di Lorenzo Mortara
Sembra che il caso Ilva,
almeno per la stampa padronale, sia scoppiato il 26 Luglio, quando il
Giudice per le Indagini Preleminari (G.I.P.) Patrizia Todisco,
attentando vergognosamente alla salute del profitto, ha ordinato il
sequestro della fabbrica e messo agli arresti domiciliari patron
Riva, figlio e altri nobili signori dell’inquinamento inossidabile.
Per
la burocrazia sindacale invece il caso è scoppiato il 2 Agosto,
durante la manifestazione congiunta di Cgil-Cisl-Uil, quando il
Comitato dei Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti ha
interrotto la sua passerella commovente un momento prima che la
Camusso potesse far ridere tutta la piazza con il suo innocuo
comizio. L’intervento è stato provvidenziale, ci ha risparmiato
amarissime risate.
Per
noi della Fiom però il caso è incominciato molto prima, più
precisamente, senza andare troppo lontano, tra il finire del 2011 e
l’inizio del 2012, quando la burocrazia impersonata in quel momento
dall’ex segretario provinciale di Taranto, Rosario Rappa,
appoggiato purtroppo da Landini, ha avviato le solite ignobili
pratiche per liberarsi di alcuni delegati scomodi. La tutela della
burocrazia è costata le dimissioni della RSU FIOM Francesco Rizzo,
passato alla Fim, e una perdita di circa 400 tesserati, tra cui altri
5 delegati. Anche se nella lettera con cui ha rassegnato le
dimissioni, Rizzo, citando a sostegno Rinaldini, dimostra che più
che nella democrazia crede nel suo mito, e dichiara pure di
condividere i valori della Fim, frase che di per sé fa venir subito
voglia di schierarsi dalla parte della burocrazia, per lui, più
delle sue ingenuità, parlano i due licenziamenti con reintegro
ottenuti come premio aziendale per aver difeso la salute dei
lavoratori. Non c’era bisogno dunque di aspettare il responso sulla
vicenda dei probiviri della commissione di accertamento, per
capire che la burocrazia ha torto e Rizzo ragione, anche se questo
non lo giustifica per essere passato alla Fim. Poteva almeno
aspettare un attimo. Chi passa ai sindacati gialli in fondo si merita
la burocrazia, perché si può anche perdere una battaglia contro la
burocrazia, ma passare ai sindacati gialli vuol dire togliersi anche
ogni speranza di vincere la guerra.
A
Taranto, alla resa dei conti con l’Ilva, la Fiom arriva quasi in
braghe di tela, indebolita dalle sue stesse contraddizioni interne.
La vicenda dei delegati dimissionari e la perdita di 400 tesserati,
non è che l’ennesimo segnale dell’arretramento della nostra
dirigenza, Landini in testa, che nell’ultimo anno ha abbassato
notevolmente la guardia. La burocrazia non lo vuole ammettere ma
riepilogando tutti i recenti cedimenti del nostro sindacato, la lista
comincia a diventare davvero troppo lunga per non gettare un’ombra
grossa sul suo operato. La Fiom ha cominciato ad arretrare inserendo
nella piattaforma il raffreddamento del conflitto e gli enti
bilaterali. Ha proseguito accettando gli accordi del 28 Giugno e cioè
le deroghe. Non ha quasi fiatato di fronte alla capitolazione
indecorosa della Camusso sulle pensioni e sull’articolo 18. Ha
chiamato un nemico irriducibile dei lavoratori come la Fornero a
discutere amichevolmente con loro in fabbrica. Ha ingaggiato un
duello non ancora terminato coi ribelli della Piaggio, rei di non
essersi conformati alla linea burocratica. Infine, negli ultimi
tempi, ha richiamato a protezione i sacerdoti dell’Ulivo, Bersani
in testa e Vendola alla coda, dimostrando di non aver ancora imparato
niente dall’esperienza fallimentare dell’ultimo Governo Prodi. Le
manovre burocratiche all’Ilva arrivano in mezzo a tutte queste
oscillazioni e fanno il paio con la vicenda altrettanto grave e molto
simile della compagna Eliana Como, trasferita forzatamente da Bergamo
a Roma per ordini meschini per quanto superiori essi siano.
Il 26
Luglio all’Ilva, il G.I.P. Patrizia Todisco, ha offerto a noi della
Fiom una grande occasione per risalire la china. Landini sta facendo
del suo peggio per non sfruttarla. Il 2 Agosto ha scaricato ai Cobas
e ai centri sociali la contestazione partita da un ape-car guidato
dai promotori del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e
Pensanti. Tuttavia, Cataldo Ranieri, il pericoloso estremista,
quando ha preso la parola al megafono, ha atterrito la folla
mostrandosi subito per quello è: un operaio dell’Ilva, ex delegato
Fiom e ora modestamente passato anche lui alla Fim. Il giorno dopo,
in un comunicato, il nostro segretario rincarava la dose accusando il
comitato “dei Cobas e dei centri sociali” di fare il gioco di Fim
e Uilm e felicitandosi invece con la compagna Camusso per aver
concluso in un’altra piazza la manifestazione. Compagna Camusso che
notoriamente fa il gioco della Fiom contro Fim e Uilm...
