SULLA CONFERENZA DELLA
SINISTRA CONTRO L'EURO
di Stefano Santarelli
La
conferenza del Coordinamento nazionale sinistra contro l'euro
che si è tenuta ieri a Roma con la presenza di economisti del valore
di Emiliano Brancaccio, Vladimiro Giacché, Enrico Grazzini e del
segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero e presieduta da
Giancarlo D'Andrea ha avuto un indiscutibile successo di
partecipazione che non era affatto scontato anche se pone un problema
politico alla sinistra che non si può non affrontare.
Dispiace
l'assenza dell'esponente del PD Stefano Fassina dovuta ad un ritardo
aereo.
La
relazione a nome del Coordinamento tenuta da Leonardo Mazzei
ha sottolineato che questo organismo, composto da diverse realtà
che sono per l'uscita dalla moneta unica europea, nato dal convegno
di Chianciano tenuto a gennaio punta alla costruzione di un soggetto
politico della sinistra sovranista. Una sinistra che si caratterizza
per la difesa della sovranità nazionale e tale difesa può avvenire
soltanto con una piena sovranità monetaria. Vale a dire l'uscita
dall'Euro e la reintroduzione di una nuova moneta nazionale.
L'analisi
di Mazzei ha rispecchiato un quadro difficilmente contestabile: la
presidenza Renzi all'Unione Europea è stato un vero “flop” non
producendo nulla se non la continuazione dell'attacco ai diritti e ai
salari dei lavoratori. La Germania d'altronde si caratterizza per la
sua inamovibilità nella difesa dei suoi interessi e la politica del
Fiscal Compact è letteralmente insostenibile per il Sud Europa. Il
probabile successo che Syriza potrebbe avere in Grecia sicuramente
non cambierà la politica economica europea.
Mazzei
ha poi sottolineato che sulla crisi dell'Euro si interroga lo stesso
blocco dominante e che ormai rispetto al 1999 quando venne introdotta
la moneta unica oggi nessuno parla più della possibile nascita degli
Stati Uniti d'Europa. Per cui esistono due modi per uscire dall'Euro
uno di destra propugnato da forze come la Lega con risposte di tipo
reganiano e uno di sinistra che parta dalla difesa dei lavoratori e
dallo sganciamento dal capitalismo reintroducendo strumenti come la
scala mobile.
L'intervento
di Enrico Grazzini
che insieme ad altri economisti come Luciano Gallino e Stefano Sylos
Labini tra gli altri ha proposto l'emissione gratuita
di Certificati
di Credito Fiscale (CCF) ad uso differito a favore di lavoratori e
imprese, una quasi moneta nazionale parallela all’euro con l'
obiettivo di aumentare la capacità di spesa dell’economia senza
però creare nuovo debito.
Anche
per Grazzini il nostro paese deve recuperare anche se parzialmente la
propria sovranità monetaria senza la quale non si può uscire da
questa crisi. Infatti l'Euro è stato creato a somiglianza del marco
tedesco e quindi con una impronta strettamente deflazionistica.
Certamente il
tema dell'uscita dall'Euro è come si può facilmente intuire un tema
estremamente delicato anche perché questa moneta costituisce la
seconda valuta internazionale dopo il dollaro.
La
sinistra italiana si caratterizza per un atteggiamento utopistico che
deriva dal pensiero di Spinelli che si basava sulla nascita degli
Stati Uniti d'Europa ed è oggi rispetto alla borghesia la più
carente nel denunciare la crisi dell'Euro. Per Grazzini non esiste
nessuna possibilità di costruire gli Stati Uniti d'Europa poiché
questi paesi sono totalmente diversi sia culturalmente che
linguisticamente. L'uscita unilaterale dall'euro è difficilmente
praticabile e avrebbe comunque esiti molto incerti, per non dire
pericolosi e negativi. Per questo l'emissione dei CCF permetterebbe
al nostro paese di creare una “quasi moneta” nazionale parallela
all'Euro.
