IL BALOCCA-ITALIA, OVVERO COME TI GABBO L'OPINIONE PUBBLICA IN TEMPO DI CRISI
di Riccardo Achilli
Può essere comprensibile che, fra
gavettoni di acqua fredda e coni gelato, si possa creare, per il nostro premier,
il rischio di congestioni e blocchi gastrici, per cui il nome del provvedimento
licenziato dal Cdm di venerdì scorso (Sblocca Italia), che sembra quello di un
lassativo, possa discendere da bisogni imperiosi di liberazione del tratto
gastro-intestinale. D’altra parte, anche l’espressione renziana “ripartire con
il botto” può ricordare aspetti post-digestivi di intasamento intestinale.
In verità, a fronte di una
situazione inedita per il nostro Paese, ovvero la combinazione letale fra
recessione e deflazione, che rischia seriamente di farci passare anni a fronte
dei quali la crisi vissuta finora ci apparirà come uno scherzetto, il
provvedimento-lassativo licenziato dal Governo è una divertente via di mezzo
fra fuffa depistante, pubblicità ingannevole e autoritarismo amministrativo. Il
tutto, evidentemente, privo di una sia pur vaga strategia d’insieme, di quella
visione di “ciò che vogliamo essere” che Squinzi, probabilmente pentitosi di
aver sostenuto l’ascesa di Renzi, ha implorato. Un provvedimento inorganico e
inflazionato, che sembra uno dei classici decreti “omnibus” dei Governi della
Prima Repubblica, dove si stiocca dentro di tutto: norme che spaziano
dall’edilizia ai porti, dal made in Italy al rifinanziamento degli
ammortizzatori sociali, dalla Cassa Depositi e Prestiti al potenziamento delle
estrazioni petrolifere, passando dalla rete Ict e dai sistemi fognari urbani.
Il piatto forte, ovvero gli
interventi infrastrutturali, si riduce in una serie di riprogrammazioni di
soldi già stanziati, che vengono destinati a dare una boccata d’ossigeno ad
alcune grandi opere oggi bloccate, per consentire qualche stato di avanzamento,
senza peraltro portarle a compimento. Stiamo parlando di 200 milioni per il
terzo valico di alta capacità ferroviaria dei Giovi, che avrebbe bisogno di 1,5
miliardi per essere portata a termine, 90 milioni alla alta velocità
ferroviaria Brescia-Padova (che si aggiungono al miliardo già stanziato nel
2013, su un fabbisogno di 7,8 miliardi), 270 milioni per il nuovo tunnel del
Brennero, che però aveva bisogno di 1 miliardo per bandire la nuova tratta (e
quindi rimarrà fermo), 120 milioni al quadrilatero autostradale Marche/Umbria,
che però ha bisogno di 650 milioni per chiudersi, 400 milioni per i lotti
ancora aperti della Salerno-Reggio Calabria e 50 milioni per la terza corsia
dell’autostrada Venezia-Trieste. Poi l’elenco snocciola finanziamenti ad un
panoplia di opere non cantierabili entro 12 mesi (ad esempio, i 270 milioni
appostati sulla statale 131, tratta per la quale occorre ancora fare la gara
d’appalto) o addirittura incagliate, o di dubbia realizzabilità (210 milioni
sono appostati sull’adeguamento della Statale Telesina, per il quale si prevede
un bando in project financing, ma i finanziatori privati latitano).
Nell’insieme, le risorse
aggiuntive messe effettivamente sul piatto dal Governo ammontano a 3,8 miliardi
(a fronte dei 43 sbandierati da Renzi per tutta l’estate, prima che Padoan lo
prendesse per un orecchio). Esse derivano da riprogrammazioni di fondi
provenienti da opere già finanziate ma per qualche motivo bloccate o revocate (cioè
dal Fondo Revoche) per 1,3 miliardi, e dal Fondo Sviluppo e Coesione per gli
altri 2,5 miliardi.
