il grillo parlante e gli studenti modello:
riflessioni (asistematiche) di un estraneo al m5s
di
Norberto Fragiacomo
Il fatto che il MoVimento 5 Stelle susciti, nell’elettorato
italiano, sentimenti così intensi (amore e odio, attaccamento e repulsione) è senz’altro
da ascriversi a merito/colpa del suo fondatore, anzi demiurgo: Beppe Grillo da Genova.
Chiedersi cosa sia e dove possa arrivare il M5S “oscurando”
l’ex comico equivale a imboccare una strada senza uscita; d’altra parte,
ridurre l’intero fenomeno a lui – o ad oscure manovre sotterranee del suo
“socio in affari” Casaleggio – è fuorviante e poco onesto: per cambiare la
realtà occorre prima sforzarsi di interpretarla senza preconcetti. Storpiarla a
fini di autoassoluzione non serve a niente.
Cominciamo dal capo indiscusso, allora. Poco interessa sapere
quali idee politiche Grillo abbia coltivato in gioventù: si vocifera di
simpatie di sinistra, ma l’uomo lieto di riconoscersi nel se stesso di tre o
quattro decenni prima rappresenta una rarità. Gli esordi da showman lasciano
tuttavia prevedere l’evoluzione futura: giocando su una sorta di omonimia, si
appropria sin da subito del ruolo – scomodo ma caratterizzante, e dunque
redditizio – di grillo parlante. Rischia a ragion veduta: la celebre “cacciata”
dalla Rai (a seguito di un’irriverente barzelletta sui “socialisti ladri”)
rinsalda una popolarità già piuttosto vasta e, in ultima analisi, gli giova. Dicono
sia avaro, di certo non disprezza il soldo: nel nuovo secolo i suoi comizi a
pagamento – ufficialmente spettacoli teatrali – gli attireranno meritate
critiche, che lui respinge riappiccicandosi in fronte l’etichetta di comico. Comizio,
comico, comodo: ancora una volta sembra un gioco di parole.
Anni ’90: inizia la sua battaglia “antisistema”. I temi sono
la difesa dell’ambiente, l’uso di energie rinnovabili, la lotta agli sprechi. Ovunque
vada, riempie teatri e palazzetti. Ciò che non cambia (e non cambierà mai) è lo
stile: Grillo disdegna la comicità bassa, triviale (e pienamente conformista) alla
Bagaglino, così come non si cimenta nella parodia, elevata dal geniale interprete
Corrado Guzzanti – e da pochi altri – a raffinata forma d’arte. Il suo genere è
un’invettiva dai toni millenaristici, che pretende
la risposta del pubblico in sala, il suo coinvolgimento totale. Grillo sa
essere brusco: prende di petto il singolo spettatore indifeso, lo interroga… non
si fa scrupolo di umiliarlo persino, mentre gli altri (quelli non presi di mira,
e che pregano di non esserlo) intorno si sbellicano dalle risate. Una via di
mezzo tra sadomasochismo e futurismo… qualunquismo? Il paragone con Guglielmo
Giannini è improprio, e fatto secondo me in totale malafede: il “non ci rompete
le scatole” dell’anguillesco napoletano è una furba, distruttiva dichiarazione
di disimpegno, il “vaffanculo!” di Beppe ha, fin dal principio, una sua forte –
ancorché generica - carica propositiva.
Insomma, da un ventennio Grillo è un politico “in potenza”
che, senza mai dichiarare guerra, combatte singole scaramucce: si colloca ai
margini del sistema (che gli dà da mangiare, e pure bene), non fuori da esso. Il
salto di qualità avviene alla vigilia della crisi: il primo V(affanculo)-Day si
tiene l’8 settembre 2007, ed è un successo di pubblico che la televisione “contro”
(Santoro & co.) amplifica ed esalta. Lo show coincide in realtà con il
lancio di una proposta di legge popolare, mirante ad allontanare i condannati
dal Parlamento, a limitare il numero di mandati e a reintrodurre le preferenze.
Niente di rivoluzionario, niente di democraticamente scandaloso: vergognosa è
semmai la prevedibilissima decisione delle camere di non tener conto
dell’infinità di firme raccolte. L’anno dopo (il 25 aprile, e neanche stavolta
la data è scelta a caso) si replica: l’obiettivo è la presentazione di alcuni quesiti
referendari in materia di informazione.
