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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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sabato 28 giugno 2014

28 GIUGNO: CENTO ANNI DALLO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE





28 GIUGNO: CENTO ANNI DALLO SCOPPIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE



Alla rievocazione nazionalista della “gloria italiana” nella “Grande guerra”, in occasione del centenario, a cura dell'imperialismo di casa nostra, ci pare giusto non fare mancare una analisi degli eventi da un'ottica classista. Le parti riportate tra virgolette riproducono il testo della prima parte del Paragrafo 2.1 dell'opuscolo autoprodotto, intitolato “LA GUERRA”, edito nel Giugno 2008. (dal n°18 di "Alternativa di Classe")


“La Prima Guerra Mondiale (1914-’18) [che intitola il Paragrafo 2.1 di “La Guerra” – n.d.r.] ha le sue premesse storiche nella formazione degli Stati nazionali, ancora in atto in tutto il mondo nei precedenti decenni, con i numerosi scontri avvenuti per il colonialismo, sia per la nascita di colonie “di insediamento”, che per quelle a carattere “commerciale”. Soprattutto in queste ultime si rifletteva lo scontro tra i capitali nazionali più forti e potenti, gli Stati controllati dalla finanza: gli imperialismi. Il centro del contendere, il primato economico, fino ad allora detenuto dalla Gran Bretagna (il Paese dallo sviluppo industriale più precoce), veniva insidiato dal grande e relativamente rapido sviluppo, anche coloniale, della Germania; essa, dal 1871, era divenuta impero (Reich), sotto l’egemonia prussiana, dopo la vittoria militare di Sedan dell’anno precedente sulla Francia, che gli aveva portato l’Alsazia e la Lorena. Il vero potere era però detenuto dal Cancelliere O. Bismark, espressione della alleanza conservatrice tra i “junker”, aristocrazia agraria, e gli industriali.” 
Va tenuto conto del fatto che il periodo che precedette la “Grande Guerra”, e che va all'incirca dal 1873 al 1895, fu denominato di “Grande depressione”, in quanto l'economia capitalistica, pur non vedendo cadere i PIL delle principali potenze, registrò cali della domanda di beni e profitti in decrescita, con conseguenti licenziamenti e diminuzione dei salari. Oggi possiamo dire che si trattò storicamente di una “crisi di crescita”, economicamente di sovrapproduzione, con il passaggio al dominio di grandi monopoli, come i trusts, e la diffusione del colonialismo; con la Prima Guerra Mondiale questa crisi fu superata del tutto, con nuovi equilibri di potenze fra gli imperialismi. 
“Negli anni successivi ebbe inizio nei principali Paesi imperialisti una “corsa agli armamenti”, che presto portò a diverse guerre locali (importante, nel 1878, quella “anti – turca” vinta dalla Russia). La Germania, pur con i suoi successi coloniali (soprattutto in Africa), si sentiva accerchiata da Francia e Russia, alleate fra loro fin già dal 1894, nonostante che il “Trattato di Contro-assicurazione” del 1887 firmato con la Russia, avesse previsto, oltre al reciproco disimpegno dai Balcani, la neutralità russa in caso di guerra dei tedeschi con la Francia. Nel 1907 anche la Gran Bretagna si alleò a Francia e Russia, dando luogo alla “Triplice Intesa”. 
Continuando la Russia a premere sui Balcani, vi fu una risposta dell’Austria nel 1908, che occupò la Bosnia e l’Erzegovina, annettendosele. Nel frattempo, nel 1905 e nel 1911 le “crisi marocchine” registrarono la contrapposizione fra Germania e Francia, scaldando ulteriormente il clima internazionale. Così, già prima del Giugno 1914, momento del pretesto, con le due “guerre balcaniche” del 1912-’13, i corpi centrali dei due schieramenti imperialisti che si fronteggeranno nella “Grande Guerra” si erano formati: l’Austria-Ungheria e la Germania da un lato (con l’Italia nella “Triplice alleanza”), la Francia, la Gran Bretagna, la Russia e la Serbia dall’altro.” Stava terminando la “belle epoque”, un periodo considerato “aureo” dalla borghesia europea, visto che gli scontri armati e le stragi erano avvenuti fuori dai suoi territori, e lo sviluppo capitalistico di allora viene ancora oggi considerato, in sostanza, come pacifico... Che stesse finendo lo dimostrarono alla borghesia nostrana, gli scontri della “Settimana Rossa”, avvenuti nella prima metà del Giugno '14 ad Ancona ed in altre località.

