Il PD: il partito dei bugiardi seriali
|
Il
prossimo 17 aprile siamo chiamati a votare nel referendum sulle
trivellazioni in mare destinate alla ricerca ed allo sfruttamento dei
giacimenti di gas e petrolio nei tratti di mare sotto costa.
Ciò
su cui andremo “tecnicamente” ad esprimerci riguarda la possibilità che
le concessioni attualmente attive per lo sfruttamento di giacimenti di
gas e petrolio entro le dodici miglia marine dalla costa possano
continuare ad operare anche dopo la scadenza delle concessioni fino
all'esaurimento dei giacimenti. Se prevarranno i SI questa possibilità
sarà esclusa, se vinceranno i NO o non verrà raggiunto il quorum
necessario a rendere validi i referendum (la partecipazione al voto del
50% più uno degli aventi diritto) tale possibilità verrà mantenuta.
E'
coinvolto in effetti un piccolo numero di piattaforme estrattive, con
un modesto apporto al fabbisogno energetico nazionale e gli effetti del
referendum si avrebbero (in base alla durata delle singole concessioni)
non prima di cinque o dieci anni: dunque nessun shock petrolifero
all'orizzonte e nessuna prospettiva di licenziamenti di massa.
Per
capire cosa c'è in ballo (è evidente che il valore simbolico e politico
del referendum va ben oltre il quesito in essere) è necessario fare un
po' di cronistoria. Tutto nasce con lo Sblocca Italia, la legge con cui
Renzi pianifica la devastazione definitiva dell'ambiente con un
incontrastato e criminale via libera alla cementificazione, agli
inceneritori e alle trivellazioni nei tratti di mare sotto costa.
In
soldoni distruggere l'Italia, compromettere la salute dei cittadini,
far fallire vitali attività economiche locali (nel turismo, nella pesca,
nell'agricoltura) per i profitti di pochi mascherando il tutto con la
promessa della crescita del PIL (se va bene qualche frazione decimale in
più).
Di questa follia autodistruttiva, di questa eutanasia di una Nazione le trivellazioni sotto costa rappresentano l'aspetto paradigmatico: un Paese a vocazione turistica e che ha nell'agro-alimentare uno dei punti di forza della propria economia acconsente ad un pugno di multinazionali, anche con l'uso di tecniche devastanti per la fauna marina e a cui si imputa di provocare terremoti (airgun), a cercare sotto costa gas e petrolio, con risibili incassi finanziari per lo Stato e trascurabili effetti sul fabbisogno energetico nazionale, per alimentare un settore produttivo, quello dei combustibili fossili, di fatto ormai senza futuro. E anche se ciò comporta compromettere l'integrità e la bellezza di coste e spiagge e far ammalare i cittadini.
Un
progetto talmente insensato che ha costretto, alla luce delle numerose
richieste di concessione riguardanti tutti i mari italiani, persino nove
Presidenti di regione del PD e della Lega a promuovere i referendum per
dire no a questa parte dello Sblocca Italia.
Di fronte alla mobilitazione popolare (si ricordi la manifestazione NoOmbrina del
23 maggio 2015) e alla possibilità di una sconfitta al referendum,
Renzi - così attento agli umori della piazza e al proprio consenso (e la
salute e l'ambiente sono temi popolari!) - è stato costretto ad una
parziale marcia indietro. Con l'ultima legge di stabilità modificando le
norme dello Sblocca Italia riguardanti le trivellazioni sotto costa ha
disinnescato i referendum lasciandone in piedi furbescamente solo uno:
quello appunto relativo alla proroga delle concessioni già in atto. La
tattica renziana è palese: aspettare che il referendum, svuotato dei
contenuti più inaccettabili per i cittadini (le nuove trivellazioni),
fallisca con il mancato raggiungimento del quorum per poi riproporre le
norme contestate in tempi migliori (e la volontà di privatizzare la
gestione dell'acqua appena è stato possibile, essendo decorsi cinque
anni dal referendum, indica chiaramente la direzione in cui si muove)
con l'alibi che la maggioranza dei cittadini non si è pronunciato sulla
questione. Dalla sua parte ha evidentemente tutta la grande stampa e le
tv espressioni del potere economico nonché la Rai, quella del “servizio
pubblico” e a cui va versato l'obolo del canone nella bolletta
elettrica, che diligentemente agiscono per oscurare il referendum e
diffondere disinformazione a pieni mani. Il mancato accorpamento con le
prossime amministrative è l'altra mossa di prammatica per chi vuole
impedire la possibilità che si esprima la volontà popolare (e per un
bugiardo seriale non conta nulla che ciò smentisca precedenti
dichiarazioni al riguardo e che significhi, in un Paese dove persino la
carta igienica nelle scuole se la devono portare gli studenti da casa,
300 milioni di euro gettati al vento).
Renzi e l'acqua pubblica by Luca Peruzzi
|
Il
referendum del 17 aprile conserva però un fondamentale valore simbolico
e politico. Ciò su cui siamo chiamati realmente ad esprimerci è se come
Paese dobbiamo rassegnarci alla distruzione dell'ambiente e
all'attentato alla salute delle persone a favore del profitto di pochi,
alla privatizzazione dei beni comuni, alla dittatura delle
multinazionali (anzi nel caso delle trivellazioni nei mari italiani,
come scrive Maria Rita D'Orsogna,
di qualche banda di avventurieri), ad una politica energetica che
perseveri nella dipendenza suicida dai combustibili fossili anziché
puntare tutto sulle rinnovabili e a quanto di positivo questa scelta
comporterebbe in termini di tutela ambientale, salute, qualità della
vita, occupazione, ricerca, indipendenza energetica nazionale,
equilibrio dei conti con l'estero, democratizzazione della produzione di
energia mettendo fine alla schiavitù del rubinetto in mano a pochi
soggetti.
