IN DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA
di Lucio Garofalo
Nella mia carriera professionale mi sono imbattuto
soprattutto in due tipologie di dirigenti. La prima categoria, forse la
più diffusa nel mondo della scuola, è quella del preside “hitleriano”, o
dispotico, che tratta l’istituzione in modo autocratico e verticistico,
scambiando l’autonomia scolastica per una tirannide individuale e
stimando i rapporti interpersonali in termini di supremazia e
subordinazione.
Questa figura di preside non ama affatto le norme e le
procedure democratiche, scavalca gli organi collegiali ed assume ogni
decisione in maniera arbitraria e discrezionale senza consultare quasi
mai nessuno. Costui si pone sempre in modo arrogante, protervo ed
autoritario, dimostra (intenzionalmente, oppure istintivamente) un
cipiglio severo e spietato per intimorire e mettere in soggezione gli
altri. Abusa spesso dei propri poteri e tende a commettere facilmente
angherie e soprusi verso i sottoposti, trattati alla stregua di sudditi
privi di ogni diritto ed ogni libertà, con i quali si comporta in modo
inclemente.
La seconda tipologia, probabilmente la più pericolosa, è
quella del dirigente affarista e demagogo, che spesso si confonde e si
sovrappone, o coincide, con il tipo assolutista. Tale soggetto
concepisce anzitutto la scuola come una sorta di proprietà privata, la
sfrutta per scopi di lucro e prestigio personale, per cui la gestisce in
modo da trasformarla nel più breve tempo possibile in un vero e proprio
progettificio scolastico. In tal senso si adopera per reperire ogni
finanziamento economico aggiuntivo messo a disposizione delle scuole, da
cui attinge elargendo i fondi senza un giusto criterio, applicando
logiche clientelari e paternalistiche per premiare di solito una cerchia
oligarchica che è composta dallo "staff dirigenziale".
Da un simile assetto politico-gestionale scaturisce un
carrozzone progettuale ed assistenzialistico carico di una pletora
abnorme di iniziative didattiche a dir poco eccedenti, che non hanno
alcuna ricaduta o incidenza positiva sulla formazione educativa e
culturale degli studenti. Una simile sovrabbondanza di sovvenzioni e di
contributi finanziari, in realtà serve a beneficiare una minoranza assai
ristretta che supporta il dirigente.
Ma esiste un’altra tipologia, quella del preside umano, con
pregi e difetti. È indubbiamente un esemplare assai raro, ma è l’unico
che ispiri la mia simpatia, la mia stima ed approvazione più sincera.
Infine, qualcuno mi risponda sul potere di nomina diretta
dei docenti a totale discrezione ed arbitrio dei dirigenti scolastici.
Come previsto nel disegno di legge varato dal governo in materia di
scuola. Non mi sembra sia il miglior antidoto contro le pratiche
clientelari, già diffuse nel mondo della scuola. È ovvio che un simile
fenomeno si potrà acuire.
In sostanza, la legge 107/2015 ha sterzato bruscamente in
una direzione aziendalista e neoliberista, stravolgendo l'architettura
istituzionale della "autonomia scolastica". Una grottesca, inquietante
caricatura di sceriffo (o una sottospecie burocratica di "manager
privato") detiene il potere di assegnare, tramite meccanismi di nomina
diretta, la sede e la cattedra di insegnamento in base a criteri
arbitrari e discrezionali, oltre a decidere addirittura cosa e come
insegnare. In altri termini, la tanto bistrattata "libertà didattica" è
destinata a farsi benedire in maniera definitiva.
Occorre comprendere l'importanza vitale della scuola
pubblica per il tessuto di una società "democratica". La più grave
insidia dell'autoritarismo fascista ed oscurantista si annida dietro
l'eclissi dell'istruzione statale e della formazione culturale delle
giovani generazioni.
In Italia, a decorrere dal secondo dopoguerra, quando venne
istituita per legge l'istruzione elementare gratuita ed obbligatoria
per tutti (fatto che avvenne in coincidenza con il "boom" economico,
guarda caso), le classi inferiori hanno potuto frequentare la scuola e
studiare.
Fino ad allora, non soltanto nel nostro Meridione ma in
tutto il Paese, l'istruzione e la cultura erano state appannaggio
esclusivo delle classi sociali alto-borghesi ed aristocratiche, a cui
era concesso il privilegio degli studi.
È noto che in passato l'analfabetismo era assai diffuso tra
le classi contadine ed operaie. Ma ciò era vero tanto al Sud quanto al
Nord. Ogni tanto gioverebbe ricordare che il dominio politico della
monarchia sabauda e delle élites "liberali" piemontesi sulle regioni
meridionali, si reggeva soprattutto sul mantenimento delle masse
popolari in uno stato di ignoranza ed arretratezza culturale. È
innegabile che il dominio imposto sulle plebi rurali del Meridione, da
parte della dinastia sabauda e del ceto politico-economico piemontese
(di cui Camillo Benso conte di Cavour fu tra i massimi esponenti) si
reggeva anche e soprattutto sullo stato di ignoranza e di analfabetismo
in cui versavano le classi subalterne del Sud, nonché il proletariato
industriale delle regioni settentrionali.
La vignetta è del Maestro Mauro Biani
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