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lunedì 14 novembre 2011

Il "che fare" dei socialisti oggi in Italia

di Carlo Felici

Nonostante questo sito si proclami "comunista destalinizzato" ed io collabori validamente con gioia alla sua redazione, per formazione, inclinazione e cultura, resto un socialista e, dunque, rivolgo questo mio intervento, in particolare, a tutti coloro che condividono quel cammino socialista che è tuttora largamente praticato da innumerevoli masse popolari e proleterie, dal Sudamerica all'Europa, anche se con direttrici eterogenee.
Come socialisti credo quindi, in particolare, che dovremmo avere una posizione chiara e non ambigua sulla prospettiva che si apre in Italia con un governo tecnico retto da Monti.

In primo luogo è necessario rimarcare la sconfitta netta del sistema democratico elettorale italiano, non in grado di produrre una soluzione e tanto meno una alternativa politica alla crisi incombente.

Nel desolante panorama offerto dalla casta dei politici nostrani, che sono da annoverarsi tra i più inefficienti e però anche tra i più strapagati, è del tutto evidente il loro fallimento.

Perché è inutile che Bersani e la Camusso si accaniscano a dichiarare che la sconfitta di Berlusconi e del centrodestra è il frutto di una forte opposizione e anche delle numerose lotte, mobilitazioni e scioperi dei mesi trascorsi, sappiamo infatti tutti benissimo che se la speculazione finanziaria non avesse puntato al “bersaglio grosso”, prendendo al volo la sconfitta dell'asse Gheddafi-Berlusconi, in seguito alla guerra libica, e con obiettivo diretto la moneta unica, e se, in particolare, le azioni dello stesso premier non fossero andate a picco rapidamente, minacciando di scendere nella voragine di una deriva fallimentare, il nostro Berluska sarebbe di certo ancora lì, con buona pace di tutti quelli che ieri pensavano di avere vinto di nuovo la Coppa del Mondo.

Abbiamo in compenso vinto davvero la coppa FIFA, perché la vera fifa non cesserà, con il panico di restare strozzati dal debito, dalla speculazione ma, ancor di più, dalle politiche di assalto e saccheggio ai beni pubblici, e con le tasse che saranno sicuramente incrementate come sempre ai danni dei “soliti noti”, ormai spinti per altro sull'orlo del fallimento, oltre che di una crisi strutturale di nervi.

C'è un “bicchiere” italiano che è ormai colmo a metà. Chi lo vede mezzo vuoto non può che rimarcare la cocente sconfitta della democrazia italiana, incapace prima di produrre un governo credibile, forte ed autorevole che fosse in grado di mettere in atto politiche convincenti e soprattutto efficienti su scala nazionale, e del tutto impotente, poi, di mettere in campo iniziative internazionali mirate a valorizzare il nostro ruolo nel Mediterraneo.

La sconfitta dell'Italia, e non solo di Berlusconi, è iniziata infatti con il conflitto libico e con la nostra incapacità di svolgere un adeguato ruolo di mediazione che consentisse da una parte di evitare la guerra, e dall'altra di avviare e portare a termine un cambio di regime in Libia nel modo più indolore possibile, e soprattutto tale da salvaguardare i nostri interessi non solo commerciali ma anche politici e culturali nell'area del Mediterraneo. Con un nostro calo di credibilità e di potenza l'attacco speculativo è penetrato nel sistema italiano come nel burro.

Con l'arrivo di Monti, evidentemente, L'Italia viene “commissariata” forse per la prima volta da quando da noi esiste una democrazia e una Repubblica, tutto questo naturalmente con il valido “aiuto” di un Presidente della Repubblica che alcuni oggi celebrano come “salvatore della patria” ma che, piuttosto, è stato il primo a sostenere una guerra rovinosa (come d'altronde fece anche il suo predecessore ex premier ed ex compagno di partito: D'Alema, con un'altra guerra che preparò la sconfitta del centrosinistra nel 2001).

Purtroppo le vecchie scuole dei partiti comunisti insegnavano di più a “servir tacendo” che a salvaguardare l'amor di Patria, e, ovviamente, dei suoi patrioti. Quando si cambia bandiera senza avere cambiato mentalità, il risultato, poi, resta lo stesso.

