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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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sabato 30 agosto 2014

INCITATUS, MELIUS QUAM NOMINATUS (tr. meglio senatore un cavallo che un nominato) di Carlo Felici




INCITATUS, MELIUS QUAM NOMINATUS
 (tr. meglio senatore un cavallo che un nominato) 
 di Carlo Felici 


Il 31 Agosto del 12, esattamente 2002 anni fa, nasceva Gaio Cesare Germanico, figlio di Agrippina Maggiore, a sua volta figlia di Giulia, che era figlia di Augusto. Egli discendeva dunque direttamente dal primo grande imperatore di Roma, che regnò per due anni durante la sua primissima infanzia. Fu un personaggio tra i più diffamati nel corso della storia, ma, a ben vedere, la ragione c'è: ed è quella che egli, anche se in poco tempo, seppe inaugurare una forma di nuovo assolutismo democratico, che probabilmente corrispondeva a maggiormente a quello che avrebbero voluto fare e che avrebbero messo in atto Cesare e Marco Antonio se entrambi non fossero stati stati tolti di mezzo rispettivamente dagli scherani senatori e dal rivale Augusto, il quale regnò più come un garante che come un sovrano dotato di pieni poteri, e per altro, sempre con un certo altezzoso distacco dal popolo di Roma. L'assolutismo democratico non deve essere confuso con la tirannide né con il dispotismo illuminato, retaggio di altre epoche e che, in ogni caso, restano profondamente differenti per la loro vocazione autarchica ed autoreferenziale. L'assolutismo democratico, infatti, non poteva attuarsi senza il consenso di quella che era la stragrande maggioranza del popolo di Roma: la plebe e l'esercito, prova ne è il fatto che ogni qual volta il consenso di una di queste componenti fondamentali veniva meno, con esso rotolava nella polvere anche la vita dell'imperatore che lo aveva incarnato, fino almeno a che esso non fu talmente consolidato, che si tramandò per “adozione”, scegliendo cioè, in fase preventiva, il migliore dei successori, nel periodo che caratterizzò l'età d'oro degli imperatori Antonini. 

Non scendiamo nei particolari su tale questione, rimandando ad un pregevole intervento di Riccardo Achilli che in parte condividiamo e che illustra bene come avvenne questa mutazione nei due anni cruciali di Caligola. Fatto sta che il Senato e i suoi componenti ne furono tanto consapevoli da voler dipingere colui che inaugurò questa sciaguratissima (per loro) epoca, nel peggiore dei modi: come un pazzo sanguinario degno della damnatio memoriae e dei peggiori insulti che uno storico, (che sebbene provenisse da ambito equestre, faceva molto bene il suo mestiere), possa mai avere attribuito ad un personaggio di cui narrare la vita. Uno storico non a caso caduto in disgrazia alla corte di Adriano, uno dei successori della politica inaugurata da Caligola. In questo breve intervento ci interessa capire solo come è avvenuta tale mistificazione, perché un personaggio come Caligola sia ancora molto attuale, e infine se tale assolutismo democratico possa presentarsi di nuovo oggi sotto altre forme (la più comune è detta populista). Cominciamo dalla prima questione: Caligola fu saggio o pazzo criminale? Si potrebbe rispondere immediatamente che entrambe le due cose possono benissimo coincidere e che fu proprio lo stesso Platone nel Fedro a definire la follia come la forma suprema della saggezza, ma a noi, in questo caso, interessa capire più che altro se ciò che si dice tuttora comunemente di Caligola è vero oppure no. 
Ci sono ormai vari storici che mettono seriamente in dubbio l'attendibilità delle fonti senatorie fortemente denigratorie verso Caligola: basti citare Willrich, Gelzer, Baldson, Barret e Winterling. 