La
questione delle trivelle mi suggerisce però una ulteriore riflessione.
L'argomento principe con cui, da Mario Monti in poi, si è giustificata
l'austerità (aumento delle tasse, riduzione della spesa pubblica e
anzitutto della spesa sociale) come unico orizzonte possibile è che la
priorità assoluta per il Paese doveva essere ridurre il debito per non
lasciare tale fardello sulle spalle delle prossime generazioni.
Ma
dove sono i “paladini” delle prossime generazioni quando si parla di
ambiente? Esiste un dovere maggiore verso chi verrà dopo di noi di
preservare l'ambiente, di dire basta alla cementificazione del
territorio, di contrastare e ridurre l'inquinamento atmosferico, di
riconvertire la produzione e la distribuzione delle merci affinché si
riesca ad evitare di restare completamente sommersi dall'immondizia, di
conservare il paesaggio e il nostro patrimonio artistico ed
archeologico? Chi sbandierava e sbandiera il futuro delle prossime
generazioni, come alibi delle decisioni politiche antisociali e
antipopolari, sono gli stessi delle grandi opere inutili e devastatrici,
del consumo di terreno agricolo con il cemento e l'asfalto della
speculazione edilizia, delle autostrade deserte, dell'EXPO,
dell'inquinamento atmosferico cancellato per decreto aumentando i limiti
consentiti delle sostanze tossiche e cancerogene nell'aria,
dell'imminente dittatura incontrastata delle multinazionali attraverso
il TTIP, dello Sblocca Italia.
Siamo
di fronte ad una ipocrisia, ad una attitudine alla truffa intellettuale
e alla menzogna senza limiti: sull'ambiente come sull'economia.
Le
politiche di pareggio di bilancio rappresentano infatti una bestialità
in termini di risultati economici: far crollare la domanda interna con
l'austerità significa ridurre la produzione di ricchezza (quella che
viene grossolanamente ed arbitrariamente misurata con il PIL) e dunque
aumentare l'incidenza, in termini relativi ed assoluti, proprio del
debito pubblico.
Quello
che ci hanno spiegato gli economisti non a libro paga del grande potere
economico è che uno Stato non funziona come un singolo individuo o una
famiglia che deve spendere nei limiti delle proprie entrate.
La
spesa pubblica finanziata attraverso il debito o stampando denaro
attiva le potenzialità del sistema produttivo, è trasferimento di
ricchezza verso i cittadini addirittura anche quando viene sperperata
nella corruzione e negli sprechi e tanto più quanto è impiegata in modo
efficiente ed equo in investimenti e spesa sociale. La spesa a deficit e
il debito pubblico sono la normalità nella vita degli Stati purché
questi mantengano la sovranità sugli strumenti per governare la moneta,
che non si facciano legare mani e piedi dalla speculazione finanziaria,
che riescano a mantenere in equilibrio i conti con l'estero.
Quello
che viene indicato come il furto dei vecchi a danno dei giovani –
condizioni di lavoro e retribuzioni dignitose, la sanità pubblica, la
pensione in un'età che non preceda immediatamente la morte, l'istruzione
superiore e l'università accessibile ai più – è proprio quello che ha
consentito ai giovani di vivere meglio di chi li ha preceduti ed anzi se
ancora oggi, nonostante il precariato e la disoccupazione, non sono
alla fame e possono continuare ad accedere in larga parte alla maggior
parte dei beni di consumo è proprio grazie ai risparmi accumulati da
genitori e nonni.
Il
futuro dei giovani e delle prossime generazioni non è messo a
repentaglio dal debito pubblico ma al contrario da un sistema
capitalistico che accentrando totalmente il monopolio della ricchezza e
della produzione della ricchezza nelle mani di pochi (questo è il
liberismo) determina disoccupazione e precariato, il non poter accedere a
scuole e università di qualità, il non potersi curare adeguatamente in
caso di bisogno, il non poter progettare la propria esistenza, il non
poter avere una casa a costi ragionevoli per conquistare autonomia e
indipendenza dalla propria famiglia, il non potere sperare in una
pensione dignitosa da vecchi. E che queste stesse cose vengano
contemporaneamente tolte ai propri genitori e ai propri nonni, che ad
essi vengano negate persino cure e assistenza, non è una consolazione ma
un ulteriore danno.
I
risultati delle politiche di “contenimento” del debito pubblico sono
sotto gli occhi di tutti: deindustrializzazione e colonizzazione
economica (“gli investimenti esteri”) dell'Italia, la stagnazione del
Paese a fanalino di coda a livello mondiale nella ricerca scientifica,
l'esplosione della disoccupazione e della povertà unitamente alla
precarietà, il contemporaneo aumento della mortalità e la diminuzione
della natalità, milioni di italiani che non hanno più la possibilità di
curarsi, la rinuncia di massa a seguire studi universitari.
Per
quanto mi riguarda è passato il tempo in cui mi illudevo che con il
voto si potesse cambiare la realtà delle cose ma comunque non voglio
rinunciare alla possibilità di gridare ciò che considero giusto e
razionale per il bene di tutti. Dunque il 17 aprile andrò a votare e
voterò SI: per il presente e il futuro dell'Italia, contro Renzi, contro
la dittatura del Capitalismo “l'economia che uccide”.
Nessun commento:
Posta un commento