L'intervento
di Emiliano
Brancaccio,
l'oratore più applaudito della Conferenza, ha esordito riconoscendo
all'economista Augusto Graziani scomparso recentemente il merito di
avere per primo individuato l'insostenibilità tecnica dell'Euro. Ha
sottolineato l'egemonia da un lato dei “gattopardi” che vogliono
cambiare la moneta per non cambiare nulla e dall'altro lato
l'egemonia di un pensiero xenofobo e fascista che non può non
preoccuparci. E vi può essere la possibilità di una sintesi
dialettica perversa tra queste due opzioni con la possibilità di
crisi bancarie e cambi flessibili che fatalmente colpirebbero i
lavoratori.
Si
è quindi alla soglia della rottura del trattato di Schengen
restringendo quindi i movimenti dei cittadini nei paesi europei. Un
eurozona sempre più insostenibile per i lavoratori che subiranno
forme di vera schiavizzazione.
In
questo contesto è sempre più facile essere contro l'euro e se non
ci muoviamo sarà invece sempre più difficile essere di sinistra. Ed
è per questo che la sinistra deve proporre una politica alternativa
alle oligarche europee.
L'Intervento
di Paolo Ferrero è stato il più controcorrente, ma non
poteva essere altrimenti. Non ha negato che vi è la possibilità
dell'uscita dall'Euro, ma non condivide assolutamente che bisogna
uscire da sinistra dalla moneta unica. Anzi l'uscita dall'Euro non
può essere oggi la parola d'ordine della sinistra perché non vi è
una centralità della moneta poiché questa crisi monetaria è la
forma fenomenica della crisi capitalista.
Ferrero
ha poi fatto una importante autocritica dell'operato di Rifondazione
comunista e se ha rivendicato la giustezza nel votare il trattato di
Maastricht ha sbagliato profondamente nell'appoggiare la nascita
dell'Euro. Ha denunciato poi il duro attacco al mondo del lavoro ed i
ceti più deboli della società ed il Governo Renzi sta proseguendo
la politica di Monti. Proponendo tra l'altro un cambiamento di ruolo
anche della Banca d'Italia con l'emissione di titoli nazionali
costituendo quindi un doppio circuito monetario.
Ha
riconosciuto che Rifondazione Comunista ha fatto il grave errore di
entrare nel Governo Prodi, ma la battaglia del Prc è per un Europa
Socialista dei popoli. E il soggetto è la costruzione di una
sinistra antiliberista non di una sinistra sovranista che dia quindi
una prospettiva socialista al nostro continente.
La
parola d'ordine perciò non è l'uscita dall'euro, ma la
disobbedienza dei trattati europei con il ritiro della firma
dell'Italia dal Fiscal compact. Una pratica quindi di lotta per la
costruzione di un Movimento antiliberista internazionale.
L'intervento
di Vladimiro Giacché ha ribadito il ruolo di destra della
moneta e del Trattato di Maastricht e il valore-guida di questo
trattato è la stabilità monetaria che impedisce manovre di tipo
keynesiano proprio perché gli Stati hanno perso la possibilità di
poterle attuare proprio perché hanno perso la loro sovranità.
Per
il nostro paese tutti
i fondamentali economici sono negativi: lo è il prodotto interno
lordo (crollato di quasi 10 punti percentuali dal 2007), lo è
l’occupazione (disoccupazione al 12,6%, 1 milione di cassintegrati,
disoccupazione giovanile intorno al 45%), lo è la produzione
industriale (-25%), lo sono gli investimenti (crollati del 30% nel
settore delle costruzioni, ma largamente sotto il 20% anche nel
settore manifatturiero in generale). Sin dal luglio 2013 il Centro
Europa Ricerche ha posto in rilievo, sulla base di queste e altre
evidenze, come la crisi attuale sia la più grave in assoluto
dall’Unità d’Italia in poi (crisi del 1929 inclusa). Da allora
la situazione non è migliorata. E un ulteriore elemento di
preoccupazione si è aggiunto al quadro: il calo dei prezzi. In base
all’ultima rilevazione Istat, riferita al mese di settembre, essi
sono diminuiti dello 0,4% su base mensile e dello 0,2% su base annua.
I
rischi poi dell'uscita dall'euro sono privi di fondamento.
I
CCF proposti da Grazzini per Giacché non sono attuabili e non è
sufficiente neanche il rigetto dei trattati proposti da Ferrero.
