di Norberto Fragiacomo
Le Cooperative operaie nascono, in una Trieste
ancora austriaca, il 26 ottobre 1903, per iniziativa della Casa del Popolo,
vale a dire di Valentino Pittoni, padre nobile, assieme a Carlo Ucekar, del
Socialismo triestino.
Il verbale, scritto in bella calligrafia (come
si usava allora), attesta la presenza di 127 “consortisti”, che, nel corso di
un secolo lungo e doloroso per le terre giuliane, si moltiplicheranno a
dismisura.
Oggi le COOP, non più solo ”di Trieste”, ma
pure di “Istria e Friuli”, vantano circa 110 mila soci, ed il prestito sociale
si aggira sui 160 milioni di euro, con 17 mila sottoscrittori: rappresentano,
insomma, una fra le realtà imprenditoriali (e datoriali) più significative
della regione Friuli Venezia Giulia.
Lo spirito dei fondatori, però, si è in parte
perso: cosa avrebbero detto quei “consortisti”, e il segretario Pittoni, della
richiesta di danno morale (500 euro, poi ridotti[1]) avanzata nei confronti di
una vecchietta ultrasettantenne, sorpresa a rubare due arance e due fette di
carne in un supermercato? E come avrebbero commentato un regolamento elettorale
che, di fatto, garantisce agli attuali vertici l’elezione a vita, frapponendo
ostacoli insormontabili alla presentazione di liste e candidature alternative?
Di recente qualcosa si è mosso: un socio, che
ne raccoglie intorno a sé molti altri, ha iniziato una battaglia contro la
dirigenza, evidenziando le gravi perdite gestionali (coperte, annualmente, con
immancabili plusvalenze[2]) e domandando un deciso cambio di rotta. Lo scontro
ha animato le assemblee per l’approvazione del bilancio, svoltesi a inizio
estate, e poi si è trasferito nelle aule del tribunale e sui giornali locali:
Il Piccolo ed il bisettimanale La Voce di Trieste danno voce ai protagonisti
della vicenda, e si sforzano – soprattutto il secondo – di mantenere un tono
obiettivo.
L’ultimo episodio della saga è incentrato sul
controllo straordinario disposto dalla Regione nei confronti dell’ente (che nega
qualsiasi ipotesi di irregolarità gestionale), ma sullo sfondo già si profilano
le elezioni per il rinnovo del Consiglio di amministrazione, in vista delle
quali i soci “dissidenti” domandano le indispensabili modifiche regolamentari.
Lo sceneggiatore della vicenda Coop dev’essere
un giallista di tutto rispetto, se è vero che, da mesi, tiene i lettori de Il
Piccolo (ed a maggior ragione, gli oltre centomila soci delle Cooperative
operaie di Trieste, Istria e Friuli) con il fiato sospeso.
Dopo assemblee al calor bianco e provvedimenti
giudiziari in serie, arriva, il sabato prima di Ferragosto, l’ennesimo colpo di
scena: a pagina 22 del giornale, in Cronaca, spunta un articolo che, già dal
titolo, sa di The End: “Coop, finita l’ispezione: <<Nessuna
irregolarità>>”.
Non saranno le uniche virgolette in un testo,
di media lunghezza, redatto all’insegna del tutto
va bene: leggendolo, si apprende che i 160 milioni del prestito sociale
sono in ottime mani. Meglio così, ci mancherebbe! Balzano però subito agli
occhi delle stranezze – anzi, per conservare una doverosa obiettività, ci
correggiamo: una serie di… peculiarità del pezzo giornalistico.