Ciliegina
sulla torta, lunedì scorso, mentre Fim e Uilm hanno fatto un quarto
di sciopero contro la Todisco, e quindi per 3 quarti i crumiri come
al solito, Landini si è schierato a favore. Morale: chi con la
Todisco, chi contro, nessuno con i lavoratori! Ma tra il nulla di chi
scaglia i lavoratori contro la Todisco e il nulla di chi l’appoggia
facendo appello alla responsabilità di Riva e del Governo,
vinceranno sempre i primi. Perché vendendosi al padrone,
sfruttamento e morte per i loro schiavi Fim e Uilm li otterranno
sempre, e quindi parecchi lavoratori li seguiranno con la vile
speranza di essere tra i sempre meno fortunati a cui tocca in sorte
solo lo sfruttamento, ma l’ambiente pulito dalla responsabilità
dei padroni la Fiom non lo otterrà mai, per questo non c’è
speranza, nemmeno strisciante. Alla vile codardia di Fim e Uilm, la
Fiom può rispondere solo con il coraggio della sua audacia, perché
della sua rettitudine liberal-burocratica gli operai non se ne
faranno niente.
La
Fiom, all’Ilva, uscirà con le ossa rotte se non prenderà la testa
dei lavoratori. In questo momento così delicato, sottrarsi agli
scioperi telefonati di Fim Uilm, significa lasciare i lavoratori in
balia della loro demagogia. La Fiom deve parteciparvi per trascinare
i lavoratori allo scontro vero, quello con i padroni, non quello
falso con i magistrati dei padroni. Non è necessario per marciare
assieme a Fim e Uilm pensarla come loro, ma è necessario marciare
assieme a loro per smascherarli davanti ai lavoratori. Ma per
smascherarli senza dare appigli a Fim e Uilm, la Fiom deve stare
dalla loro parte senza se e senza ma, non trasformarsi nel sindacato
a tutela della magistratura. La magistratura non paga la tessera. E
se già i padroni denunciano i loro magistrati, non si capisce perché
in loro soccorso debbano venire i lavoratori. La magistratura non sta
dalla parte dei lavoratori. Un frutto sano non cambia la natura di
una pianta marcia e velenosissima che di norma non condanna nulla ma
assolve sempre tutti i signori perché, tra ricorsi e cassazione,
all’ultimo momento è sempre colta da malore passivo verso
il Capitale. E lo vedremo presto proprio a Taranto, dove dietro la
giustizia della Todisco, s’è già mossa la vendetta
dell’ingiustizia padronale che ha denunciato 41 manifestanti.
Vederemo se, alla fine della vicenda, coloro che hanno sostenuto in
pieno la magistratura non si troveranno nello stesso ambiente di
merda di prima con qualche multa in più da pagare per aver osato
manifestare il desiderio di vederlo pulito.
La
Fiom deve fare suo il sequestro della Todisco, non però per
difendere i lavoratori coi metodi della magistratura, che son sempre
i metodi della conservazione, anche le poche rare volte che
funzionano, ma per difenderli coi metodi della lotta di classe, che
sono i metodi della rivoluzione, i nostri metodi. Quando la
Todisco metterà la fabbrica nelle nostre mani, avrà il nostro pieno
appoggio. Finché farà solo il suo dovere di magistrato borghese
avrà il nostro rispetto, ma nulla di più. Noi andremo avanti per la
nostra strada proletaria. Qualche fischio nel cammino non deve farci
chiudere a riccio a protezione dell’apparato. La Fiom non può aver
paura di lasciare l’iniziativa a un Comitato di Cittadini e
Lavoratori Liberi e Pensanti che s’è già dichiarato
apartitico, e quindi inutile per un qualunque pensiero anche
solo vagamente di sinistra. Un Comitato che, seppur da sostenere, s’è
schierato al fianco della Todisco e che di conseguenza, proprio per i
limiti che ha già mostrato, per ora non sa offrire altro ai
lavoratori che una dignitosa sconfitta. Un Comitato di perdenti può
accontentarsi di salvare la dignità, la Fiom è degna solo della
vittoria. Non può accontentarsi di meno, perché i lavoratori non
meritano di essere considerati così poco.
