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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 14 dicembre 2011

L’USCITA DALL’EURO NELLA CORRISPONDENZA COI LETTORI




L’articolo La miseria dell’economia del compagno Riccardo Achilli, ha avuto una risposta significativa sul blog amico e antesignano di questo, Il marxismo libertario, alla quale ci sembra giusto rispondere, tanto più che alla risposta dell’autore, si aggiungono un ulteriore scambio di battute tra l’autore e il lettore, le riflessioni di un altro collaboratore di questo blog, il compagno Lorenzo Mortara e la chiusa finale dello stesso Achilli. La questione, insomma, è di massimo interesse e speriamo di avere altre occasioni per approfondirla. (La Redazione)


Scrive il lettore e compagno Shakti Asclepio (appena corretto dai refusi):

Ottimo articolo, purtroppo il paragrafo dedicato alle proposte per risolvere il problema mi sembra un po’ esiguo. Dopo la scientificità mostrata nell’analisi ricca di dati e fonti sembra semplicistico ridurre le proposte ad un problema così complesso dicendo che 3-4 Paesi dovrebbero seguire il modello BRIC. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, è così semplice convincere politicamente 4 Paesi dell’eurozona a fare ciò? Come marxisti bisogna essere concreti e realistici sia nell’analisi sia nelle proposte operative altrimenti facciamo fantascienza. Dal punto di vista economico poi, non porti dati che dimostrino che il modello BRIC vada bene per l’Italia e i paesi mediterranei, non dico che non lo sia ma devi dimostrare tecnicamente quello che dici. Penso che così su due piedi al fine di affrontare l’emergenza politica-economica in Italia sia più proficuo far pagare la crisi ai grandi capitali mentre troviamo e bilanciamo la soluzione più giusta per il Paese al fine di uscire dal meccanismo del debito pubblico-signoraggio bancario, così quando sarà il momento del default gran parte del danno sarà già stato accusato dalle classi sociali dei grandi borghesi e non dai lavoratori. Altrimenti rischiamo di far fare all’Italia la fine dell’Argentina, non mi voglio immaginare cosa accadrebbe se lo Stato non pagasse lo stipendio agli statali e i lavoratori non potessero più andare in banca per prelevare il salario e i risparmi. Come marxisti dobbiamo trovare i percorsi migliori per i lavoratori, non per le nazioni e tanto meno creare una catastrofe che i grandi detentori dei patrimoni possono permettersi di sostenere. La crisi deve pagarla chi l’ha causata.



Di seguito trovate la risposta del compagno Achilli.

Compagno Asclepio, Ti ringrazio intanto per il commento. Naturalmente non penso affatto che l’Italia debba seguire un modello simile a quello dei BRIC. Credo però che, come ho cercato di dimostrare nell’articolo, non vi sia alternativa ad una dichiarazione immediata di default, perché altrimenti non faremmo altro che seguire le politiche di macelleria sociale di Monti, senza poi evitare che la situazione “argentina” arrivi comunque, nel momento in cui la dichiarazione di default sarebbe non più evitabile, ma arrivandovi con un proletariato ulteriormente indebolito ed impoverito dalla macelleria sociale che nel frattempo si sarebbe sperimentato, quindi con effetti sociali ancor più devastanti. Credo inoltre che occorra uscire dall’euro, perché l’euro è una costruzione monetarista ad uso e consumo dei mercati finanziari, ed a danno del proletariato. Uscendo dall'euro, si dovrebbe inoltre ripudiare il debito, iniziando da quello estero. Detto questo, però, occorre essere realisti, e sapere che simili soluzioni comportano una fase iniziale di gravissima recessione: la fuga dei capitali, associata alla fiammata inflazionistica legata alla reintroduzione di una valuta nazionale molto debole, l’impennata più che probabile dei tassi di interesse, farebbero pagare al proletariato italiano, in un contesto ancora capitalistico, un prezzo durissimo dalla decisione di dichiarare default ed uscire unilateralmente dall'euro. Per ridurre questo prezzo, e renderlo quindi meno pesante, è opportuno che l’uscita dall’euro sia fatta, in modo contemporaneo, da almeno tutti i Paesi PIIGS (quindi anche da Spagna, Portogallo, Grecia ed Irlanda, oltre che dall’Italia) per costituire, nell’immediato, un’unione monetaria “debole” in grado di fare concorrenza all’area “forte” dei Paesi della residua zona-euro (ovviamente una concorrenza esercitata dal lato dei costi, tramite i meccanismi di svalutazione competitiva del tasso di cambio). Ciò renderebbe molto meno pesante la recessione “da uscita”, perché le esportazioni in crescita verso l’area-euro, ne ridurrebbero l’impatto, perché un’azione congiunta di tutti i Paesi PIIGs per rinegoziare il loro debito estero sarebbe rinforzata, perché la fuga di capitali sarebbe molto meno grave. È però del tutto evidente, e forse dall’articolo ciò non traspare, che tutto quello che sto descrivendo non è la soluzione, è soltanto un tampone, per ridurre nell’immediato il costo da pagare per uscire dall’euro e ripudiare il debito estero. Sarebbe soltanto, come dire, una necessaria ma ovviamente del tutto provvisoria “benda” da applicare alle ferite. La soluzione vera non può che risiedere in un cambiamento radicale dei rapporti sociali di produzione, in direzione del comunismo (e per quanto mi riguarda personalmente, tramite meccanismi di tipo libertario, che sin dall’inizio diano protagonismo dal basso al proletariato, tramite l’autogestione, meccanismi partecipativi di programmazione economica, i soviet, ecc.)
Vorrei però che fosse chiaro che io vedo questo processo in due fasi: nella prima fase occorre tamponare i danni derivanti dalla necessità improrogabile di dichiarare default prima che Monti faccia dell’Italia ciò che Papandreou e Papademos hanno fatto della Grecia, uscire dall’euro e ripudiare il debito estero. In una seconda fase, occorre naturalmente lottare per uscire dal capitalismo e proporre un paradigma rivoluzionario. Ma questa lotta rivoluzionaria la faremo se saremo ancora vivi. Si tratta in qualche sorta di uscire dalla situazione attuale tramite una politica basata in primis su obiettivi minimi immediati, ed in secundis su obiettivi radicali di medio termine. La rivoluzione non è una passeggiata, per dirla con una frase fatta, e richiede i suoi tempi di maturazione, mentre nel frattempo si lotta per obiettivi più immediati e ovviamente transitori, che rimangono, per il momento, nell’ambito del capitalismo (in fondo tale lezione ci proviene da Trotsky).


