il coro partigiano triestino “Pinko
Tomažič” canta la
storia, sognando piazza del popolo
di
Norberto Fragiacomo
Incontro con i (disponibilissimi) coristi di Padriciano,
recentemente insigniti della massima onorificenza slovena: musica di “superqualità”,
ma soprattutto cuore
Quella del
martedì è tradizionalmente serata di prove, per i musicisti del Coro Partigiano
Triestino/Tržaški Partizanski Zbor “Pinko Tomažič”: il ritrovo è alle otto e mezza in sede, una specie di
magazzino (fu centro di accoglienza per i profughi provenienti dall’Istria) sulla
strada che da Basovizza conduce a Padriciano. Non è la prima volta che assisto,
in compagnia di mia sorella, e l’accoglienza è calorosa; in attesa dell’inizio,
giovani e meno giovani (la stragrande maggioranza, ma non mancano i quindicenni)
si punzecchiano a vicenda con witz e
battute, in un’atmosfera rilassata. Poi prendono posto in sala, e mi accomodo
anch’io. Grazie alla bonomia del vicino, che mette in comune il librone con gli
spartiti (oltre un centinaio tra inni e canzoni, in varie lingue, e ciascuno ha
il suo), riuscirò a seguire e canticchiare qualche ritornello… per rendermi
conto, ben presto, che un’attività in apparenza naturale e spontanea richiede
preparazione e studio adeguati: non basta certo un po’ di pratica in osmiza. Splendide
voci, ma l’eccesso virtuosistico di un paio di (bravi) tenori viene
immediatamente biasimato dalla direttrice, Pia Cah; tromba e fisarmonica
accompagnano, e a volte trascinano.
Dopo due ore di sessione
entusiasmante e, a tratti, goliardicamente caotica, viene il momento da me
atteso dell’intervista-chiacchierata con la presidentessa Rada Zergol e il
fisarmonicista Miran Pečenik; la sala si è rapidamente svuotata, in una stanza
attigua i coristi si stanno già rifocillando con vino e affettati misti (anche
la marenda finale pare essere
un’apprezzata tradizione!).
Non prima
di avermi chiesto in quale lingua desideri condurre l’intervista (“italian o triestin, intendevo”, sorride,
e io di rimando “parlemo triestin, ah!”
– ma traduco volentieri, a beneficio del lettore “foresto”), Rada Zergol
esordisce con un incontestabile “il nome dice tutto, quale è il nostro genere”,
poi puntualizza che il coro è stato fondato nel lontano ’72 da un gruppo di ex
combattenti. La prima riunione si tenne a Trebiciano, ma come sede fu scelta
Basovizza – ed a quest’ultima località è intitolata una delle più struggenti
canzoni del repertorio, provata e riprovata martedì sera.
Continua la
Zergol: “l’ideatore era Oskar Kjuder, un maestro direttore d’orchestra di
Longera, che ha combattuto nell’esercito partigiano, ed è stato tra i fondatori
delle brigate d’oltremare – i prekomorci,
cui è dedicato un canto.” Mi racconta che la politica di snazionalizzazione
forzata imposta dal fascismo fece “trasferire generazioni e generazioni di
giovani sloveni da queste terre, per evitare che si unissero alle forze
partigiane. Poi sono tornati a casa, per combattere insieme a Tito e liberare
la loro terra”. Kjuder, mancato lo scorso anno, era stato membro del Coro Srečko Kosovel,
che aveva cantato durante la conferenza di pace a Parigi: l’amplissimo
repertorio del coro attuale deriva da quella esperienza, e comprende tra gli
altri – oltre a canti sloveni e resistenziali jugoslavi – testi sovietici,
francesi e della guerra civile spagnola. A proposito di Kjuder, storico
direttore, cito volentieri l’aneddoto narratomi da una collega: nel ’91, al
principio della tragica guerra civile che avrebbe insanguinato e poi distrutto
la Jugoslavia, il coro partigiano era stato invitato a Lubiana per un concerto.