Anzitutto, l’articolo – a differenza dei
precedenti (Ernè, poi Barbacini), e dei due pubblicati martedì 14 (Unterweger)
- non reca, in calce, alcuna firma: che si sia scritto da solo? Singolare,
inoltre, che venga dato ampio spazio alle dichiarazioni del direttore generale
Della Valle e a quelle, larvatamente minacciose, del presidente Marchetti –
tutte opportunamente virgolettate – e non si riporti, al contrario, alcun
passaggio del verbale dell’amministrazione regionale che proverebbe, secondo
Pier Paolo Della Valle, che “le tesi”
dei contestatori sono “infondate e
fuorvianti”. Nel comunicato delle Coop si precisa che “la Regione sottolinea come non ci siano irregolarità nei bilanci, il
regolamento elettorale sia corretto, le assemblee di giugno regolari” ecc.:
benissimo, ma come mai, di fronte ad un simile scoop, il giornalista non ha preteso di verificare le informazioni facendosi
mostrare il famoso verbale, per poi riportarne i passi salienti? La dirigenza
Coop glielo avrebbe messo volentieri a disposizione, opiniamo, visto che, per
sua stessa ammissione, “ha ricevuto il documento dal Servizio cooperazione
della Direzione centrale (righe da 9
a 12)”. Ci riesce difficile credere, in ogni caso, che
le “oltre quaranta pagine” del verbale abbiano spaventato il giornalista,
inducendolo a rinunciare all’istruttiva lettura.
Particolari senza importanza, si dirà, così
come di scarso rilievo potrebbe essere valutata la sola richiesta, proveniente
dalla Regione (metà della terza colonna), di riapprovare il regolamento del
prestito sociale, datato 1997; sorprende alquanto, invece, che
l’amministrazione sconfessi l’autorità giudiziaria, sostenendo che per la
consegna del libro soci “va fissato un prezzo dal Tribunale”.
Insomma, il cronista innominato fornisce più “certezze”
che notizie, e non soddisfa appieno il nostro legittimo desiderio di conoscere
come stiano realmente le cose.
Tocca quindi abbeverarci alle fonti – quelle
normative, intendo, visto che si tratta di un’ispezione straordinaria
effettuata dall’amministrazione, ed il potere ispettivo trova il suo fondamento
nella legge, che, nel caso specifico, è la Legge regionale 3 dicembre 2007, n.
27 (“Disciplina organica in materia di promozione e vigilanza del comparto
cooperativo”): in base all’articolo 5 dello Statuto speciale, la Regione ha difatti
potestà legislativa in materia di cooperazione e vigilanza sulle cooperative (n.
17).
Il riferimento al verbale ed all’ispezione
straordinaria ci conduce dritti al Capo IV, rubricato “Attività di
revisione”.
L’articolo 14 distingue tra revisioni ordinarie
– che avvengono con cadenza almeno biennale (comma 1), e, si noti bene, sono svolte,
per le cooperative aderenti a Confcooperative, dalla medesima Associazione, il
cui presidente, uno e bino (per la cronaca, si chiama Franco Bosio), siede
contemporaneamente nel CdA delle Cooperative operaie, – e revisioni
straordinarie che, ai sensi del comma 6, “sono
effettuate dalla Direzione a mezzo di revisori incaricati sulla base di
esigenze di approfondimento derivanti dalle revisioni ordinarie e ogni
qualvolta se ne ravvisi l’opportunità (…)”. Nel nostro caso siamo alle
prese con una revisione straordinaria, che mira ad accertare (articolo 15,
comma 2) l’esatta osservanza delle norme, la sussistenza dei requisiti
normativi per il godimento di agevolazioni, il regolare funzionamento
amministrativo-contabile dell’ente, l’esatta impostazione tecnica e il regolare
svolgimento delle attività specifiche, la consistenza patrimoniale dell’ente e
lo stato delle attività e delle passività e, infine, la correttezza dei
rapporti instaurati con i soci lavoratori e l’effettiva rispondenza di tali
rapporti a quanto previsto normativamente e contrattualmente.
L’articolo 16 ci presenta il già citato
verbale, il cui modello viene determinato, assieme alle modalità ed ai termini
di esecuzione della revisione, con provvedimento del Direttore centrale
competente in materia di vigilanza sulla cooperazione.
Il modello è, in sostanza, un prestampato, che
si basa su quesiti standard, cui il
revisore incaricato dalla direzione è tenuto a dare una succinta – e
documentata – risposta; consta mediamente di una dozzina di fogli (al netto
degli allegati: non quindi le quaranta pagine di cui si parla nell’articolo…) e
va sottoscritto, a redazione effettuata, dal professionista e dal
rappresentante legale della cooperativa. Ci risulta – la notizia non è coperta
da segreto, e potrà forse interessare il lettore – che a firmare il verbale
siano stati il presidente Livio Marchetti e la dott.ssa Lorella Torchio,
iscritta all’Albo Regionale dei revisori di società cooperative.
