hanno regalato un brivido all’immaginario collettivo.
Aveva promesso di andarsene – con Alexis Tsipras – se il
risultato fosse stato sfavorevole; se n’è andato comunque, ma da
solo, come in certi western crepuscolari che tanto devono alla
tragedia greca. Qualcuno sostiene che alla base dell’addio vi siano
frizioni col premier, magari la volontà di non esasperare le
tensioni con la “destra” di Syriza bramosa di un accordo
purchessia. Improbabile, dopo un trionfo di simili proporzioni. No,
credo si tratti di una mossa ad effetto concordata fra i due –
forse influenzata, ma non determinata dall’esigenza di trovare un
compromesso accettabile in tempi brevi (o di fare un tentativo in
quella direzione che non sembri di facciata). Mi viene in mente un
nome: quello di Clistene, il fondatore della democrazia ateniese.
Dopo aver riscritto, alla fine del VI° secolo a.C., la costituzione
della sua città in senso popolare, il politico scompare dalla scena
e diventa – semplicemente – leggenda. E non si dica che
Varoufakis ha abbandonato anzitempo: anche il suo predecessore si
limitò al primo passo. Quello più importante, quello decisivo.
Quello che mutò il quadro.
Il
referendum, voglio dire, non è stato semplicemente una consultazione
popolare, o peggio ancora un espediente politico. Il referendum,
questo referendum di domenica 5 luglio, assurge a mito
fondativo di una
nuova società e di una nuova era. Tsipras, il suo governo ed oltre
il 60% dei cittadini ellenici hanno testimoniato che il terrorismo
finanziario può essere sconfitto, o perlomeno affrontato, e che
nella lotta contro l’economia di rapina la democrazia, i popoli
possono ancora dire la loro. Una bella fregatura per analisti e
tecnocrati, convinti che gli elleni si sarebbero adeguati,
mugugnando, alle loro logiche da partita doppia (truccata). Si
tratta, in ogni caso, di una straordinaria iniezione di fiducia per
le genti europee, oggi imprigionate più che rappresentate da una
classe politica di zelanti servitori del Capitale. Movimenti come
Podemos, il Sinn Fein irlandese, la Združena levica slovena, la stessa Linke
(presente con una sua delegazione in piazza Syntagma anche per
rammentarci che la “sinistra” tedesca non è formata solo da
Schulz e Gabriel, degni nipotini del traditore Noske) potranno trarre
enorme profitto, in termini elettorali e di credibilità, dal fiero
OXI
gridato dal popolo greco, che trova nella sua cultura e nella Storia
un baluardo contro l’assalto dei barbari. Stanno già provando - i
pennivendoli al servizio degli usurai – ad infangare questa
attestazione di dignità e coraggio chiamandola “nazionalismo”,
evocando un passato da cui, secondo loro, l’Unione Europea ci
avrebbe salvato. Argomento subdolo e ingannevole (è stata la
divisione in blocchi egemonizzati da potenze esterne a garantire 45
anni di pace armata europea, non certo il miope ed insidioso progetto
unionista), ma timore fondato, il loro: se i popoli del continente
sapranno riappropriarsi del proprio passato – un passato comune,
caratterizzato da lunghi periodi di unità europea e continui scambi
– l’opzione delle lobby multinazionali sull’Europa si rivelerà
carta straccia.
In
certi momenti – quando viene scritta davvero – la Storia ha
maggior bisogno di figure mitologiche che di ministri: uscendo di
scena in anticipo, Varoufakis ha inteso offrire l’ennesimo servigio
all’Ellade, e indirettamente a tutti noi.
La vignetta è del Maestro Mauro Biani
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