Gli scopi immediati – a ben vedere, limitatissimi – non
vengono raggiunti, ma Grillo guarda lontano: da consumato uomo di spettacolo
(anche televisivo) ha tastato il polso dell’opinione pubblica, traendone auspici
favorevoli. La discesa in campo avviene in sordina: alcune elezioni locali danno
risultati mediocri (ma non deprimenti), poi nel 2009 pare formarsi un asse con
l’IdV di Di Pietro. Beppe sostiene due candidature “di sinistra”: quelle
dell’ex pm de Magistris e della sindacalista antimafia Sonia Alfano, che
vengono entrambi eletti al Parlamento Europeo. Forte del consenso acquisito, il
comico (ex comico? Comunque, finché vivrà, uomo di spettacolo) ligure si
candida alle primarie del PD, ma i vertici del partito gli sbarrano la strada. Bastano
questi due episodi per accreditare l’immagine di un Grillo “di sinistra”? Direi
di no: la sua identità resta un apparente mistero, anche se le tematiche
sollevate nel corso degli anni potrebbero venir considerate, nell’attuale
stagione politica, quasi tutte latamente “progressiste”, e - al di là di
qualche fuggevole, irrilevante (ancorché gonfiato ad arte da media e avversari)
contatto con CasaPound - non risultano frequentazioni a “destra”. Irrilevante
perché? Per il semplice motivo che il ligure non è – al pari della maggioranza
degli italiani – incasellabile in una famiglia politico-ideologica: le sue
piccole crociate somigliano ad aforismi slegati fra loro, non si connettono
armoniosamente insieme nella più vasta cornice di un racconto, di una
narrazione complessiva.
Non mi consta che Grillo sia amato da Pennacchi, il
cantore di “Canale Mussolini”, eppure i due sono simili: passano da una parte
all’altra senza imbarazzi, semplicemente perché non scorgono alcun confine. Grillo
dialogherebbe tanto con i fascisti quanto, ad esempio, con il PMLI, perché il
suo pragmatismo considera idee, ideali e ideologie alla stregua di vacue
astrazioni. E’ un limite culturale, ma al contempo un punto di forza, che gli
ha permesso di avvertire prima di molti altri (spesso persone intelligenti e
colte, ma intrappolate nella tela di una “fede” cieca) la sostanziale
equivalenza tra PD e PdL, ambedue referenti del Capitale c.d. neoliberista. “Noi
non siamo né di destra né di sinistra: noi siamo sopra!”, ama scandire nelle
piazze – il pubblico capisce ma gli intellettuali no, e i più schierati (spesso
dalla parte del portafoglio, che di solito sta a destra) sbraitano sui rischi
di autoritarismo. A parte il fatto che l’autoritarismo c’è già, e non solamente
in Italia, la frase andrebbe letta insieme ad un’altra: “il PD è il PdL meno la
elle.” Trattasi di approssimazione, e come tale è imprecisa, ma descrive una
realtà fattuale: in Italia e in Europa, oggidì, “sinistra” (PSE, tanto per
intenderci) e “destra” sono maschere di cartapesta, che i ceti egemoni fanno
indossare a modesti figuranti.
Detto questo, non posso non dedicare due righe al linguaggio
di Grillo, che in parecchi giudicano inaccettabile, violento, ai limiti dell’eversione.
Di sicuro, battute come quella sul “punto G”, dedicata alla Salsi, sono villane
e infelici [1] – ma ci troviamo appunto
al cospetto di battute, fatte da un personaggio che, accostandosi alla
politica, ha portato con sé, nella cassetta degli attrezzi, uno strumento comunicativo
collaudato. I paragoni con Pinochet, i richiami al “Puzzone” (questi ultimi efficacemente
reinterpretati dal sindacalista croato Bulic per svelare la natura intimamente
neoliberista dei “socialdemocratici” del suo Paese) stanno a metà strada tra
l’iperbole e lo slogan riassuntivo di un concetto; la demonizzatissima uscita “io
sono oltre Hitler!” e l’altrettanto famigerata “io non sono democratico!” vanno
invece pacificamente lette come sberleffi rivolti alle frotte di giornalisti il
cui unico compito consiste nell’individuare tracce di totalitarismo in ogni
parola o gesto del leader a 5 Stelle. In breve: se si applica il criterio
dell’interpretazione letterale al linguaggio di uno showman con la vocazione di
arruffapopolo si perviene a conclusioni assurde, fantasiose e – assai spesso – involontariamente
ridicole.
Queste mie considerazioni non suonino come un proscioglimento:
svolgono una funzione introduttiva, d’indispensabile prologo di una vicenda
altrimenti incomprensibile.
Ai primi di ottobre del 2009 vede finalmente la luce il
MoVimento 5 Stelle. La V maiuscola non è un errore di battitura: richiama l’esperienza/esperimento
dei V-day, ma anche una pellicola visionaria come “V per Vendetta”, in cui un
ribelle solitario e implacabile riesce a risvegliare la coscienza del popolo e
ad abbattere, con l’appoggio delle masse (e sacrificando se stesso), un regime
dittatoriale. Le cinque stelle, invece, si riferiscono ad acqua, ambiente, energia,
sviluppo e trasporti, cavalli di battaglia di Grillo e del suo blog www.beppegrillo.it, stimato (da The Observer, nel 2008) fra i 50 più
influenti al mondo. La cronologia sembra suggerire un rapporto di causa-effetto
tra la mancata ammissione di Beppe alle primarie PD e la nascita della forza
politica, ma è da ingenui immaginare che un movimento organizzato sorga all’improvviso:
la querelle con i sedicenti democratici va piuttosto interpretata come uno
spot, un evento creato ad arte per suscitare la curiosità del pubblico e,
dunque, favorire il lancio del “prodotto” M5S – che si dota, sin da subito, di
un “non statuto” e di un programma politico.