Certo è un fatto: tutte le fonti che ci sono pervenute sono di ambito senatorio e il Senato di Roma, tra gli altri poteri, aveva anche quello di far bruciare ciò che si ritenesse, da parte sua, scomodo o sconveniente. Da questo punto di vista, possiamo serenamente concludere che la letteratura latina è frutto di un sistema culturalmente totalitario, in cui chi aveva il potere faceva bruciare i libri “proibiti” esattamente come il tribunale dell'Inquisizione o le grandi dittature del Novecento e che Caligola cercò invece di andare controcorrente: lui sin dall'inizio, infatti, fece bruciare solo i documenti e le lettere di coloro che avevano contribuito alla rovina dei suoi famigliari, ma cancellò il reato di lesa maestà e soprattutto rimise in circolazione tutti gli scritti distrutti per ordine senatorio, riesumando così autori come: Tito Labieno, Cremuzio Cordo e Cassio Severo. Operando cioè in senso diametralmente opposto a ciò che si fece di lui dopo la sua morte e che sicuramente si è continuato a fare in seguito. In meno di tre anni egli dovette far fronte a ben tre congiure (intervallate da una malattia che è facile sospettare fosse causata da un tentativo di avvelenamento che in lui lasciò segni profondi), l'ultima delle quali andò a segno, e si capisce bene, quindi, come certa rabbia in molti casi fosse in gran parte “legittima difesa”. 
Già nell'Ottocento però si cominciò a capire come fossero false e diffamatorie certe affermazioni su di lui, in particolare le accuse di essere incestuoso con le sue tre sorelle. Ce lo dice Svetonio, un personaggio che figurerebbe oggi meglio tra gli autori di articoli scandalistici per riviste gossip piuttosto che tra gli storici di larga fama. Lo smentiscono infatti sia Seneca, Filone che Tacito i quali non ci dicono nulla nel merito e che sicuramente, avendo raccontato particolari piuttosto scabrosi della sua famiglia, non si sarebbero certo lasciata sfuggire una “chicca” simile. Tra l'altro alla metà del 39 vi fu una vasta congiura a cui parteciparono anche le sue sorelle, oltre che ampi settori del patriziato romano, lo sappiamo solo in via indiretta, quando Svetonio non parla di lui ma di Claudio e Vespasiano, e da varie iscrizioni. Un po' difficile credere che Caligola amasse chi tentava di pugnalarlo alle spalle.. 
Ma la balla più incredibile resta quella sulla sua presunta pazzia, malattia ben nota al mondo romano che attribuiva gli eventuali delitti dell'insano di mente non a lui, si badi, ma a chi aveva omesso di sorvegliarlo, come ci attesta il giurista Pegaso. Quindi se Caligola fosse stato davvero pazzo, tale accusa ricadrebbe sulla intera società che lo attorniava: sul Senato che attuava le sue decisioni, sui magistrati che eseguivano le disposizioni dell'imperatore, sui generali e sui funzionari imperiali che eseguivano i suoi ordini, su tutti coloro che lo attorniavano e lo assecondavano ogni giorno e soprattutto sul popolo che non solo lo acclamava al circo o al teatro, ma oltretutto lo amava anche molto, così come ha sempre amato gli imperatori dell'assolutismo democratico, la cui parola sembra un ossimoro ma che, se osservata etimologicamente, in fondo non lo è. Assolutismo democratico vuol dire, infatti, solo sciolto da ogni altro legame che non sia quello con il popolo. 





