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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 10 febbraio 2014

IL PROGRAMMA di Sara PALMIERI





IL PROGRAMMA*
di Sara PALMIERI



L’ha persa tre anni fa la voglia di vivere. Quando è morta Teresa, la moglie. Già facevano progetti per la vecchiaia. Come i giovani per il futuro.
Con i risparmi e due buone pensioni avrebbero viaggiato, rinnovato il mobilio di casa, scelto nuove letture. A Teresa piacevano i gialli, Eugenio preferiva l’avventura. Si erano ripromessi di rileggere i classici: Tolstoj, Gogol, Proust, l’Odissea.
Ora Eugenio non ha più voglia di leggere, né di viaggiare o di rinnovare il mobilio, si aggrappa al vecchio che ha condiviso con Teresa.
Solo a volte parlavano della morte, era un evento che non li riguardava.
Invece la morte è arrivata, di mattina, una fredda mattina d’inverno, senza annunciarsi, senza essere attesa. Un incidente di macchina, come altri, per il ghiaccio sulla strada.
Eugenio è rimasto incredulo, per giorni. Ha pensato che non fosse vero e che lei sarebbe ricomparsa, a dirgli che era una burla, la burla del Carnevale che impazzava fuori.
Amici e parenti a consolarlo, il nipotino che vuole giocare.
Frasi di circostanza e psicologia spicciola: “Rielaborare un lutto, come per un trasloco o un divorzio, richiede due anni, poi il dolore si attenua e ricominci a vivere”.
Così non è stato ed Eugenio odia la morte. Non è un sentimento originale. Tutti odiano la morte, ma non quanto lui. Lui ha deciso di prevenirla, guardandola in faccia.
Il giardino dove è sepolta Teresa è nel paese d’origine, così diverso dalla città dove hanno abitato. E’ su una collina di terra rossa, su cui si distendono alberi di ulivo. All’orizzonte occhieggia il mare.
Eugenio le ha piantato intorno i fiori che più amava, narcisi e giunchiglie.
A fianco del sepolcro bianco, ce n’è un altro, ancora vuoto, che lo accoglierà quando avrà attuato il programma.
Il programma gli è nato dentro una notte ed è stato come una folgorazione, una luce che squarcia l’angoscia.
In questo Paese ipocrita, lo Stato pretende di decidere il tuo destino.
Non puoi scegliere di morire, neanche quando sei un malato terminale o un centenario afflitto dalle piaghe. Figurarsi se può farlo Eugenio, che è in salute e non ha ancora 60 anni. Non importa allo Stato dell’inaridimento che lo prostra dentro e gli fa sembrare tutto inutile, faticoso.
Eugenio ha un amico a Lugano, medico in una clinica che consente la morte a chi la desidera.
Una morte pulita, in un letto candido, tra pareti asettiche. In Svizzera puoi decidere la tua morte e programmarla come una festa di compleanno o di matrimonio.
Ha contattato l’impresa funebre del paese, ha scelto il giaciglio, un vestito colorato, gli oggetti che vuole con sè (una foto di Teresa sulla spiaggia di Maratea, il primo ciuccio di Federico, la pipa di radica rossa), ha avvisato gli amici, il figlio.
Non erano d’accordo, ma è la sua vita, anzi, la sua morte. Gli ha chiesto di essere felici e di brindare all’unica scelta che gli è rimasta. Non sa scegliere altro. Tutto lo annoia e gli è indifferente. Al suo amico Enrico, che gli parla di Dio ha risposto: “Sta certo che nessun dio mi disturberà e finalmente sarò quieto, accanto a Teresa”.
La sera prima di partire ha guardato le foto di famiglia. Il cerchio si è chiuso. Arriva il momento in cui è giusto andarsene. Quando non hai più niente da dire o da dare.
Alla luce della lampada, ha sfogliato La Nausea di Sartre.
Ha preso il treno: pendolari come automi, manager rampanti, studenti vocianti. “Non mi perdo nulla”. Passa un mendicante, gli allunga cento euro. Quello lo guarda stranito. Lascia un Paese decadente ed egoista, governato da idioti.
Il treno varca la frontiera. Ora dal finestrino si alternano ville e giardini fioriti.
Finalmente un viaggio senza bagagli, come ha sempre sognato.
Scendendo inciampa sul predellino e si ferma l’ attimo prima di battere la testa su un palo di ghisa. Sorride al pensiero della beffa di una morte gratuita mentre ne sta comprando una.
La clinica è una villa antica immersa nel verde, il taxi si ferma alla fine del vialetto. Il suo amico gli va incontro, sa che non vuole perdere tempo, che detesta i cambi di programma.
Si spoglia, infila un camice verde. La camera è come la immaginava, non sembra una stanza d’ospedale o l’anticamera del buio. Si sdraia e attende. Arriva l’amico. Con lui c’è un’infermiera giovane, che trascina un carrello di aghi e di flebo. Ne prende una, gliela infila nel braccio che nel frattempo Eugenio ha diligentemente scoperto. Sta guardando in faccia la morte, ma non è un teschio coperto di nero con una roncola in mano. Ha la faccia pulita di una sconosciuta, il volto disteso dell’ amico. Vorrebbe dire una frase adatta all’occasione: si tratta pur sempre di un congedo dal mondo!
Non gli viene in mente nulla. Prima di chiudere gli occhi, guarda Maurizio: “Grazie di tutto”.
E’ l’unica cosa che sa dire.

                                                                                                         



* Il racconto è stato ispirato dalla volontaria scomparsa di Lucio Magri, mito della mia gioventù, anche se i contenuti sono del tutto fantasiosi. 


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