Il “non statuto” è uno scarno documento di tre paginette:
inizia (art. 1) definendo il movimento una “non Associazione”, avente una… non
sede, o meglio una sede virtuale, coincidente con l’indirizzo web del blog. Unico
titolare dei diritti d’uso del nome (art. 3) è Beppe Grillo; all’articolo 4,
rubricato “oggetto e finalità”, si sottolinea che “il MoVimento 5 Stelle non è un partito politico né si intende che lo
diventi in futuro.” Non è prevista alcuna quota di adesione [2] (art. 6), mentre si dà
ampio spazio alla descrizione delle procedure di selezione dei candidati -
obbligatoriamente incensurati e senza procedimenti penali in corso – stabilendo
che “le discussioni inerenti tali
candidature saranno pubbliche, trasparenti e non mediate” (art. 7).
In effetti, il non statuto si sofferma sul “come fare”,
omettendo di individuare gli scopi politici veri e propri (per rendersene conto
basta confrontare il documento con le previsioni statutarie di associazioni
consimili, partitiche e non) e perfino gli organi direttivi e di garanzia, che non esistono; certe definizioni, poi
(la “non Associazione”, ad esempio), hanno un che di civettuolo, propagandistico
e poco chiaro. Il rifiuto di considerarsi “partito” risponde invece ad una
logica ferrea, che non va ridotta all’esangue dicitura «lotta alla casta». Il
termine partito deriva da pars, ed
indica di conseguenza una formazione politica che si propone, in antagonismo
e/o collaborazione con altre forze, di curare gli interessi di un ceto o una
categoria sociale. Grillo, come abbiamo già visto, “pretende” la partecipazione
dei cittadini, cui non è concesso di impersonare il ruolo passivo di spettatori
(neanche a teatro): il suo progetto di democrazia diretta - da realizzarsi
attraverso la rete – non prevede (non
tollera) la presenza di corpi intermedi organizzati. “Uno vale uno” fa il
paio con “voglio il 99%!”: in una visione ideale il M5S è una specie di
palestra, in cui i cittadini si addestrano all’autogoverno.
Si addestrano o vengono
addestrati? E chi è che li addestra? Beppe, evidentemente, che non ritengo
si impossessi del “marchio” a fini di sfruttamento economico (questo insinuano
i suoi detrattori, che presentano però prove raffazzonate e poco persuasive) o
per mere, comprensibilissime ragioni di cautela. L’uomo che - a 64 anni suonati
- attraversa a nuoto lo stretto ha interpretato, tre decenni prima, la parte
del protagonista in “Cercasi Gesù” di Comencini (1982): il ruolo del
visionario, del taumaturgo gli è congeniale. A chi lo accusa gratuitamente di
essere un pupazzo di non meglio precisati poteri forti faccio notare che i
pupazzi galleggiano, non sfidano le correnti marine: c’è una componente
messianica nel carattere del leader a 5 Stelle, accompagnata da una smodata
fiducia in sé e nei propri mezzi. Agli italiani chiede di seguirlo, e quando
recalcitrano o sbandano lui si adombra, rampogna, sanziona, sbotta: “mollo
tutto!”
La questione è: seguirlo dove?
Il programma, risalente anch’esso al 2009 e reperibile sul blog, è redatto per
punti. La bozza gronda buone intenzioni, ed è in larga misura condivisibile: propone
limitati interventi sull’impalcatura costituzionale (abolizione delle province,
referendum anche propositivi senza quorum ecc.) e un’interessante discussione
pubblica sulle leggi (cioè sui disegni/progetti di legge) tre mesi prima della
loro approvazione. Riserva ben tre pagine – su 13 - alle questioni energetiche
e due al tema dell’informazione; in materia economica si auspica l’abolizione
della Legge Biagi, l’introduzione di una class
action e la sottoscrivibile “salvaguardia
delle industrie alimentari e manifatturiere con prevalente mercato interno”. Spuntano
sussidio di disoccupazione generalizzato e tutela delle produzioni locali
(bene!); meriterebbero un plauso la fissazione di un tetto stipendiale per i
manager pubblici e privati e
l’abolizione delle stock options di
cui fanno incetta i Marchionne, mentre il debito pubblico – additato come grave
patologia – andrebbe ridotto mediante una non meglio precisata lotta agli
sprechi. I trasporti sono sulla strada giusta: “blocco immediato TAV in Val di
Susa” e insieme “sviluppo delle tratte ferroviarie legate al pendolarismo”, ma
anche incentivazione dell’uso della bici e potenziamento del trasporto
pubblico. Nella sezione “salute” si mira a garantire l’accesso alle prestazioni
essenziali del Servizio sanitario nazionale [3] universale e gratuito e a
promuovere la ricerca sulle malattie rare e l’uso di farmaci generici e fuori
brevetto; inoltre, si vuol vietare ai medici pubblici il ricorso all’intra moenia e si prevede la
pubblicazione online di ogni convenzione tra strutture pubbliche e private. L’istruzione
occupa appena mezza pagina: convince l’opzione per la gratuità dei testi
scolastici, molto meno l’abolizione del valore legale dei titoli di studio.