A queste vanno aggiunte opere già
finanziate ma incagliate per motivi burocratici, oppure per più che legittimi
motivi di tipo ambientale. Da far partire a costo zero. Lavori che valgono poco
meno di 28 miliardi.
E qui la fantasia non ha freni: si parla di potenziamenti
infrastrutturali per cinque aeroporti (di cui uno, quello di Firenze, prevede
una pista da allungare, che è avversata, per motivi ambientali, sia dal Comune
di Prato che dalla Regione Toscana. Ma non importa, tanto Renzi non prende
lezioni da nessuno e va avanti comunque), dell’Alta Capacità ferroviaria
Napoli-Bari, che con la sola imposizione di un commissario-sciamano potrà
partire, non si sa bene come, nel 2015, anziché nel 2016, come programmato
(viene da pensare alla mitica “imposizione delle sole mani” del mago televisivo
peruviano Giucas Casella), della linea Messina-Palermo-Catania, della
Cispadana, delle linee metropolitane “C” di Roma, della metro di Napoli e di
quella di Firenze.
Rispetto a tali opere si conta,
molto fideisticamente, di sbloccare la situazione o con la nomina di commissari
(ma l’esperienza italiana in questo senso non indica grandi accelerazioni di
spesa con le gestioni commissariali) o con fantasiose misure di
“semplificazione” (come quella che, per le piccole opere, prevede di costituire
un elenco di fornitori attestato presso una costituenda unità di missione
presso Palazzo Chigi, o quella che prevede di far decadere e rimettere a gara
concessioni in cui alcuni stralci vengono dichiarati non fattibili sotto il
profilo economico e finanziario da banche assunte come consulenti) .
Tali misure di “semplificazione”,
oltre che fantasiose, spesso tracimano nell’autoritarismo burocratico.
A puro titolo
di esempio, fra le numerose porcherie contenute nel provvedimento,
emergono le seguenti: per le opere che provocano potenziali danni
paesaggistici, il soprintendente avrà solo sessanta giorni per proporre
ricorso, ovviamente motivato e circostanziato, altrimenti varrà il
silenzio-assenso (evidentemente sessanta giorni non bastano nemmeno per una
seria perizia, necessaria alla motivazione); in caso di ritrovamento di un bene
archeologico immobile durante gli scavi, il parere del Soprintendente, mirato a
proteggere il bene ritrovato, potrà essere oggetto di ricorso da parte
dell’azienda esecutrice, ed il ricorso sarà giudicato da una Commissione
ministeriale di esperti….pagati dall’azienda ricorrente!!! (Esperti che ovviamente
difficilmente daranno ragione alla Soprintendenza, quand’anche si ritrovassero
i resti di Atlantide). Ancora: in deroga rispetto alla legislazione ordinaria, per
quanto riguarda l’Alta capacità ferroviaria Napoli-Bari, il commissario del
Governo potrà decidere di eventuali opposizioni che dovessero emergere in sede
di Conferenza di servizi, in materia di tutela ambientale, paesaggistica o
storico-archeologica. Evidentemente, poiché il commissario verrà giudicato per
la sua capacità di completare l’opera nel più breve tempo possibile, egli deciderà,
nel 99% dei casi, contro l’opposizione di tipo ambientalista o
storico-culturale. E non parliamo dello sblocco d’ufficio del gasdotto Tap,
fondamentale opera sotto il profilo geopolitico, ma che crea non poche
perplessità sotto quello ambientale.
Di fatto, per finalità
anticicliche, cioè per promuovere occupazione e ricchezza nel 2014-2015, ed a
meno che per effetti sciamanici legati alle semplificazioni dello Sblocca
Italia non si sblocchino le infrastrutture congelate di cui sopra, saranno
disponibili solo 365 milioni. 60 per il 2014, 305 per il 2015. Il resto sarà
spendibile solo a partire dal 2016, ma a quel punto, se saremo ancora in crisi,
vorrà dire che saremo morti.
In pratica, per il biennio in cui dovremmo cercare
di uscire dalla recessione/deflazione, ci si affida a una iniezione di spesa
pubblica per investimenti pari allo 0,02% del PIL, spalmata su un anno e mezzo.