L’articolo 17 (Esecuzione delle revisioni) riconosce al revisore ampie facoltà
istruttorie, e pure un potere di diffida, nei confronti dell’ente, ad eliminare
le irregolarità sanabili, anche se l’ultima parola spetta alla Direzione centrale,
attraverso il Servizio competente per materia: un tanto significa che il
documento inviato a Regione e Coop non ha
natura di provvedimento definitivo, come l’articolo pubblicato l’11 agosto
sembra suggerire. Nei fatti, in esito all’ispezione, il professionista formula
una proposta di provvedimento che, a seconda delle circostanze, può avere tre
diversi contenuti.
Ove non siano riscontrate irregolarità di alcun
genere, la revisione si conclude con un certificato
di revisione rilasciato dal Direttore del Servizio cooperazione entro novanta
giorni dal ricevimento del verbale; nell’eventualità, menzionata in precedenza,
di irregolarità sanabili, tocca al revisore chiedere all’ente cooperativo di
porvi rimedio, indicando all’uopo un termine; ove le anomalie permangano, la
decisione sul da farsi spetterà agli uffici regionali. Nelle ipotesi più gravi
– violazioni di legge, pesanti ammanchi di bilancio ecc. – l’articolo 23 della
Legge regionale 27/2007 prevede una vasta gamma di sanzioni, che vanno dalla
gestione commissariale allo scioglimento per atto dell’autorità. Detti
provvedimenti, visto l’impatto sulla vita societaria, sono di competenza
dell’organo politico, e vengono assunti “con
deliberazione della Giunta regionale, su indicazione dell’Assessore competente,
sentito il parere della Commissione” regionale per la cooperazione. Si
potrebbe nutrire qualche dubbio sull’opportunità di coinvolgere nella decisione
un collegio egemonizzato dalle Associazioni regionali di cooperative (quattro
rappresentanti di Confcooperative, tre della Lega delle Cooperative e due
dell’Associazione generale Cooperative italiane, a fronte di due soli
commissari regionali), ma va chiarito che il parere, per quanto obbligatorio,
non è affatto vincolante per l’amministrazione.
L’istruttoria conduce dunque, a seconda dei
dati raccolti, in tre direzioni fra loro alternative: sta al verbalizzante,
vale a dire al revisore, avanzare la sua proposta, inserendo un’innocente
crocetta in una delle caselle stampate sull’ultima pagina del modello del
verbale di revisione.
Ora, tanto l’amministrazione quanto i vertici
delle Coop hanno in mano il documento siglato dal revisore: mentre la prima,
tuttavia, è impossibilitata a svelarne i contenuti, a causa di una norma
(l’articolo 40 della Legge Regionale 27/2007, rubricato con involontaria
comicità “diritto di accesso”) che sottrae all’accesso i verbali di revisione
per la bellezza di cinque anni (!), alle Cooperative operaie basterebbe esibire
alla stampa la paginetta con la proposta del revisore per mettere a tacere
qualsiasi critica.
Se è tutto in regola, come ci è stato
assicurato, è nel loro pieno interesse farlo, senza contare che i soci – tra
cui il sottoscritto – avrebbero il piacere (ed hanno il diritto!) di vedere
quelle carte, anche per confrontarle con il comunicato stampa pubblicato, con
grande risalto, da Il Piccolo.
Se, malgrado le nostre sollecitazioni, la
dirigenza Coop terrà il verbale in cassaforte, “perché la questione è chiusa”,
non ci resterà che domandare al Direttore del Servizio cooperazione se, avendo effettivamente
riscontrato l’assenza della minima irregolarità, abbia apposto la propria firma
sul certificato di revisione, che, come tutti i provvedimenti decisori, è
pubblico e consultabile da qualunque interessato.
Tra poco, quindi, conosceremo i risultati della
revisione straordinaria, e potremo verificare se la notizia propalata dal
quotidiano locale sia fondata o meno; pur augurandoci, in qualità di soci, che
il controllo abbia avuto esiti positivi, non nascondiamo qualche perplessità
originata dal raffronto tra quanto letto l’11 ed il 14 agosto e il testo della normativa
regionale.