Era prevista l’esecuzione dell’inno sloveno, la Zdravljica, e di quello di
Tito: da Lubiana giunse la richiesta di limitarsi al primo. Il coro, allora a
Basovizza, si divise tra possibilisti e irriducibili: “scoppiò un casino”,
ricorda ridendo Susanna, ma a un tratto Oskar Kujder battè la bacchetta sul
leggio. Bastò quel suono secco, severo perché le polemiche svanissero
nell’aria, che si riempì di musica e note. A giudicare da quello che ho visto e
sentito, direi che l’autorevolezza del vecchio direttore è stata ereditata da
Pia Cah, insignita nel 2013 del titolo di personaggio dell’anno tra gli sloveni
del Litorale: ad onta del sorriso bonario, questa musicista dalla bellissima
voce comanda letteralmente a bacchetta i cantori, che – grandi e grossi come
sono – mai si azzardano a contraddirla.
Parlando
con la presidentessa, noto che a colpire l’ascoltatore, oltre naturalmente
all’eccelsa qualità delle voci, sono le brevi presentazioni di ogni canto in
italiano o sloveno, versi e liriche che arrivano al cuore, come quell’accenno
alle “scarpette rosse numero 24”
di un bimbo destinato a non crescere che precede un’Auschwitz magistralmente
interpretata. Annuisce col capo, apprezzando l’osservazione, e conferma che sì,
questo connubio tra recita e canto è una fra le caratteristiche del coro: a
scegliere i brani sono il maestro e, talvolta, i dicitori. “Siamo stati i primi
a proporre simili canzoni con una recita introduttiva. A contraddistinguerci
una volta era anche la presenza di numerosi orchestrali: il Coro Kosovel era
più tradizionale, diciamo, noi assomigliavano in piccolo a quello dell’Armata
Rossa”. Col tempo gli strumenti si sono ridotti di numero (ne ho contati sei:
tre fisarmoniche, tromba, tamburo e contrabbasso elettrico), ma posso
assicurare che trombettista e fisarmonicisti sono di quelli buoni: ascoltare
per credere!
Il Pinko Tomažič ha poi un’altra peculiarità, che la Zergol sottolinea con
fierezza: è rigorosamente transnazionale. “Sin dall’inizio riuniva sloveni e
italiani di Trieste, era una specie di piccolo esempio di convivenza, e quella
volta era meno facile di oggi.” Oggidì ne fanno parte anche sloveni
d’oltreconfine: uno è un mio quasi vicino di casa, visto che abita a Kačiče, a due
passi da Roditti, altri vengono dalla valle del Vipacco e persino da Lubiana.
Proprio a
Lubiana, lo scorso anno, il coro partigiano ha scritto una pagina memorabile
della sua autobiografia in musica. Il 27 aprile si celebrano in Slovenia
l’anniversario della fondazione del Fronte di liberazione sloveno e la giornata
dell’insurrezione: nella capitale i nostri coristi si sono misurati con l’Arena
Stožice, capace di 12 mila spettatori, e hanno
stravinto la scommessa (questo è il video realizzato dalla tv slovena: http://www.youtube.com/watch?v=EOACNF6VwNc).