A smascherare il turpe livore di Svetonio, che tra l'altro scrisse circa un secolo dopo, attingendo a fonti già selezionate da tempo dalla classe senatoria, la quale si occupava di ciò per continuare ad auto accreditarsi in nome della custodia della sacra tradizione romana la quale, evidentemente, esisteva ormai solo in quelle povere menti bacate dalle corruttele e dall'inedia, basta confrontare tuttora la descrizione del volto di Caligola che egli ci ha tramandato, con una delle sue statue o dei suoi busti. Essi variano a seconda dell'età, ma ci presentano più o meno gli stessi tratti somatici che furono già in parte del suo antenato Augusto e della famiglia Giulia: eleganti, raffinati, signorili. Tratti che erano esposti pubblicamente e che se non fossero corrisposti in gran parte alla realtà, avrebbero generato riso e le peggiori maldicenze. Ebbene Svetonio invece così descrive Caligola: “Caligola aveva statura alta, il colore livido, il corpo mal proporzionato, il collo e le gambe estremamente gracili, gli occhi infossati e le tempie scavate, la fronte larga e torva, i capelli radi e mancanti alla sommità della testa, il resto del corpo villoso”. 
Guardate dunque voi stessi una statua di Caligola e dite francamente se vedete il licantropo descritto da Svetonio. Tanto basta per mettere seriamente in dubbio la gran parte delle sue affermazioni, così come quelle di altri che attinsero da lui, o per screditare lo stesso Seneca che Caligola considerava alla stregua di un sepolcro imbiancato, essendo la sua retorica, per lui che si esprimeva in maniera diretta, ironica ed aforistica, come la sabbia con cui i bimbi fanno i castelli. E su ciò lo storico Flavio Giuseppe non può che ammettere: "Era peraltro un valentissimo oratore, espertissimo della lingua greca e latina; sapeva rispondere con immediatezza a discorsi pronunciati da altri". 
Non poteva che far questa fine chi aveva regalato tutte le risorse del suo illustre predecessore al popolo, che aveva abolito l'IVA di allora (le tasse su ogni compravendita) per incrementare la diffusione dei commerci e della ricchezza in un mondo ormai assai vasto che non tollerava dogane e balzelli, che aveva preferito gli accordi diplomatici alle sanguinose campagne militari, sia a Settentrione che in Oriente, che aveva rinnovato la possibilità di eleggere da parte del popolo i magistrati, lo stesso popolo che aiutò quando fu vittima di crolli o incendi, ma che aveva soprattutto messo nel mirino una classe senatoria parassitaria e corrotta, la quale, padrona assoluta degli improduttivi latifondi italici, era passata indenne dal periodo delle guerre civili a quello di Augusto, da cui era stata abbondantemente risparmiata, e per quello di Tiberio il quale, impaurito da essa e, nonostante i suoi tentativi di imporsi, fondamentalmente impotente nei suoi confronti, si era autoconfinato a Capri. Una classe senatoria da cui Caligola non volle mai essere acclamato, per non figurare minimamente dipendente da essa, e a cui astutamente restituì libertà di parola e movimento per conoscere meglio le sue mosse. Caligola dunque passò decisamente all'attacco, come un novello Catilina, e volle quasi sterminarla, deriderla, in ogni caso offrirla come un grasso vitello sacrificale allo stomaco plaudente del popolo che lo osannava, comprese le matrone che furono costrette a rivolgere quei favori che avevano sempre riservato ai loro drudi in privato, e a loro piacimento, questa volta a tutti, e dietro modico compenso. Davvero una democrazia assoluta, sciolta da ogni privilegio. 
Svetonio si accanisce dicendo che Caligola, per recuperare tutte le sue fortune dilapidate, fu costretto ad incrementare di nuovo la tassazione, ma paradossalmente nella meticolosità con cui ci dice cosa Caligola tassò, lascia trapelare come lo stesso imperatore, facendo questo, mettesse in atto la sua singolarissima ed ironica giustizia proletaria. A chi aumentò infatti le tasse del 2%? A chi vendeva a Roma derrate alimentari, soprattutto a quelle confraternite che curavano l'arrivo e la loro distribuzione nei vari quartieri e che allora erano una vera e propria mafia urbana, spinta continuamente a più miti consigli dalle elargizioni di derrate alimentari gratuite da parte dell'erario pubblico imperiale, tanto che, con pochissimo, nella capitale dell'impero si poteva mangiare e divertirsi gratis per gran parte dell'anno. E, in particolare (stavolta del 15%), agli affaristi e ai facchini (che allora erano faccendieri) e alle mignotte che avevano invaso con un vero e proprio esercito la capitale. Gli rimproverarono che la sua "medicina" non stava scritta da nessuna parte e che era fin troppo amara, ma lui sarcasticamente rispose che la "posologia" va letta anche se è scritta in caratteri minuti e affissa in luoghi angusti. Magari lo facessero anche i governi nostrani attuali che contano sul PIL dei malavitosi per rattoppare i loro sgangheratissimi bilanci! 
Purtroppo su questi importanti provvedimenti, così come sulla coerente politica monetaria di Caligola che, non per niente, avrebbe voluto trasferire la capitale ad Alessandria, la quale allora era la borsa di New York del mondo antico e la città culturalmente più evoluta, gli storici tuttora si soffermano poco, non parliamo poi degli autori di film per i quali Caligola è solo una pornostar di tutto rispetto, anche se Brass ha saputo fare forse su Caligola il pornofilm più artistico e poetico della storia del cinema...Vedetelo, se vi capita, in versione integrale ed in lingua originale nella magnifica sceneggiatura di Gore Vidal, non nella versione spezzatino bacchettona della censura italiota. Possiamo, noi che abbiamo portato una vera pornostar in Parlamento, scagliare su di lui anche il più piccolo dei sassolini? 