Il “certificato” (di revisione) cui
impropriamente si allude nel pezzo di lunedì scorso può essere rilasciato solo
ove “si siano conclusi senza rilievi di
irregolarità gli accertamenti e le verifiche previsti dall’articolo 15” ; come si concilia questa prescrizione con la
richiesta, menzionata venerdì dall’anonimo articolista, “che il regolamento del
prestito sociale, datato 1997, sia riapprovato dall’assemblea dei soci”? Piccolezze,
certo - ma evidentemente siamo di fronte ad un rilievo… o no? E che cosa
succederebbe se tale regolamento non venisse riapprovato? Urge un chiarimento.
Tralasciamo la questione del regolamento
elettorale a prova di dissidenti, che secondo la Regione – testimonianza de relato resa dalle Coop – sarebbe
“corretto”, e veniamo a quell’inusuale consiglio, rivolto dall’amministrazione
ai giudici triestini, di fissare un prezzo per la consegna del libro soci,
accompagnato dall’affermazione che non ne è dovuto il deposito nella sede della
Camera di commercio.
Un’esortazione ed una negazione pesantissime,
visto che contraddicono (rectius:
contraddirebbero) una sentenza del Tribunale di Trieste, confermativa di una
decisione del suo Presidente, che, oltre a ravvisare scarsa correttezza
nell’operato dei vertici societari (cfr l’articolo
pubblicato da Il Piccolo in data 8 luglio 2012, a firma di Corrado
Barbacini), ha imposto la messa a disposizione e la trasmissione dei dati
relativi ai soci alla Camera di commercio di Trieste. Si rammenti che, per la
vicenda dei 50 mila euro richiesti al socio Adeo Cernuta in cambio della
consegna della lista completa dei soci, sono stati iscritti nel registro degli
indagati, dal pm Federico Frezza, il presidente ed il vicepresidente delle
Cooperative operaie.
Stupisce che, in una situazione tanto delicata
e controversa, un revisore si metta, d’impulso, ad impartire “ordini” (o
consigli niente affatto sollecitati) alla magistratura – anzi, diciamola tutta:
ci appare improbabile, fantascientifico, inverosimile, dal momento che non
siamo nell’Albania di Enver Hoxha, e, per il momento, le forme della democrazia
(se non la sua sostanza, ma questa è un’altra storia), sono ancora in gran
parte rispettate, indipendenza dei giudici compresa. Può darsi che il braccio
di ferro in corso sull’Ilva muti gli scenari, ma intorno a Taranto si muovono
attori (ed interessi economici) giganteschi, di fronte ai quali Coop e comitati
giuliani sono poca cosa.
Insomma, il giallo dell’estate triestina è ben
lungi dal trovare soluzione; e magari presto scopriremo che mancano sia il
“delitto” che i colpevoli. Ne saremmo lieti, poiché siamo persuasi, al pari di Roberto
Cosolini (anche se, a differenza sua, non avvertiamo l’esigenza di recarci ad
omaggiare il presidente pro tempore
Livio Marchetti), che le Cooperative
operaie sono “molto importanti per la città, per la sua storia, per i posti di
lavoro e per il quotidiano servizio che offre a migliaia di consumatori”.
Proprio per questo motivo, auspicheremmo un’attenzione particolare, da parte
del Sindaco, nei confronti del problema, di cui non è lecito disinteressarsi
asserendo – come nell’ancor più preoccupante faccenda Acegas – che “la politica
deve starne fuori”, visto e considerato che, in entrambe le questioni, politici
vecchi e nuovi vestono i panni dei protagonisti (o di ben remunerate comparse).
Alla dirigenza delle
Cooperative operaie di Trieste, Istria e Friuli chiediamo sommessamente di far
parlare le carte, anziché i comunicati stampa… prima delle elezioni per il rinnovo del CdA, si intende. Lo
domandiamo per favore, ma pienamente consapevoli che un tanto - come soci e
come triestini, angosciati per il futuro della nostra città – ci è
semplicemente dovuto.
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