Quindi il “vuoto” del bicchiere è il vuoto della nostra democrazia e anche di una opposizione incapace di proporsi prepotentemente come alternativa immediata, e, data la crisi di fiducia, sicuramente vincente. Perché? Perché la sinistra o meglio, quel Socialismo che nel mondo e in Europa contrasta le politiche neoliberiste non esiste in Italia, concretizzato in un partito di massa.

Esiste piuttosto un partito di pseudopposizione che è tenuto in piedi più o meno da una comunanza di interessi territoriali e clientelari i quali, nell'insieme, non hanno né la forza e nemmeno il coraggio di esporsi al punto tale da creare una alternativa di sistema. Possono solo mettere delle toppe, ed hanno per questo la loro stoffa, ma non hanno né l'inventiva e tanto meno l'intraprendenza del sarto che sa creare un vestito ex novo e su misura. Hanno dunque bisogno della creazione prêt-porter, messa in atto da un centro di progettazione su scala industriale, dal gotha dell'apparato finanziario dominante su scala globale.

Questa volta, però, i "sacerdoti" del monetarismo neoliberista globalizzato hanno dovuto fare intervenire direttamente un loro rappresentante, perché la crisi di fiducia nella politica autoreferenziale è tale ormai in Italia che, altrimenti, il rischio “rivolta” sarebbe stato sempre più elevato (vedasi 15 Ottobre, unica piazza Roma con scontri violenti e distruttivi, nati con provocazioni mirate, ma cresciuti con un contagio reale).

E' questa è forse la parte piena del “bicchiere”, se infatti si fa fare il lavoro di un “vescovo” ad un “cardinale” con ambizioni “papali”, vuol dire che anche la corte “ecclesiale del Dio denaro” non è poi così forte come sembra.

Che fare?

Due cose che credo siano anche la base per un programma credibile di una vera Sinistra Socialista.

In primo luogo, opporsi e vigilare, essendo preparati sia ad un lavoro di attenta critica politica dell'operato del governo tecnocratico che si sta prefigurando all'orizzonte, sia, in secondo luogo, a contestarne duramente l'operato evitando che la tensione sociale scenda quando e se certi sindacati e certe forze politiche abbracceranno “mortalmente” quello che riterranno il “loro” male minore.

La nostra deve essere una opposizione vigile ma non fine a se stessa, cioè non meramente autopromozionale, ma volta a smascherare e denunciare false prospettive di progresso, confinate esclusivamente al riaccreditamento del sistema economico italiano nel mercato speculativo.

Se i costi della politica non saranno drasticamente ridotti, se le spese militari non caleranno consistentemente, se saranno riproposte tasse sul diritto di abitare e sulla necessità di avere carburante per spostarsi e lavorare e nessun vero argine vedremo posto alla precarizzazione e alla deriva distruttiva dei diritti dei lavoratori, nessuna tassazione sulle speculazioni finanziarie e sulle rendite dei grandi capitali speculativi, non ci potrà né dovrà essere alcun margine per sostenere un “rifiatamento”, e non un vero risanamento, di un sistema che è destinato a perdurare senza mutare la sua sostanza.

Ogni volta invece che esso sarà costretto ad aprire qualche crepa, e a fare qualche concessione per poter almeno “rifarsi una faccia” di credibilità di fronte all'opinione pubblica, dovremo lavorare per aprire le crepe e farle diventare voragini.

Siamo consapevoli che oggi esiste un conflitto di livelli in corso, tra chi continua a far parte di società civili e ad esercitare politiche nazionali, e chi, invece, agisce utilizzando grandi capitali ai quali la globalizzazione dei processi bancari e finanziari ha dato l'opportunità di convergere in maniera transnazionale e di autoregolarsi bypassando sia le istituzioni nazionali che le deboli o inesistenti regole internazionali.

Ma solo gli inavveduti possono credere che, dietro tutto ciò, non si celi un vero e proprio conflitto di classe, e che questo non faccia parte di una “ristrutturazione globale” della popolazione mondiale in base a rigidi parametri ancor più gerarchici e classisti rispetto a quelli del passato.

Perché tale intento prelude alla stabilizzazione di una casta dirigenziale padrona dell'economia e degli strumenti finanziari globali, alla strutturazione di una classe di funzionari politici obbedienti in grado di applicarne le direttive territorialmente, ad una massa di consumatori ridotti alla condizione di polli in batteria più o meno funzionalmente esecutori di protocolli tecnici applicati ai vari settori civili per ottimizzare il profitto del vertice della gerarchia di potere tecnocratico e finanziario globale e, in ultima istanza, ad una massa sterminata di poveracci destinati alla “prescindenza” che, nel migliore dei casi, potranno ambire al ruolo di “massa di manovra” e, nel peggiore, dovranno rassegnarsi alla marginalizzazione e alla emarginazione, con le guerre, malattie endemiche, contaminazioni ambientali e penurie di alimenti e servizi che ne seguono.

