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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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sabato 24 marzo 2018

Lotte (e Autolesionismo) di classe di Norberto Fragiacomo





Lotte (e Autolesionismo) di classe
di
Norberto Fragiacomo


Sto pian piano leggendo, nei ritagli di tempo concessimi dal lavoro, un’opera di Domenico Losurdo dedicata alla lotta di classe[1].

Senza perdersi in convenevoli l’illustre cattedratico polemizza sin dalle primissime pagine con i pensatori (quasi tutti transfughi del marxismo convertiti all’idea liberale) che, per compiacere chi li foraggiava, già negli ultimi decenni del Novecento diedero per definitivamente morta la lotta di classe. L’autore ha buon gioco nel dimostrare il contrario, partendo da una frase del Manifesto del ’48 che del libro (e del ragionamento losurdiano) costituisce quasi l’architrave: “La storia di ogni società sinora esistita è la storia delle lotte di classe”.

Ciò che viene negato non è il fatto, evidentissimo, che la suddetta lotta alterna fasi acute ad altre di relativa stasi, né che il livello di consapevolezza diffuso fra i “combattenti” oscilla a seconda delle epoche storiche (l’ascesa è in genere lenta e contrastata, i crolli vertiginosi): si intende piuttosto contrastare la sicumera di quanti, per ragioni ideologico-propagandistiche, pretendono che assieme alla Storia il capitalismo trionfante abbia schiantato anche la lotta e le motivazioni oggettive e soggettive che ne stanno alla base. Quello dello scontro – aperto o latente - fra le classi è un fenomeno destinato a riprodursi fino a quando queste ultime esisteranno: onestamente la tesi di Losurdo mi sembra inconfutabile.

lunedì 19 marzo 2018

QUALE FUTURO PER POTERE AL POPOLO ? di Stefano Santarelli






QUALE FUTURO PER POTERE AL POPOLO ?

di Stefano Santarelli



Si è tenuta ieri in una Roma sommersa da una pioggia battente ed asfissiante l’Assemblea Nazionale di Potere al Popolo. Una Assemblea importante e decisiva per il futuro di questa lista nata per rappresentare una sinistra in crisi ma che cerca disperatamente di uscirne.
Si è svolta al Teatro Italia che ha una capienza di 800 posti ed era completamente pieno con circa 1.000 partecipanti (per la cronaca il Brancaccio ha una capienza di 1.300 posti).
Una grande partecipazione quindi per analizzare il risultato elettorale del 4 marzo e decidere le prossime iniziative.

sabato 17 marzo 2018

L'UOMO AL CENTRO DI BEPPE GRILLO




di Lorenzo Mortara





L’uomo al centro della società. È questa l’idea di Beppe Grillo, espressa nel post Società senza lavoro, con tanto di Quarto Stato di Pellizza da Volpedo a fargli da sfondo.

Scrive Beppe sul suo blog:


La nostra era è senza precedenti proprio per la sovrabbondanza di merci e servizi che abbiamo. Abbiamo una capacità produttiva che è di gran lunga superiore alle nostre necessità… 
Siamo davanti ad una nuova era, il lavoro retribuito, e cioè legato alla produzione di qualcosa, non è più necessario una volta che si è raggiunto la capacità produttiva attuale… 
Si creano posti di lavoro per dare un reddito a queste persone, che non avranno un posto di lavoro, ma un posto di reddito, perché è il reddito che inserisce un cittadino all’interno della società.. 
Una società evoluta è quella che permette agli individui di svilupparsi in modo libero, generando al tempo stesso il proprio sviluppo. Per fare ciò si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita. 
Soltanto così la società metterà al centro l’uomo e non il mercato.
 