“Con il famoso “assassinio di Sarajevo”, per mano bosniaca, dell’erede al trono austriaco, avvenuto il 28 Giugno ‘14, l’Austria-Ungheria dichiarava guerra alla Serbia; dalla sua parte si schierava anche il Giappone, che, per mantenersi libertà di movimento nel Pacifico, dichiarava guerra alla Germania. In Agosto la Gran Bretagna dichiarava guerra prima alla Germania e poi all’Austria-Ungheria, mentre in Novembre la Turchia (Impero Ottomano) si schierava con queste ultime. Nel frattempo l’Italia, da alleata degli Imperi, diveniva prima neutrale, e poi, dopo il Patto di Londra dell’Aprile del 1915, passava dall’altra parte, sotto la spinta della oligarchia finanziaria, fino a dichiarare guerra all’Austria-Ungheria nel mese successivo, durante il governo del liberale Salandra, ma per decisione espressa soprattutto dal re.

Dal punto di vista della strategia bellica, aldilà del fatto che la dottrina militare in voga nel ’14 fosse quella del “colpo rapido e distruttore”, si trattò, nei fatti, di una “guerra di posizione”, un assedio reciproco, dove si cerca di distruggersi a vicenda, con le trincee, gli assalti, l’artiglieria (la mitragliatrice in particolare) e le conquiste, o le perdite, di perimetri di terreno. L’uso di esplosivi e dei gas velenosi comportò, poi, l’uso della “maschera antigas” per i soldati. Precedute dallo sviluppo dell’industria pesante, meccanica, fonderie ed armiera, che trainò l’espansione industriale e lo sviluppo tecnologico, nacquero la militarizzazione della società, la coscrizione di massa, la mobilitazione totale; si affermava l’economia di guerra, con lo Stato che pianificava la produzione in funzione delle necessità belliche.

All’interno degli Stati propaganda massiccia, controllo sociale e censura politica, all’esterno strategie di logoramento, per prostrare l’economia nemica, sabotandone le vie di commercio. Lo sforzo bellico stava fornendo un modello sociale, di una società organizzata, di masse irreggimentate, senza una vera opposizione politica: i Partiti Socialisti di allora aderirono tutti, prima o poi, patriotticamente, alle politiche dei rispettivi Paesi e Governi, determinando una posizione in tal senso della II° Internazionale, che ne segnò, in pratica, il fallimento. Tale adesione ha anche una spiegazione materiale, attraverso l’assimilazione, da parte di strati operai, della logica del colonialismo: l’aspirazione alla distribuzione dei sovrapprofitti, estorti nelle colonie, li legava al carro degli interessi imperiali imperialistici!”.

Pare giusto, però, ricordare anche chi tentò, coerentemente, di opporsi alla carneficina. In Germania fu Rosa Luxemburg, che aveva da sempre condotto una dura battaglia politica contro il revisionismo: fu arrestata proprio il 28 Giugno '16 insieme a Karl Liebknecht, dopo il sostanziale fallimento di uno sciopero contro la guerra, indetto sulla parola d'ordine “Il nemico è in casa nostra”. In Italia al “socialista” Turati, che teorizzava che “il socialismo si difende(va) sul Piave”, si oppose la Federazione Giovanile Socialista, con in testa quell'Amadeo Bordiga, che poi fonderà il Partito Comunista d'Italia e che risulterà uno dei più lucidi oppositori anche delle successive degenerazioni. 
“Nel corso della guerra si intrecciavano singole battaglie a patti e/o alleanze più o meno segreti, allargando, così, le aree in cui si svolgeva il conflitto, ed aggiungendo alleati, seppur meno potenti, all’uno od all’altro fronte, mentre gli USA, dopo essersi caratterizzati per iniziative diplomatiche di pace, ma, soprattutto, preceduti da enormi prestiti agli alleati, entravano in guerra solo nell’Aprile del ’17 contro la Germania, inviando in Europa, per la prima volta nella Storia, un milione di uomini sul fronte occidentale.” Fu solo dal 1916, infatti, con l'accendersi di altri fronti di combattimento in tutto il mondo, cui parteciparono i Paesi del Commonwealth, il Giappone e gli stessi USA, già da tempo, ormai, l'imperialismo economicamente più forte del mondo, che la Guerra perse il nome di “guerra europea”, divenendo per tutti “la grande guerra”, una guerra mondiale vera e propria.