Ma perché è così attuale ed interessante Caligola? Perché effettivamente oggi, in Italia, un cavallo sarebbe molto più capace ed efficiente, oltre che meno costoso e meno inaffidabile, di un senatore nominato da una consorteria di partito in combutta con qualche mafia o con qualche lobby affaristica locale, di vario genere e sentore. Tra l'altro, Caligola non nominò mai senatore il suo cavallo, a cui per altro riservò lussi degni di un monarca, si limitò a dire solamente che un suo cavallo avrebbe svolto il suo ruolo meglio di un qualunque senatore, per evidenziale l'incapacità, l'arroganza e l'incompetenza di quei personaggi, contro i quali si accanì con perfido e feroce umorismo. 
Voi dite che oggi se, anziché vedere tutti i giorni poveracci che perdono il lavoro, stramazzando di fatica, o si suicidano oppure ammazzano, in preda alla disperazione, il primo famigliare che gli capita a tiro, nel modo più abietto, constatassimo che tale sorte viene riservata solo a coloro che in questi anni di crisi si sono ingrassati senza ritegno, la gente non sarebbe un po' più sollevata, almeno nel suo umore, condannato dagli squali cainamente speculatori ad un abisso di oscena oscurità depressiva? Voi dite che se certe “signore” entrate in Parlamento con prestazioni “singolari” di vario genere e bastanti solo pochi anni di legislatura, in cambio di prebende che un poveraccio che ha lavorato per più di 40 anni non potrà mai sognare lontanamente o che un giovane non può neanche immaginare, ebbene se "lor signore" fossero messe almeno qualche tempo forzosamente in condizioni tali da ricompensare, in “lor natura”, il popolo a prezzi modici, la gente non ne trarrebbe se non beneficio, almeno una certa fonte di buonumore? 
La nonviolenza pilotata e a senso unico è una invenzione di menti perverse ben più di quella di Caligola che, a mente fredda, progettano di trasformare il popolo in un gregge di pecoroni, in grado di essere "moralmente" feroci solo con loro stessi o con popoli destinati alla mattanza della loro guerra "democratica"...nell'infinito del divide et impera magna cum fraude... 
La soluzione potrà dunque venire da un rinnovato assolutismo democratico? Purtroppo crediamo di no. Sia perché oggi chi si impadronisce del potere non è mai sciolto da chi ce lo manda, non con le legioni, che pur qualcosa devono rischiare, ma con una semplice e asettica oltre che convenientissima operazione finanziaria. Sia perché, comunque, chi ci va o tenta di andarci, risponde prevalentemente a se stesso e al suo asettico mandante, non al popolo, e per di più il suo interesse numero uno è trarre vantaggio e durare il più possibile attaccato con tutte le grinfie al potere. fino a che diventa inossidabile garante, vecchio e decrepito. Non esercita il potere per giocarsi tutto, e persino da giovane, magari per fare al contempo giustizia e godersi con una grande e grossa risata, una pur breve ma intensissima vita. E così è, infine, perché oggi il popolo, ammannito con ben altro panem e circenses mediatico, che ti segue e ti isola dappertutto, incollandoti davanti ad un display, ha molto più di ieri la vocazione ad essere gregge pecorino, perché ieri, almeno ogni tanto, si incazzava sul serio e faceva fuori qualcuno, buttandolo anche a fiume, oggi invece ha introiettato, come una malattia, la convinzione che l'unica violenza praticabile è quella che, quando non ce la fa davvero più, può e deve esercitare su se stesso, o lasciare esercitare ai bombardieri. 
E in una condizione di tal genere non volete che almeno, con un sorriso malandrino che possa sottrarre alla storia ed al deprimentissimo contingente l'ennesima millantatura, ci soffermiamo a bearci del venticello che ancora spira beffardo con lo spirito dello “Stivaletto irriverente” sull'Esquilino da circa 2000 anni? Così come di quello che fu di Nerone o del grande Adriano che pur seppero, da emuli capaci, almeno sopravvivere e “fare” un po' di più? Ma sì, piuttosto che un Senato di nominati, preferiamo tuttora un ippodromo, in cui almeno darsi all'ippica possa suscitare qualche merito, qualche rischio o qualche emozione. Non volete restituirci le preferenze? Beh, chissà che nella prossima scheda elettorale qualcuno non scriva Incitatus o addirittura il nome del suo divino cavaliere: Caligola. “Sono ancora vivo!” Furono le sue ultime parole. Stavolta, dopo tante burle sue e degli storici,..noi, oggi,...dobbiamo prenderlo sul serio, meditando se possiamo davvero dire lo stesso.




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