Come non essere d’accordo con queste parole di buon senso? Il reddito per diritto di nascita a cui si riferisce Grillo, è il reddito di cittadinanza. Epperò il reddito di cittadinanza mette al centro l’uomo? O non è la riconferma che al centro della società ci sta sempre e ancora di più il mercato? Se la capacità produttiva è senza precedenti, perché mai il mio reddito minimo di diritto dovrebbe essere di soli 780 euro, cioè di poco più di due briciole di quella immensa produzione? Se la capacità produttiva produce in abbondanza, l’abbondanza dovrebbe essere il livello minimo di partenza, non dovrebbe nemmeno esserci il ricatto di toglierti tale diritto dopo due rifiuti di proposte di lavoro, perché dove non serve più lavorare per produrre abbondanza di merci, non serve nemmeno rifiutarsi di farlo.
 
Perché allora di fronte a tanta abbondanza produttiva, così tanta penuria di diritto minimo? Perché il reddito di cittadinanza, decentra appunto l’uomo rispetto ai centri produttivi. L’uomo viene tenuto lontano, in disparte, isolato rispetto alle grandi fabbriche automatizzate che restano in mano ai padroni, cioè al mercato. È proprio per questo che deve comunque bussare alla loro porta, senza rifiutare più di due volte l’offerta di lavoro, se non vuol perdere il diritto a un minimo di briciole. Il reddito di cittadinanza si subordina così al mercato. Una società che mette al centro l’uomo, non lascia una capacità produttiva così abbondante al mercato, gliela toglie, espropriandola, dando, al massimo, un reddito di cittadinanza ai padroni, orfani del profitto. Dopo tanto sfarzo, un po’ di miseria, anche se non più necessaria, non potrebbe fargli che del bene

Perché in una società con al centro l’uomo non si producono più merci. Dove si producono merci, infatti, il lavoro non serve a «produrre merci e servizi per soddisfare i bisogni dell’uomo», come scrive Beppe Grillo. È un errore. In una società capitalistica, il lavoro produce merci e servizi per soddisfare il profitto dei padroni. Finché ci sarà quello, l’uomo non avrà mai né reddito né cittadinanza.



venerdì 16 marzo 2018

SULLA POVERTA' di Giandiego Marigo




SULLA POVERTA'  
parte I
di Giandiego Marigo 


Purtroppo quando si parla di povertà il rischio di ricadere in luoghi comuni è di una facilità assoluta. Per esempio la dichiarazione sin troppo ripetuta del rapporto crudele 1% - 99%, oppure la dichiarazione secondo la quale 8 persone detengono circa metà della ricchezza mondiale (argomento che riprenderò in chiusura). Entrambe sono vere, purtroppo, e nel medesimo tempo tempo non dicono nulla che non sia retorico e ripetuto a iosa. Ma soprattutto sono ripetute in modo inutile ed impotente al modificare e cambiare alcunché.


mercoledì 14 marzo 2018

POTERE AL POPOLO: UN CONTRIBUTO PER L'ASSEMBLEA DEL 18 MARZO di Maurizio Zaffarano






POTERE AL POPOLO: 
UN CONTRIBUTO PER L'ASSEMBLEA DEL 18 MARZO
di Maurizio Zaffarano


Un commento sulle elezioni del 4 marzo e sulle possibili prospettive future di Potere al Popolo 