“Di particolare importanza è quanto successe in Russia nel ’17, quando, facendo leva sulla giusta stanchezza della guerra da parte dei più umili, nel Febbraio a Pietroburgo una rivolta, che coinvolse anche soldati, formò un Comitato Esecutivo Provvisorio in opposizione al Governo centrale. Da lì cominciarono, così, a formarsi, per la prima volta dopo il 1905, dei Soviet, organismi di autogoverno, di operai e soldati, realizzando un dualismo di potere. Rientrato segretamente dalla Germania, Lenin promosse, con le “Tesi di Aprile”, la Rivoluzione socialista, con la parola d’ordine “Tutto il potere ai Soviet” e la nazionalizzazione di banche e terre. Mentre i Bolscevichi venivano sconfitti al Congresso panrusso dei Soviet ad opera dei Socialisti rivoluzionari, su altre posizioni, si formava un nuovo Governo centrale nazionale, che sceglieva di continuare la guerra. Solo il 24-25 Ottobre a Pietroburgo scoppiò la Rivoluzione con l’arresto dei membri del Governo da parte dei rivoltosi guidati dai Bolscevichi: il giorno dopo un nuovo Congresso panrusso dei Soviet decideva di formare il Consiglio dei Commissari del popolo, che emanava il Decreto di cessazione delle ostilità, cioè la fine della guerra, insieme al Decreto sulla proprietà e la terra, con l’esproprio senza indennizzo dei grandi proprietari terrieri. Il 2 Novembre fu approvata, poi, la Dichiarazione sul diritto di libera autodecisione di tutte le nazioni dell’ex-Impero zarista, ed indette le elezioni per l’Assemblea Costitente.
Ciò che successe dopo fa parte della Storia della Rivoluzione Sovietica; in questo contesto è importante sottolineare come una guerra terminò non per volontà del Governo, più o meno “legittimo”, ma, finalmente, per decisione della classe sfruttata! Era avvenuta una “trasformazione della guerra imperialista in guerra di classe” rivoluzionaria, con l’instaurazione di una pace favorevole alla classe operaia e ad i suoi alleati. Non è impossibile. La successiva “pace di Brest-Litovsk” del 3-3-’18 sancì formalmente l’uscita della Russia dalla guerra, insieme alla autodeterminazione di Lituania, Estonia, Polonia, Finlandia, Lettonia ed Ucraina. 
Nello stesso anno vi furono poi armistizi su tutti i fronti, dopo la sconfitta militare degli “Imperi centrali”. Gli “Alleati” conclusero poi paci separate con i singoli nemici, fino al 28 Giugno del 1919, giorno in cui, al termine della Conferenza di pace, fu firmato il famoso “Trattato di Versailles” anche dalla Germania. Esso definiva, a suo danno, vantaggi territoriali ed economici per ogni “Alleato”, oltre alla nascita della “Società delle Nazioni” (SdNN), precorritrice dell’odierno ONU, definita poco dopo da Lenin come “covo di briganti imperialisti”, ed incaricata di amministrare le ex-colonie tedesche ed Ottomane. Seguirono poi le “paci” con altri Paesi sconfitti: Austria, Bulgaria, Ungheria e Turchia.

L’Italia concluse la guerra con l’ottenimento del Trentino-Alto Adige, di Trieste e dell’Istria; ma il proletariato italiano la concluse con circa 600.000 morti, e la perpetuazione dello sfruttamento, anche se con l’esempio di quanto era successo in Russia”. Aveva pagato, per l'imperialismo italiano, il prostituirsi al “migliore offerente”, con conquiste territoriali ed il diritto di sedere in un posto importante al consesso internazionale della Società delle Nazioni! Un consesso che sanciva, fra l'altro, la storica vittoria dei moderni imperialismi sui vecchi imperi. 
In tutto il mondo, durante la Grande Guerra, senza contare i dispersi, erano morti almeno nove milioni di persone sui campi di battaglia, oltre ad altri sette milioni di vittime civili, nella stragrande maggioranza proletari. Solo i proletari russi non lo furono invano! Il limite di allora fu che la rivoluzione non riuscì ad estendersi altrove.



Alternativa di Classe



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