Un trionfo durato quattro ore, iniziato con Na juriš e concluso da
L’Internazionale: quasi diecimila persone ad applaudirli (la Zergol ripete due
volte il “quasi”, per schermirsi, ma Miran rivela, ammiccando: “abbiamo fatto
più audience di Elton John!”), le autorità in prima fila a cantare, il supporto
entusiasta dei principali artisti sloveni, “che hanno partecipato gratis”. Due
giorni prima il Presidente Pahor aveva insignito il Pinko Tomažič dell’Ordine d’oro per il merito, la
massima onorificenza repubblicana. Peccato che a Trieste se ne siano accorti in
pochi: storie di ordinario provincialismo, verrebbe da commentare, memori della
prolungata indifferenza cittadina nei confronti di un altro Pahor…
Merita
rimarcare che il pingue incasso della serata è stato devoluto all’AGMEN e
all’associazione slovena Amici della gioventù: per gli artisti del coro partigiano
solidarietà non è soltanto una parola. “A proposito di grandi eventi – domando
alla Zergol – ho sentito dire che tra i vostri desideri c’è quello di cantare
il 1° maggio a Roma… è un progetto concreto?” La presidentessa si mostra un po’
scettica: “non è impossibile, ma noi partiamo dal nostro territorio, qua siamo
accettati e benvoluti. In Italia, però… potremmo proporci a Roma, ma chissà
come ci accoglierebbero. Bella Ciao la apprezzerebbero, ma le nostre… chissà.
E’ una questione di cultura. Dobbiamo lavorare, sono già contenta quando ci
chiamano a Ronchi, Fogliano e Udine” . L’Urbe resta un sogno, dunque, anche se
sull’accoglienza dei romani sarei più ottimista di Rada Zergol, che accenna poi
a collaborazioni con un gruppo canoro di mondine del modenese e coi Modena City
Ramblers, insieme ai quali “abbiamo cantato Bella Ciao insieme a Borgo Grotta
Gigante, senza prove”, aggiunge Pečenik.
Certo,
ormai in Slovenia potrebbero esibirsi ogni giorno, li ricevono a braccia
aperte, ma non è sempre stato così: la fine traumatica della Jugoslavia e
l’indipendenza hanno provocato una crisi di rigetto, il ripudio di un passato
che ai neofiti della “democrazia” e del consumismo sembrava da cestinare in
blocco. La realtà però ha la testa dura, e nell’ultimo decennio si è assistito
ad un revival, “soprattutto dei valori”, precisa Miran: in effetti, basta
passare il confine e chiacchierare con le persone per avvertire che la
nostalgia di un sistema meno seducente, magari, ma assai più equo è largamente
diffusa.
Non si vive
solo di ricordi: il coro partigiano sta al passo coi tempi e aggiorna
costantemente il proprio repertorio, anche se “mancano autori contemporanei
italiani”, si rammarica Rada Zergol, che aveva pensato (e ancora pensa) a La
guerra di Piero, da incidere possibilmente insieme ai modenesi. Novità anche
per quanto riguarda gli arrangiamenti: “una volta eravamo un po’ alla Pink
Floyd – rileva Pečenik – canzoni, recite, tutto un po’ tradizionale. A partire
dal concerto del 2005 a
Zgonik, per il sessantesimo della Liberazione, abbiamo iniziato a proporre
ritmi blues, un sound più attuale, una decina di canzoni con chitarre e
batteria, ma con gusto, non come i Leningrad Cowboys che fanno un po’ ridere,
con le pinne ai piedi…”
Pare che le
innovazioni abbiano incontrato il favore del pubblico, anche se tra i
complimenti più graditi la Zergol cita quello fatto dalle Kombinat, un coro
femminile sloveno: “le ga dito che semo
cocoli” (questo, mi spiace, non lo traduco, semmai confermo volentieri il
giudizio). In fondo, “non siamo un coro che punta alla superqualità, cantemo col cuor. Siamo tra i settanta e
gli ottanta, una volta eravamo un centinaio. Cantemo quel in cui noi credemo”: parole che sono lieto di
trascrivere, ma – a mio modesto avviso di non addetto ai lavori – la
“superqualità” c’è.