Il primo inequivocabile dato che è emerso dalle elezioni del 4 marzo è quello della rabbiosa e rancorosa richiesta di cambiamento del popolo italiano. Lega e Cinque Stelle raggiungono insieme circa il 50% dei voti, se ad essi sommiamo altre forze di opposizione radicale o antisistema, di destra e di sinistra che non hanno superato il quorum emerge che la larga maggioranza di chi si è recato alle urne ha espresso questa richiesta. E' il risultato di un Paese da almeno trent'anni in inesorabile declino in cui la macelleria sociale e la cancellazione dei diritti conquistati attraverso decenni di lotte - in contemporanea allo smantellamento della struttura produttiva italiana innescato dalla globalizzazione capitalistica, dai diktat liberisti della UE e dalla partecipazione all'euro - si è innestata su di una struttura politico-burocratico-amministrativa ed imprenditoriale che è restata arretrata, inefficiente, corrotta, impregnata di familismo, collusa assai frequentemente con le mafie. 
E' sufficiente, ahimé, girare in questi giorni per le strade di Roma devastate dalle buche per qualche giornata di neve e pioggia, pensare alle condizioni delle zone terremotate del centro Italia tormentate dalla neve e dal gelo, trovarsi nel girone infernale di un Pronto Soccorso o alle prese con le bibliche liste di attesa delle prestazioni sanitarie pubbliche per toccare con mano la realtà di un Paese che non è più in grado di far fronte nemmeno alle sue funzioni e necessità fondamentali. 
La condizione reale del Paese è quella che emerge da tutti gli indici statistici: milioni e milioni di persone sotto la soglia di povertà e che hanno dovuto rinunciare a curarsi, disoccupazione, precariato, invecchiamento, mortalità e nuovi nati, abbandoni scolastici e universitari, mezzogiorno, deindustrializzazione delocalizzazioni e shopping di aziende nazionali da parte di soggetti stranieri e si potrebbe andare avanti a lungo. 
Rispetto a questa drammatica condizione reale non vengono più accettate le vecchie rappresentazioni e narrazioni politiche: centro sinistra e centro destra, la promessa che stiamo uscendo dalla crisi per uno zero virgola in più qui o li, che abbiamo bisogno di più Europa, che l'immigrazione è solo una risorsa e non anche un ulteriore problema sociale, che i problemi si risolvono con i bonus o tagliando qualche tassa. 
Da qui la crisi irreversibile della “vecchia” politica del Partito Democratico di Renzi (ma anche dei trasfughi di D'Alema e Bersani) e di Forza Italia di Berlusconi. Questo ce l'avevano detto anche le elezioni amministrative degli ultimi anni e soprattutto il referendum costituzionale del dicembre 2016 (nel quale è stato determinante il ruolo di Lega e 5 Stelle) laddove i cittadini avevano rifiutato esplicitamente la “normalizzazione” istituzionale in coerenza con la struttura del “sistema”, propagandata come indispensabile dall'establishment politico-economico e dal mainstream informativo. 
Da qui il fatto che la disperazione montante faccia sì che ci si aggrappi a qualunque promessa di cambiamento. Se vogliamo anche il 40% di Renzi alle Europee del 2014 poteva essere letto così: la percezione del cambiamento attraverso un tangibile provvedimento, ancorché inefficace e iniquo nell'esclusione proprio dei più poveri, a favore dei lavoratori di livello medio-basso quale il bonus degli 80 euro, la prima concessione sociale dopo anni e anni di macelleria sociale. Dopo sono venuti jobs act, buona scuola e la perpetuazione delle politiche di austerità e dunque il crollo del renzismo. 

lunedì 12 marzo 2018

IL FALLIMENTO DI SINISTRA RIVOLUZIONARIA: UN’ANALISI MARXISTA


di Lorenzo Mortara






Sinistra Rivoluzionaria (SR), la coalizione nata dall’unione del Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) e da Sinistra Classe Rivoluzione (SCR), due costole trotskiste di Rifondazione Comunista, ha racimolato a malapena lo 0,089% alla Camera e lo 0,108 al Senato, per un totale di 32˙527 voti: una miseria, che unita alla bancarotta senza appello di Potere al Popolo (PaP), costituisce l’intero disastro della sinistra radicale in questa tornata elettorale.

venerdì 9 marzo 2018

LA SINISTRA SI E’ ESTINTA? di Norberto Fragiacomo






LA SINISTRA SI E’ ESTINTA?

Riflessione “tiepida” su una scomparsa (niente affatto misteriosa) denunciata dopo il 4 marzo

di
Norberto Fragiacomo



Il più patetico De profundis per la Sinistra antisistema è stato intonato domenica notte da quattro amichevoli compagni al bar (per la precisione: in un locale di S. Lorenzo a Roma): il giubilo non artefatto di Viola Carofalo e i bizzarri cori di vittoria degli attivisti di Potere al Popolo hanno meravigliato persino il cinico maratoneta Mentana.