Ovvio che, in tale contesto globalizzato, non solo resta necessaria ad urgente una vera lotta di classe globalizzata, ma, ancor di più una coscienza di classe che la propizi su scala planetaria.

I nuovi strumenti di comunicazione (che non ci dimentichiamo sono però anche di controllo) potranno sicuramente favorirne l'incremento, specialmente considerando che essi ormai varcano i confini del cosiddetto “primo mondo”, il più privilegiato.

Ma non basteranno, si deve infatti anche organizzare una lotta di classe globale.

Il 15 ottobre ne è stato l'esordio, un buon esordio, specialmente considerando che le manifestazioni si sono svolte in molti paesi del mondo e anche nel cuore della potenza in cui il gotha finanziario si organizza di più e meglio: gli USA.

Non per niente la reazione politica, tecnocratica e “militare” è stata più dura ove la partecipazione è stata più massiccia e con prospettive crescenti.

In Italia e in Grecia, di fronte ad una reale prospettiva di allargamento e di contagio dello scontro di classe, si è provveduto immediatamente a creare una immediata resistenza repressiva e un conseguente altrettanto tempestivo rimedio “tutelare”, con governi calati direttamente dall'alto che però non sono il risultato di una efficace capacità di penetrazione nell'ambito politico, ma risultano piuttosto essere la conseguenza di un intervento resosi necessario ed impellente proprio perché l'apparato politico fiduciario non è più capace di assicurare la sua efficienza, e anche di poter “illudere” e manovrare le masse, riportandole al ruolo della pollificazione originaria a cui sono destinate.

Questo è un segno di speranza non trascurabile che non può che indurci ad insistere su vari e progressivi livelli.

  1. Continuare ad elaborare contenuti che favoriscano la crescita della coscienza di classe a livello globale

  2. Incrementare il coordinamento transnazionale con i gruppi in lotta, agendo a livello nazionale per la strutturazione di un organismo politico del tutto svincolato dalle logiche di appartenenza e dalle strategie di basso calibro nazionali utili solo alla conquista di ruoli di “vassallaggio politico”, il quale sappia efficacemente porre in primo piano le questioni cruciali della lotta di classe globale e scendere in campo quando si ripresenteranno valide occasioni come quella del 15 Ottobre.

  3. Strutturarsi, nazionalmente e globalmente in maniera compatta per essere inclusivi ed incisivi, non più preda di divisioni ideologiche o di risentimenti settari.

  4. Agire in tutti i luoghi in cui il conflitto di classe matura e cresce di più, portandolo a compimento, prima che i “valvassini” sindacali e politici dell'impero tecnocratico intervengano a stabilizzarlo.

  5. Svolgere infine un ruolo essenziale e formativo di sviluppo della coscienza politica e civile globale nei confronti delle nuove generazioni, indispensabili in tale lotta di classe globale, proprio perché maggiormente esposte al processo di marginalizzazione e perché più vitali nella capacità di impegnarsi e di mobilitarsi. Non dobbiamo lasciarle in preda alla disperazione o ad una sterile forma di lotta meramente distruttiva ed autolesionista.

I punti menzionati, per esigenze grafiche, si leggono in verticale, ma la loro estrinsecazione va letta in senso orizzontale. Non vi è in essi una progressione cronologica ma un perfetto sincronismo. Tutti vanno attuati in contemporanea. Perché è lottando e contemporaneamente organizzandosi che matura e cresce la coscienza di classe.

Questa panoramica non può che concludersi con un sonoro e deciso ESTOTE PARATI!

Siamo pronti, intellettualmente, fisicamente, socialmente, politicamente a scendere in campo in ogni luogo ed in ogni momento, ovunque nel mondo, a partire dalla casa dei nostri padri: la Patria Socialista, affinché non vi sia più nemmeno un angolo remoto della nostra terra in cui non brilli la speranza e la fede nel sole di un avvenire migliore.

C.F.

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1 commento:

Carlo Felici ha detto...

Il "SIAMO" conclusivo non è un presente indicativo ma un presente congiuntivo esortativo
C.F.

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