Pongo
un’ultimissima domanda, prima del brindisi di gruppo: “qual è il messaggio oggi
del Coro Partigiano?” “Soprattutto l’antifascismo – replica sicura la
presidentessa/corista – dopo 70 anni dalla vittoria gli ideali non sono
radicati nelle nuove generazioni, bisognerebbe lavorare molto su questo tema, e
spero che con le nostre canzoni si possa dare anche una lezione di Storia,
farli pensare che gente più giovane di loro ha deciso subito da che parte
stare” – gente come Pinko Tomažič, ammazzato dai fascisti per la sua
fede nel Comunismo e la strenua lotta contro un’oppressione che spesso
gli italiani dimenticano o minimizzano.
Ecco il
messaggio del Coro Partigiano Triestino/Tržaški
Partizanski Zbor “Pinko Tomažič”, valido adesso come mezzo secolo fa:
antifascismo, pace, convivenza e rispetto per il diverso, per il vicino.
* * *
Martedì 1° aprile prove, la
domenica successiva il concerto, al poligono di tiro di Opicina. Si commemora
l’eccidio di 71 civili e partigiani italiani, sloveni e croati, vittime di una
rappresaglia tedesca: tra il folto pubblico s’intravvede la Presidente della
Provincia, manca invece il grand’uomo convertito al renzismo, che avrà avuto di
peggio da fare. Turnšek, presidente della ZB per i valori della Lotta di
Liberazione della Slovenia, si sofferma sulla situazione attuale, su un’Europa
che in nome del neoliberismo e degli interessi economici ha tradito se stessa;
poi la parola passa allo scrittore Veit Heinichen che ammette – lui tedesco –
di aver riflettuto a lungo prima di accettare l’invito, e incentra l’accorato,
applauditissimo intervento sul tema della responsabilità.
Il finale è
tutto del Pinko
Tomažič, che intona una decina dei suoi
canti più belli: Hej brigade, Na juriš, Komandant Sava, Na okno…per concludere con
un’interpretazione da brividi di Vstala Primorska. Eccola, la “superqualità”,
mista a passione e fede nell’avvenire!
Batto le
mani, e mi commuovo sul serio; più tardi, nell’osmiza stracolma di Zgonik, ci
sarà tempo per ridere, divertirsi ed ascoltare un indimenticabile duetto tra la
fisarmonica di Miran e la tromba del quasi omonimo Milan.
Prossimi
appuntamenti (imperdibili!) con il coro partigiano: il 25 aprile in Risiera, il
Primo Maggio a S. Croce, il 6 a
Vrtnica e il 23 a
Ronchi che, per un giorno almeno, sarà Ronchi dei Partigiani. Per Roma tocca
aspettare, ma confido che l’ora della (meritatissima) esibizione in Piazza del
Popolo non sia lontana; nel frattempo sarebbe opportuno che la sonnacchiosa
Trieste “scoprisse” quella che è, a tutti gli effetti, una gloria locale –
anzi: “transfrontaliera”.
RETTIFICA
«Segnalo alcune imprecisioni presenti nel mio articolo: 1) il maestro Kjuder è mancato due anni or sono, non nel 2013; 2) il 6 maggio il coro si esibirà a Vrhnika presso Lubiana (vrtnica significa rosa in sloveno, ed è un tipico esempio di lapsus calami). Infine una precisazione dello stesso Miran Pečenik, che chiarisce il senso del richiamo, altrimenti un po’ misterioso, ai Pink Floyd. La frase va letta così: Novità anche per quanto riguarda gli arrangiamenti: “una volta eravamo un po’ alla Pink Floyd – rileva Pečenik – canzoni, recite, passaggi musicali per conseguire un flusso di musica ininterrotto che copriva l’intera parte di un vecchio disco di vinile… tutto un po’ tradizionale, insomma. A partire dal concerto del 2005 a Zgonik, per il sessantesimo della Liberazione, abbiamo iniziato a proporre ritmi blues, un sound più attuale, una decina di canzoni con chitarre e batteria, ma con gusto, non come i Leningrad Cowboys che fanno un po’ ridere, con le pinne ai piedi…”»
Norberto Fragiacomo
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