Che dire? Che si tratta di un programmino sensato, ma
generico, incompleto e inevitabilmente vago – per di più alquanto squilibrato, visto
che si impernia sui temi che maggiormente stanno a cuore a chi lo ha steso e ad
altri, pur decisivi, concede un’attenzione frettolosa. Una ricetta “di
sinistra”, che strizza però l’occhio ai piccoli e medi produttori nazionali ed
ha un retrogusto quasi proudhoniano (la palpabile ostilità nei confronti delle
grandi società multinazionali). Quello che non si trova, nelle sue pagine, è la
visione di una società alternativa, un riordino generale delle relazioni
sociali, un obiettivo rivoluzionario che però sarebbe improprio esigere da
Beppe Grillo che mai – l’abbiamo premesso – si è collocato al di fuori del
sistema.
Al MoVimento 5 Stelle tocca confrontarsi con l’elettorato già
nella primavera del 2010: pochissimo tempo per imparare a camminare, ma il risultato
è lusinghiero. Alle elezioni regionali ottiene due consiglieri in
Emilia-Romagna (6-7%) e altrettanti in Piemonte, dove sgambetta Mercedes Bresso;
eletti a 5 Stelle fanno la loro comparsa anche nelle assemblee comunali. Nessuna
valanga di voti, ma ai commentatori più attenti non sfugge la primizia: il
movimento ha adesso i suoi rappresentanti nelle istituzioni, non è più un’appendice
di Grillo.
2011: nuove elezioni
amministrative, altri consiglieri eletti – ma la notizia è il sostegno del M5S
al referendum sull’acqua pubblica (12-13 giugno), il cui esito favorevole
rappresenta un duro colpo per le velleità neoliberiste del Governo Berlusconi,
che di lì a poco entra nel mirino dei mercati e della UE. Sono le bombe spread,
più che quelle d’acqua, a turbare l’estate italiana: l’agonia del centrodestra
si protrae fino a novembre – fino cioè al colpo di mano orchestrato dal
Quirinale, che spiana la strada di Palazzo Chigi al “tecnico” (neoliberista)
Mario Monti. Seguono mesi durissimi, fra scandali, contestazioni, attacchi allo
Stato sociale e ignominiose rese sindacali. A primavera si vota di nuovo, e
stavolta il movimento “fa il botto”: una percentuale che sfiora il 20% a
Genova, la roccaforte leghista Sarego espugnata al primo turno – ma soprattutto
Parma, dove Pizzarotti straccia, al ballottaggio, il candidato del
centro-sinistra. Affermazione nient’affatto scontata, se si considera che il
precedente, contestatissimo sindaco era espressione del centro-destra. Annotavo, all'indomani del voto
“Voto di protesta?
Certo non di incoraggiamento a PD e PDL (disfatto), per non parlare della Lega
(annichilita); ma se di protesta si tratta, non è detto che duri un giorno,
perché ad essa si affianca un anelito di speranza facilmente percepibile… quasi
una preghiera laica, sussurrata tra le macerie. Pizzarotti e i suoi colleghi
sono oggettivamente “nuovi”, non compromessi con i poteri locali né con un
esecutivo che ne serve altri, ben più minacciosi: “sparigliano” parlando di
ambiente, democrazia diretta (attraverso la rete), competenza e curricula”, non senza soggiungere che il futuro cammino sarebbe stato
irto di insidie per i 5 Stelle (“specie nei momenti drammatici, la critica
distruttiva affascina, ma riedificare una società con pochissime risorse è impresa al limite dell’impossibile”), che continuavano ad incolpare di ogni
sventura il nemico sbagliato, la c.d. casta. Concludevo rilevando che “i grillini hanno ancora ampi margini di
crescita, perché sono visti (non del tutto a torto, sia chiaro) dalla
popolazione come l’unica alternativa ad un sistema incancrenito e senza
bussola, dove destra, sinistra e centro sono nomi appiccicati su un nulla
impotente, disonesto e costoso”
– facile profezia,
che avrebbe principiato ad avverarsi nel caldo ottobre siciliano, con la
conquista del primo posto (come lista) alle regionali vinte dall’ambiguo
Crocetta.
Agli strabilianti successi si accompagnano però dei problemi –
problemi di crescita, appunto. Il fragile dualismo Grillo-eletti entra repentinamente
in crisi con l’esplodere dei “casi” Salsi e Favia (dipinto dalla stampa come il
delfino del leader). Alcune comparsate televisive mandano su tutte le furie il
Capo, che le ha tassativamente proibite: l’effetto è una sprezzante scomunica.