Ho
riassunto molto sinteticamente gli interventi di questa
interessante Conferenza e se vi sono delle imprecisioni me ne scuso
sinceramente con i diretti interessati comunque poi Sollevazione
manderà certamente nel suo sito la registrazione di questi lavori.
L'impressione
di colui che scrive queste frettolose note e che questa Conferenza ha rappresentato un momento
di dialogo molto interessante del quale purtroppo non siamo più
abituati ma in modo dialettico ha dimostrato se ve ne era bisogno
che la nostra sinistra non gode certo di buona salute e rischia
ancora un'altra volta di subire un'altra spaccatura.
Sono
convinto anch'io con Ferrero che l'uscita dall'Euro non può essere
oggi una parola d'ordine per la sinistra, infatti come ho già
scritto in un mio precedente articolo :
“il
lancio di una campagna demagogica per l’uscita dall’Euro può
costituire al massimo soltanto un aspetto tattico ma certamente non
strategico della nostra battaglia politica.”
Infatti
come scriveva anche Olmo Dalcò in un articolo violentemente
attaccato da Moreno Pasquinelli:
”Se
il rigetto delle condizioni
dell’euro
è una rivendicazione necessaria e non sufficiente, secondaria e
riduttiva, rispetto al rigetto complessivo
dell’Unione
Europea borghese, la valuta unica europea in
sé stessa,
ossia indipendentemente dalla regole, fissate nel Trattato e nello
Statuto della Banca Centrale, che fondano l’Unione Monetaria e
l’euro, è un bersaglio certamente sbagliato.”
La
battaglia contro l'euro costituisce effettivamente un bersaglio
secondario e deviante ed inseguendo la destra su questo
terreno fatalmente la sinistra perderà.
E'
questo uno dei motivi per cui Rifondazione è ostile a tale campagna
come lo sono quasi tutte le formazioni della sinistra radicale. E
sono facile profeta nel sostenere che la battaglia contro l'euro ed
il sovranismo costituiranno un ostacolo per l'unità della sinistra
anche dal punto di vista elettorale.
Ritenere
poi che basti un cambio di moneta per risolvere una crisi tra le più
drammatiche (se non la più drammatica) del capitalismo e dare prova
di grande ingenuità. Se non si rilancia il sistema produttivo
italiano il nostro paese è destinato a un futuro certamente non
roseo. E come ammonisce il nostro Renato C. Gatti:
“La
nostra crisi sta in un sistema produttivo pusillanime e rassegnato
che vive di commesse statali alimentate da corruzione e sollecitate
da concussione. la nostra crisi sta in venti anni di incremento della
produttività pari a zero”
Tra
l'altro non condivido assolutamente la tesi propugnata da Giacché
che i rischi dall'uscita dall'Euro sono privi di fondamento, forse lo
sono per la borghesia ma non certamente per i ceti più deboli della
società italiana. E colgo l'occasione per contestare l'opinione del
mio compagno ed amico Riccardo Achilli il quale nel suo ultimo
articolo
che pur riconoscendo:
“che
un’uscita dall’euro avrebbe effetti negativi sulla dinamica dei
salari reali e sulla quota dei salari rispetto al PIL,
quantificabili, per un Paese come l’Italia, in 4 punti di caduta
del salario medio nell’anno della fuoriuscita (però in cinque anni
il salario recupera e cresce di 1,7 punti) e in una riduzione di 5
punti della quota salari/reddito nazionale in 5 anni” e che
si
“possono
immaginare anche i doverosi paracadute, utili a far passare la
nottata nella fase di shock da fuoriuscita: sistemi di indicizzazione
dei salari, meccanismi di reddito minimo garantito, programmi di
edilizia popolare e di lavori di pubblica utilità, interventi di
calmieramento dell’aumento del prezzo delle materie prime
energetiche importante, panieri alimentari sovvenzionati, ecc. Tutti
interventi mirati a sostenere i salari ed il tenore di vita nella
fase di fuoriuscita, e quindi a ridurre gli effetti negativi di cui
sopra.”
Ora questi
“paracaduti”, questi “meccanismi di reddito garantito” o
“l'indicizzazione dei salari”dubito molto (per usare un
eufemismo) che possono essere fatti dall'attuale Governo Renzi , alla
mia età non si crede più alle favole.
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