Come interpretare questa sorta di “allegria di naufragi”? Qualche buon bicchiere di vino dei Castelli aiuta ma non basta, e la spiegazione non può essere individuata nel fatto che le prime proiezioni assegnavano a PaP un 1,6% meno deprimente del misero 1-1,1% effettivamente ottenuto: già in quel momento l’accesso al Parlamento appariva irrimediabilmente precluso. Le vere ragioni di tanto gaudio sono state parzialmente indicate dalla sorridente “capo-partito”: un pugno di ragazzi napoletani partiti da un semisconosciuto centro sociale è riuscito in meno di tre mesi a prendersi il Brancaccio, raccogliere una marea di firme, presentare la lista in tutte le regioni italiane e guadagnarsi qualche centinaio di migliaia di voti d’opinione. Avrebbe potuto aggiungere la giovane partenopea, fosse stata più maliziosa: siamo stati capaci di coinvolgere nel progetto partiti autentici (seppure in disfacimento) senza lasciarcene fagocitare, ed anzi relegandoli a portatori d’acqua. A rivederla così, la scenetta perde un po’ del suo tono parodistico, esprimendo piuttosto il legittimo orgoglio di chi – come i diecimila a Cunassa – ha tenuto bene il campo in mezzo alla disfatta generale. Legittimo orgoglio misto a sollievo: la reazione liberatoria rivela ciò che forse era meglio non emergesse – il timore, serpeggiante fino all’ultimo, di andare molto, ma molto peggio…

Resta però un dato indiscutibile: per la Sinistra c.d. radicale la sconfitta del 4 marzo è più pesante – lo dicono i numeri – di quelle sofferte nell’ultimo decennio da Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile[1] e via dicendo. Pesante e (forse) definitiva.

lunedì 5 marzo 2018

UN PRIMO BILANCIO ELETTORALE di Stefano Santarelli







UN PRIMO BILANCIO ELETTORALE
di Stefano Santarelli




In questa breve riflessione scritta a caldo non si può non riconoscere che ci siamo trovati di fronte ad una brutta campagna elettorale funestata dall'attentato razzista di Macerata e dalle preoccupanti provocazioni fasciste. Si è votato con una pessima legge elettorale e per l'ennesima volta ci troviamo di fronte ad un parlamento di nominati, costituito da dei perfetti sconosciuti, che fa rimpiangere addirittura la Camera dei Lord inglesi la quale nella sua composizione è più democratica.
Ed in questo contesto bisogna sottolineare che francamente nessun osservatore politico si aspettava una grande partecipazione elettorale come quella che si è vista ieri. Infatti ha votato il 73% dei cittadini, pochi punti percentuali in meno rispetto al 76,4% registrato alle politiche del 2013, anche se è bene ricordare che in quell'occasione le urne furono aperte per due giorni, mentre nelle Europee del 2014 i votanti sono stati soltanto il 58,7% e nel Referendum costituzionale del dicembre del 2015 il 65%.
Insomma si è ribaltato il trend di aumento dell'astensionismo culminato con le elezioni siciliane dello scorso novembre (46,76%) e di quelle di Ostia, un municipio romano che ha quasi gli stessi abitanti di una città come Venezia, (36,1% e nel successivo ballottaggio 33,60%).
Mi scuso per avere citato queste aride cifre, ma sono fondamentali per comprendere che questa volta gli elettori hanno sentito la necessità di votare e di dare un segnale di cambiamento alla politica italiana.
Ma questa volontà di cambiamento non è coincisa con un significativo risultato elettorale di quello che resta della sinistra italiana, tutt'altro. Questa volontà di cambiamento si è espressa invece attraverso il trionfo elettorale del M5S con quasi il 33% e della Lega che con il suo 17,4 % guida oggi il Centro Destra. Infatti oggi l'ottantunenne Berlusconi è costretto a passare il testimone al giovane Salvini che ha trasformato la vecchia Lega Nord in un partito presente oramai su tutto il territorio nazionale. Gli elettori però si sono scordati che la Lega non solo ha già guidato il nostro paese, ma ha avuto un ruolo di primo piano nel fare passare la controriforma pensionistica, la precarizzazione selvaggia e la distruzione della scuola pubblica.

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