I media insorgono contro il “dittatore”, Mentana cerca di spiegare che Grillo
si preoccupa per l’inesperienza dei suoi, ancora incapaci di scansare le
insidie di uno studio televisivo e di politici navigati. Da fan di Star Trek
azzardo un’interpretazione alternativa: “(…)
Beppe Grillo pare avere in
mente il modello Borg di Star Trek: una comunità di
uomini-robot superefficienti, ciascuno dei quali agisce come un ingranaggio
dell’astronave-macchina, ed esprime la volontà collettiva al netto di
considerazioni personali. Non è dunque l’inesperienza dei suoi a preoccuparlo,
quanto piuttosto le ambizioni individuali, il gusto per la celebrità che, in
mondo costruito intorno ai media, può contagiare chiunque - e l’aura di
notorietà creatasi intorno ai due “ribelli” Favia e Salsi, rafforzata da
ulteriori comparsate, dimostra, almeno in parte, la fondatezza dei timori di
Grillo, che paventa una deriva partitica del movimento. Troppe
esternazioni, troppi protagonismi danneggerebbero il brand, poiché svelerebbero al pubblico – cioè agli elettori – che
i passeggeri dell’UFO hanno, a seconda dei casi, idee di sinistra o di destra,
simpatie per questo o per quello ecc., e che magari sono del tutto simili ad
una quota (almeno) dei loro avversari
(http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2012/11/beppe-grillo-dal-blog-ai-borg-di.html).”
A distanza di due anni, potremmo tentare una sintesi: da ottimo conoscitore dei
media (che lui sfrutta con cinica abilità), Beppe Grillo pretendeva dai suoi un
adeguato livello di preparazione al confronto [4], ma anche un annullamento dell’individualità di stampo
bordighista (l’eletto come mero “portavoce” dei cittadini), difficile – se non
impossibile – da raggiungere nel mondo reale.
Le autocitazioni fin qui
proposte al lettore servono ad introdurre la tematica del burrascoso rapporto tra
sinistra “radicale” e M5S. Bandiera Rossa in Movimento ha sempre guardato al
fenomeno con occhio critico, ma senza pregiudizi: la riflessione più esauriente
è stata scritta dal compagno Santarelli, sotto forma di recensione al saggio “L’armata
di Grillo” di Mattteo Pucciarelli (http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2013/02/larmata-del-grillo-di-stefano-santarelli.html). La seconda parte del pezzo si intitola significativamente “Il lato
oscuro dei grillini”, che viene individuato nello strapotere del discusso
imprenditore Gianroberto Casaleggio – di cui Grillo stesso sarebbe poco più che
un “megafono vivente” – e nell’assenza di democrazia interna. Ma quali sono le
prospettive del movimento, si chiede il compagno di BRIM sulla scorta di
Pucciarelli?
“Quello che francamente preoccupa è la
mancanza di una proposta e di un vero progetto politico. Non basta e non è
sufficiente affermare che bisogna “favorire le produzioni locali” oppure che
bisogna “investire nella ricerca universitaria”. Sono “pensierini” sui quali è
difficile non essere d’accordo, ma ciò che appare evidente è la mancanza di un
programma politico che risponda ai gravi problemi del nostro paese.”
La conclusione era la seguente: i compagni che voteranno il M5S
rischiano di andare incontro ad una cocente delusione.
Un giudizio critico, ma cauto, che a
sinistra resta abbastanza isolato. Il M5S suscita reazioni viscerali, di
rigetto od entusiasmo. I gruppi tendono a ricreare un M5S “per uso interno”,
lasciando galoppare la fantasia. Il PCL ha individuato nei grillini il nemico:
sarebbero fascisteggianti, al servizio del potere economico; una vanteria di
Grillo (“senza di noi sarebbe già scoppiata la rivolta”) assurge a prova della
sua cattiva fede e della funzione reazionaria del movimento [5]. Conseguenza: il partito di Ferrando contrasterà il M5S ovunque esso
si presenti – l’impegno viene mantenuto, ma gli esiti elettorali sono purtroppo
catastrofici (per il PCL, s’intende). Altri, come il partito dei CARC, vedono
nei grillini lo strumento per creare in Italia un governo socialista di blocco
popolare (GBP), e provano ad infiltrarsi nel M5S (di cui viene comunque riconosciuta
la natura interclassista). Beppe non fa la Rivoluzione? Si stigmatizza il
presunto voltafaccia, senza considerare la possibilità che certe sue parole
siano state grossolanamente fraintese. Altra questione è invece il CLN, su cui
torneremo nel finale.