Quand’anche, come ottimisticamente ha detto Renzi, nel giro di 18 mesi si
sbloccassero, miracolosamente, altri 10 miliardi dalle opere congelate di cui
sopra, avremmo una iniezione di spesa pubblica pari a poco meno dello 0,5% del
PIL. Roba da 3.000 nuovi addetti di cantiere, che evidentemente in larga misura
sparirebbero a cantieri finiti. Che non sposta nemmeno di un decimale le
statistiche del mercato del lavoro. Ma francamente, pensare di sbloccare 10
miliardi, ovvero il 36% del valore totale di lavori bloccati spesso da decenni,
nel giro di 12-18 mesi, è impresa che nemmeno Churchill riuscirebbe a fare.
Anche la trionfalistica marcia
sulla Cassa Depositi e Prestiti, che secondo il Governo sarebbe stata
equiparata, per operatività a supporto dell’economia, agli altri modelli
europei (in particolare, è implicito il riferimento alla Kfw tedesca) va molto
moderata. E’ vero, l’ambito operativo della CDP è stato ampliato, ed è stata
prevista la possibilità che CDP finanzi l’economia, anche su attività di
investimento rischiose, come quelle in R&S effettuate magari dalle PMI, con
esposizione assistita da garanzia dello Stato. Però viene da chiedersi fino a
quando la CDP potrà essere usata come bancomat per qualsiasi cosa. Già è
utilizzata, dallo stesso Governo Renzi, per rimborsare 60 miliardi di debiti
alle imprese, su 240 miliardi circa di risparmio postale che detiene. Il
rischio concreto è che non riesca più a finanziarsi nemmeno con la garanzia
dello Stato, se non per piccole cifre, e che quindi la sua azione a supporto
dell’economia sia debole.
Stendo un pietoso velo sulle
numerose misure di semplificazione del mercato immobiliare (dal regolamento
edilizio unico per tutti i Comuni, all’estensione dell’uso della Scia per i
frazionamenti o accorpamenti, ecc.) per il semplice motivo che, se non c’è
domanda e non c’è liquidità, il mercato edilizio non ripartirà, solo perché
alcune procedure sono più semplici. Oppure sui 220 milioni, spalmati fra 2015 e
2017, per il “piano per l’export”, ovvero, detto in modo più semplice, per
finanziare le consuete e tradizionali linee di attività ordinaria di Ice e
Invitalia (fiere, attività promozionali, studi di mercato, ecc.) spacciate per
attività innovative. E, per carità di Patria, tacerò anche sull’avvio
dell’opera di smantellamento del settore portuale italiano, attuata mediante
irrazionali accorpamenti di Autorità Portuali (fatti solo per risparmiare
qualche euro) in cui, ad esempio, due porti in competizione come Napoli e
Salerno vengono accorpati sotto una unica Autorità, oppure si fondono porti
completamente diversi per natura e attività, come Gioia Tauro (attiva nel
transhipment) e Messina (specializzata nel Ro-Ro). Nuove Autorità Portuali più
ampie, quindi più complesse, finanziate, per svolgere molteplici funzioni di
programmazione, gestione, controllo ed anche intervento infrastrutturale
diretto, mediante un irrisorio 1% dell’IVA sulle importazioni transitate dai
relativi porti di appartenenza (2% se si accorpano), e per le quali è infatti
previsto che esse debbano ricorrere a capitale privato, sotto forma di finanza
di progetto, per realizzare le opere, sviluppando ulteriormente il concetto di
privatizzazione dei porti.
Un provvedimento mostruoso, di
modestissima utilità, dannoso su alcuni aspetti, buttato lì tanto per “fare
densità”, come si dice in gergo calcistico, e dare l’idea che si sta lavorando
per far galleggiare un Paese che affonda sotto gli occhi di chiunque voglia
vedere. E che certo non può essere salvato da scenette da commedia dell’arte,
come quella inscenata con il carrettino del gelato sotto Palazzo Chigi.
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