Fim e
Uilm, contro la Todisco, rischiano pure di passare per i ribelli che
non sono. Tocca alla Fiom sbugiardarli spiegando ai lavoratori che
con le ultime due ore di finta protesta, Fim e Uilm si sono
confermate una volta di più sindacati dell’ordine. Nel loro
istinto di sindacati gialli, infatti, hanno subito subodorato che al
di sopra della legge, al di sopra di tutto, ci sta la Legge del
Profitto. Nelle due ore di sciopero di Fim e Uilm, dunque, non c’è
nessuna ribellione all’ordine, ma l’ossequio ancora più
strisciante all’unico ordine a cui anche la magistratura dovrà
sottostare se non vorrà essere scavalcata. La magistratura sarà
scavalcata perché non ha la forza per farsi rispettare. Questa forza
ce l’hanno solo i lavoratori. Tocca alla Fiom usarla, ma non potrà
farlo finché il suo capo mostrerà sudditanza ridicola verso la
magistratura, che altro non è che sudditanza verso il sistema e i
suoi guardiani. Incatenati alle decisioni della Todisco, i lavoratori
resteranno prigionieri di un equivoco: l’idea che i problemi
dell’Ilva possano essere risolti facendo appello al senso di
responsabilità di Riva e del Governo. All’Ilva non c’è alcuna
questione morale, ma una questione di forza, come in tutte le
questioni fondamentali. Senza toccare Riva in ciò che ha di più
caro, il profitto, i problemi dell’Ilva resteranno tutti irrisolti.
Non bisogna sensibilizzarlo, bisogna prenderlo per il collo. Il
diritto non ce la farà mai perché dal cappio della magistratura i
padroni scivoleranno sempre via. La stessa magistratura gli darà
sempre una mano, sequestrando un padrone e mettendone al suo posto un
altro insignito addirittura dell’aureola di Presidente. Perché
Riva o chi per lui faccia gli investimenti necessari, la baracca va
requisita dai lavoratori, non dai magistrati. Perciò, non c’è
altro modo per sequestrarla davvero ai padroni che occuparla. Il
sequestro dei magistrati è un sequestro borghese, la fabbrica resta
sempre tra loro. La Fiom dai nobili pensieri deve passare all’azione,
mettendoli in pratica, non facendo appello a Governo e padroni per
responsabilità che non sentiranno mai. Grazie agli arresti
domiciliari abbiamo anche un pretesto buono per chiedere che l’Ilva,
espropriata e nazionalizzata senza indennizzo, passi subito nelle
mani degli eredi legittimi: i lavoratori. In mano nostra, lo Stato
procederà a tirar fuori i soldi e a installare le migliori
tecnologie per la protezione ambientale e della salute. Nessuna cassa
integrazione. Per tutta la durata della ristrutturazione, i
lavoratori continueranno a prendere stipendio pieno, comprensivo di
tredicesima, quattordicesima e premio aziendale, premio, si capisce,
ottenuto per avere avuto il grande merito di aver occupato la
fabbrica. Non bisognerebbe, in effetti, mai dare un premio ai
lavoratori per meriti che non siano di lotta.
Solo
così la Fiom potrà riconquistare una fabbrica in mano per oltre due
terzi a Fim e Uilm. Perché quello che il Comitato non dice quando
accusa i sindacati di essere collusi, è che se la Fiom all’Ilva ha
le sue colpe, anche gravi, i lavoratori hanno quella di essersi
sottomessi a larga maggioranza a Fim e Uilm. E dove la Fiom è
sporca, bisogna entrarci in massa per ripulirla, non prenderla come
scusa per andare in Fim e Uilm a sguazzare ancora meglio nella
sporcizia.
Se i
lavoratori non fermeranno la fabbrica fino alla sua messa a posto,
dovesse anche costare rifarla da capo, Fim e Uilm, cioè i padroni,
vinceranno, la magistratura potrà sempre dire di aver fatto per una
volta la sua parte, solo la Fiom perderà rovinosamente, perché di
fatto non ne avrà avuta nessuna, proclami esclusi. Con l’Ilva
fermata e presidiata, la Fiom da Taranto ha l’occasione di far
partire una riscossa che arriverà fino a Torino. Non c’è in gioco
solo l’ambiente, ma molto di più. Non basta ripulire mari, monti,
acqua e aria perché non ci sia più l’inquinamento. Anche se ci
trasformassimo nella Svizzera, incantevole e schifosa tanto quanto
l’Italia, per ripulire davvero il Paese da cima a fondo,
bisognerebbe ancora ripulirlo da quell’inquinamento che ci appesta
da quasi due secoli: l’inquinamento inestirpabile della borghesia.
Stazione dei Celti
Martedì 14 Agosto 2012
Lorenzo Mortara
Delegato Fiom-Cgil
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