Intanto arriva il 2013, e porta in dono le
elezioni politiche. Grillo gira l’Italia come un forsennato, dappertutto punta
il dito contro i partiti in fotocopia e annuncia: “apriremo il Parlamento come
una scatoletta di tonno.” Vado a sentirlo a Trieste: rimango impressionato. Annoto
la presenza, intorno a me, di “gente attenta, anche un po' critica, spaventata
ma abbastanza "consapevole", almeno rispetto alla media italiana” e le parole d’ordine “di sinistra”; confesso
la mia “ammirazione” per un oratore straordinario, capace di trascinare e
commuovere. Sottolineo anche, però, alcune “debolezze”: l’esplicito ripudio
della lotta di classe (essendo caratterizzato – il comunitarismo di Grillo – da
“un’idea di
collaborazione tra gli ordini che, nel passato, ha dato frutti solo a chi stava
sopra”), la divisione del campo capitalista in
“buoni” (gli imprenditori piccoli e medi) e “cattivi”, l’asistematicità di un
pensiero cui “manca una storia,
una Weltanschauung, una visione complessiva”.
Beppe Grillo si
attende, dalle elezioni, un risultato eclatante (il 20%, suppergiù), ma ne ottiene
uno straordinario, che probabilmente lo spaventa: col 25,55% il M5S risulta il
primo partito alla Camera. Gli eletti sono 163: Beppe dispera di controllarli
tutti (lui, fedele alle regole imposte, non si è candidato), e dichiara di
ritenere fisiologico l’abbandono, a medio termine, di un 15% di parlamentari,
attratti da altri lidi. Ma come si presentano questi eletti? Ripenso ai Borg
quando vedo affacciarsi in tv – mentre i dati si fanno ormai definitivi – il
viso bello e sconosciuto di Marta Grande: caschetto, poche parole, sguardo fisso
e spaesato. I media, che fino a un paio di anni prima dimostravano simpatia per
la novità, cominciano una spietata caccia alla gaffe: i neoeletti vengono
tampinati, interrogati, “dissezionati”, e i direttori gioiscono per credenze
bislacche (il famoso chip sottopelle) e affermazioni colte al volo. Gioco
sporchissimo, ovviamente: cosa si pretende che sappia un allievo il primo
giorno di scuola? Le difficoltà di ambientamento – fisiologiche – si sommano a
quelle derivanti dai troppi voti: Grillo aveva (e ha) in testa un’armata di irriducibili oppositori, ma l’effimero primato
alla Camera addossa al M5S (teoriche) responsabilità di governo. Pierluigi
Bersani, trionfatore annunciato, ha incassato l’ennesima “non vittoria”, ma
prima di cedere le armi a Napolitano, gioca con spregiudicatezza l’ultima carta
– quella della circonvenzione di inesperti. Lancia i famosi otto punti,
chiedendo il sostegno dei 5 Stelle. E’ ovviamente un’esca avvelenata, che mette
Grillo di fronte a un dilemma: rimangiarsi i proclami fatti in campagna
elettorale scendendo a patti con un nemico che mai gli ha risparmiato attacchi oppure
rispedire la proposta al mittente, passando per quello che sa dire solamente
no, e che col suo disfattismo danneggia il Paese. Avrebbe una terza strada –
una controproposta “prendere o lasciare” imperniata su 5 punti del suo programma -, ma neppure lui è
un politico navigato, e opta dunque per il muro contro muro: in diretta
streaming i due plenipotenziari Crimi e Lombardo (selezionati molto male, ma nessuno
nasce imparato…) umiliano Bersani, regalandogli il ruolo di vittima. Poco
importa che quello dell’emiliano sia stato un semplice escamotage, furbo e
disperato insieme (http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2013/03/la-farsa-pasquale-di-norberto-fragiacomo.html): il pubblico disapprova l’atteggiamento arrogante ed ostile della
strana coppia. Non è l’unico errore commesso nel periodo [6]: Grillo cerca di riparare mettendo sul tavolo una candidatura al
Quirinale chiaramente orientata a sinistra (Rodotà) e lasciando intendere di
essere disposto a votare Prodi, ma il PD fa la scelta più consona ad un partito
di sistema quale è: rompe una consuetudine costituzionale e rielegge
Napolitano, garante dei mercati e “padre nobile” delle larghe intese. Giorgio I
e II scende in Parlamento a dettare la linea: Enrico Letta – lo stesso che in
campagna elettorale giurava di preferire Berlusconi ai 5Stelle – continuerà la
politica neoliberista dell’austero senatore Monti.
Trascorrono i mesi… anzi, è ormai trascorso
più di un anno, e dalla fine dell’inverno siede a Palazzo Chigi il borioso,
pericolosissimo Matteo Renzi (l’«ebetino» che lo stesso Grillo si è rammaricato
di aver preso sottogamba all’inizio). Cos’hanno fatto in questo lasso di tempo
i 5 Stelle? Anzitutto, tra cacciate e defezioni il loro numero si è sensibilmente
assottigliato, come il “megafono vivente” aveva in effetti previsto. Posso
comprendere le ragioni di alcuni degli espulsi/fuoriusciti, ma non li considero
in blocco dei martiri: al momento della candidatura – ottenuta sostanzialmente
a gratis – sapevano quello a cui andavano incontro, e non potevano non essere
consci che il loro mandato escludeva qualsiasi forma di collaborazione (palese o sottotraccia) con la maggioranza di
governo. Chi ha condotto per mesi una guerriglia interna è stato artefice del
proprio destino. Gli altri – i rimasti – si sono a parer mio ben comportati. Discorrendo
tempo fa con Galluccio, candidato a Presidente del Friuli Venezia Giulia per il
movimento, ho appreso che gli eletti sono degli autentici secchioni: studiano, studiano
e studiano ancora (l’ordinamento giuridico, il funzionamento
delle assemblee, gli orientamenti giurisprudenziali) – ed è capitato che loro
interventi “consultivi” abbiano evitato a Giunta e Consiglio di cadere in
imbarazzanti svarioni. La prova del costante impegno sta nella crescita,
all’interno del M5S, di individualità interessanti, ormai in grado di reggere
anche alla prova dei talk show e di mettere all’angolo gli avversari: alludo a
un Luigi Di Maio - ventottenne sempre preparato, lucido e sorridente – a un
Alessandro Di Battista, a una Giulia Sarti o a una Paola Taverna, che incarna
l’anima “popolana” del movimento (absit
iniuria verbis!) e si fa apprezzare per la passione e la
spontaneità. Considerato che prima facevano tutt’altro (od erano addirittura
disoccupati) e che sono stati scelti con primarie-fai-da-te, la buona prova che
molti degli eletti stanno offrendo meraviglia l’osservatore onesto. Non mi
riferisco solo ai dibattiti, ovviamente: in Parlamento i 5 Stelle hanno combattuto
battaglie durissime a difesa della Costituzione, contro le regalie alle banche,
la schiavitù del Jobs act renziano, l’acquisto dei famigerati F 35, il
completamento della TAV ecc. Hanno rinunciato a parte dell’indennità, sono saliti
sui tetti e hanno provato ad impedire i lavori parlamentari in risposta a inqualificabili
decisioni dei presidenti… ed anche oggi fieramente si oppongono allo
stravolgimento della Costituzione, incuranti degli insulti, delle
falsificazioni e dei colpi bassi [7] del giornalismo di regime, che ha l’impudenza di rinfacciare a Grillo
e ai suoi l’imperdonabile colpa di essere rimasti fedeli alle promesse
elettorali, cioè… un peccato di coerenza! Grillo e Casaleggio manovrano i
parlamentari come marionette? Può darsi, ma è innegabile che, in qualche
occasione (penso all’abrogazione del reato di immigrazione clandestina), la
volontà del duo è stata sfidata dai gruppi, che hanno successivamente ottenuto
l’avallo della famosa rete. In sostanza, gli eletti paiono essersi parzialmente
affrancati – dopo un lungo noviziato – dalla tutela grillina, e non è affatto
sicuro che al terribile Beppe la cosa dispiaccia: autonomia è sinonimo di
maturità, e malgrado il suo egocentrismo l’ex comico sa di non essere in grado
- superata la boa dei 65 anni - di prendere da sé ogni singola decisione. E’
vero che continua a riservarsi quelle più importanti (ad es. l’alleanza
squisitamente tattica con l’UKIP in Europa [8]), ma ridurre oggi il M5S a Grillo e Casaleggio col contorno di pupazzi
non è semplificare: è creare un falso, utile – fra l’altro – a celare il dato più rilevante, cioè le
posizioni schiettamente di sinistra assunte da deputati e senatori a 5 Stelle
sulle questioni più controverse. Contano i fatti, ed essi ci dicono che, in
Parlamento, i diritti di lavoratori, pensionati e cittadini in genere sono
difesi soltanto dal movimento [9]. Però sono incapaci di incidere, obbietta soddisfatto qualcuno: quante
leggi sono riusciti a far approvare? Poche o nessuna, ma non per dilettantismo,
ignavia o incapacità: la banalissima ragione è che costituiscono una minoranza,
un corpo estraneo in assemblee interamente dominate ed “assimilate” dai neoliberisti. E
se gli autentici Borg fossero… quegli altri?
Tutti con Grillo, allora? Non è questo che
suggerisco: alcune sue idee fisse, come la divisione fra un’Italia A di
“privilegiati” (tra i quali dipendenti pubblici e pensionati!) ed un’Italia B
di brava gente (in cui c’è spazio per l’imprenditoria medio-piccola che piaceva
a Berlusconi, e che Beppe ha sempre corteggiato http://bentornatabandierarossa.blogspot.it/2013/06/lideologia-del-grillo-straparlante-di.html#more,
cui rimando chi desideri approfondire il discorso) e l’ostilità preconcetta nei
confronti di P.A. e sindacati, sono indigeribili e pericolose - infinitamente più pericolose del
matrimonio di convenienza con Nigel Farage.
Dubbi e perplessità sono sacrosanti, ma non
devono accecarci: l’unica forza politica italiana provvista di seguito che abbia l’ardire, oggi, di mettere in
discussione Fiscal Compact, TTIP e legittimità della dittatura eurocratica è il
MoVimento 5 Stelle. Alcuni suoi esponenti ci piacciono più di Beppe Grillo (ed
infinitamente più di Casaleggio) - non siamo tuttavia nelle condizioni di
scegliere la fetta di torta preferita. Il comico-taumaturgo-megafono è
imprevedibile, ma non è stupido: dopo aver perso la scommessa delle elezioni
europee si è trovato - per la prima volta - sotto scacco, e le mosse un po’
scomposte di inizio estate ci appaiono come un’affannosa ricerca della strada
smarrita.
Adesso sembra essersi persuaso che “loro” non daranno quartiere:
smembreranno l’Italia, la sua economia; ne faranno una Grecia al quadrato. Semplicemente
perché così vuole l’elite. Possibile si sia reso conto il nostro che per salvare qualcosa tocca
cambiare tutto? Credo che la maggioranza dei suoi ne sia consapevole; lui non so, ma
se – non pago della fama e dei milioni accumulati – punta a passare alla Storia
dovrà prendere in considerazione l’ipotesi di uno strappo netto. Non siamo più
negli anni ’90: il Capitale si mostra oggi apertamente per quello che è, non
nasconde le zanne sotto maschere democratiche.
L’invito recentemente rivolto da
Grillo agli intellettuali perché scendano in piazza e proteggano la
Costituzione andrebbe preso sul serio: lo interpreto come un’apertura a sinistra. Ritengo che dovremmo unire le forze –
dalla lacerata [10] Lista Tsipras a Ross@ alla deriva, dai vari movimenti sociali ai
partiti di nicchia – e valutare l’ipotesi di un fronte di salvezza nazionale (o
di un CLN, come ama definirlo Moreno Pasquinelli) che comprenda necessariamente
anche il M5S. E’ indispensabile un previo, problematico accordo fra “noi”?
Secondo me sì, perché solo l’esistenza di una “massa critica” può conferire
serietà all’interlocuzione. Riconosco che in altre epoche Grillo avrebbe
disdegnato la profferta, irridendoci – ma tempora mutantur, e oggidì rischia lui stesso l’irrilevanza
e la paralisi politica.
In quella che – per semplicità, più che per
rispetto della “tradizione” – seguito a chiamare Sinistra le teste pensanti non
mancano: abbiamo le risorse intellettuali per ricostruire una società, un Paese
e perfino un continente. Inoltre, una mutua frequentazione con i 5 Stelle
potrebbe incoraggiare questi ultimi ad operare scelte di campo più nette: il monco
programma del 2009 non ha precluso loro, in fondo, di assumere posizioni
convincenti su Unione Europea e politica economica.
Aprire con circospezione un canale non è
sconveniente, specie se si considera che – all’interno della loro misteriosa
astronave – i Borg si sono evoluti (o si stanno evolvendo) in qualcosa di un
po’ più simile a noi.
NOTE
[1] Peraltro non più di quelle riservate a certi
spettatori dei suoi show che, dopo aver scucito non pochi soldini per il
biglietto d’ingresso, dovevano anche far buon viso a cattivo gioco (v. supra).
[2] Gratis è bello? Non sempre: chi paga per una tessera
“acquista” anche dei diritti all’interno dell’associazione (essere giudicato
dai probiviri, ad es.). Nel caso dei 5 Stelle, “gnente te paghi, gnente te godi” (v. infra).
[3] Oggetto di meritata lode, in un’epoca di
indiscriminati tagli ideologici.
[4] Che nel frattempo è stato conseguito dagli “allievi”
più brillanti (v. Luigi Di Maio).
[5] Nato per impedire il consolidamento di una sinistra
di massa… merita rilevare che, per alcuni, anche l’operazione Ingroia aveva una
finalità simile. Peccato che per stoppare la crescita della sinistra non
occorra assoldare… professionisti esterni: i suoi litigiosissimi “leader”
bastano e avanzano.
[6] Citerei, fra gli altri, l’abboccamento con
l’ambasciatore americano, che rafforza a sinistra i sospetti di oscure alleanze
reazionarie.
[7] Tra i quali annovero i costanti, ripetuti tentativi
di mettere i pentastellati gli uni contro gli altri, amplificando animosità e
contrasti interni (o inventandoli di sana pianta).
[8] L’accordo gli ha fruttato critiche ferocissime, ma
che dire della conventio ad excludendum
attuata da PPE, PSE e liberali, che ha appunto escluso i 5 Stelle da qualsiasi
carica nelle commissioni dell’inutile Parlamento UE? Fascista è chi il fascista
fa, direbbe Forrest…
[9] Raramente da SeL, più preoccupata della sopravvivenza
propria (in mancanza di alternative,
anche come pertinenza di Renzi).
[10] Soprattutto sul tema del rapporto col PD renziano: si
confrontano almeno tre posizioni diverse, che una probabile fuoriuscita di SeL
ridurrebbe a due.
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