Ancora il compagno Shakti Asclepio:

Scusami ma ancora non concordo, perché anche tu ammetti che l’uscita dall’euro sarebbe rischiosa e costosa per la classe lavoratrice. Ovviamente anche la macelleria sociale di Monti lo è. Come dire che siamo tra l’incudine e il martello. Io credo che convincere 4 paesi a farli uscire contemporaneamente dall’euro (e non è detto che sia la cosa teoricamente più giusta, sostituire un’unione monetaria con un altra non è molto internazionalista) non sia così semplice da attuare politicamente. Inoltre penso che dichiarare default con 1900 miliardi di debito o dichiararlo (ipotizzo a caso) con 1000 dopo aver messo tutte quelle cosette per far pagare prima le classi sociali alto borghesi sia una cosa diversa. Cioè tu dici che se continua il governo Monti arriveremo al default con la classe lavoratrice stremata dalle finanziare (e io sono d’accordo con te su questo) però io dico che se al posto di Monti ci fosse qualcuno che ci porta gradualmente al default facendoci arrivare la classe borghese stremata sarebbe meglio. Essendo veramente realisti; nel presente mi sembra già difficile che un partito come il PD vada al governo, pensa un po’ quanto sia difficile far sì che la Grecia (con l’attuale governo che si trovano) Spagna (idem) e Portogallo e Italia si accordino in modo “sano” come vorresti te per fare questa uscita dall’euro. Con le forze, la consapevolezza e la bassissima egemonia culturale della vera sinistra è più probabile che si formino regimi autoritari fascistoidi, o comunque rischiamo di seminare in terreno arido. La tattica rivoluzionaria va calibrata a seconda del contesto socio economico, dei rapporti di forza ma anche della consapevolezza culturale delle classi sociali. Concordo con il fatto che la rivoluzione non sia una passeggiata, ma se non si è in grado di fare la passeggiata si è in grado di fare la rivoluzione? Per essere realisti dobbiamo fare un passo alla volta e contribuire innanzi tutto ad un processo unitario delle forze anticapitaliste per fronteggiare l’immediato e creare consapevolezza dei lavoratori. Se i lavoratori si dovessero trovare a pagare il default con l’egemonia culturale delle destre ci ritroveremmo in una brutta situazione, da qui l’impossibilità di dichiarare immediatamente default ma creiamo le condizioni per far pagare il debito a chi l’ha creato, che sempre lotta di classe è, e poi prenderei come modello l’Equador e l’Islanda che in parte non hanno pagato il debito e hanno costituito processi (l’Islanda) di democrazia dal basso per risolvere la questione. Per l’Italia la situazione è più complessa per via dell’euro e per l’enormità del debito (18-20 volte quello argentino?) se è possibile fare tutto in una “manche” ben venga altrimenti possiamo graduare il processo come dicevo. In ogni caso bisogna avere accortezza poiché il problema del debito più che dal capitalismo in senso lato è dato dal problema del signoraggio bancario, tema sfruttato anche dalla destra populista, come lo è il problema dell’euro e dell'Europa. Anche per questo motivo considero sia più tattico dire che la crisi “deve pagarla chi l'ha creata” e non che “dobbiamo uscire dall?Europa”, perché la prima frase contiene in sé il concetto di lotta di classe. Il nostro primo problema è ottenere consapevolezza di classe e analisi materialistica della storia che persino nei movimenti stenta ad affermarsi.



Risponde per la seconda volta Riccardo Achilli

Premesso che non vedo alcuna incompatibilità fra dichiarare "il debito lo paghino le classi borghesi" e dichiarare "usciamo dall’euro", ma anzi a mio avviso le due cose sono strettamente consequenziali (perché l’euro stesso è una creazione della borghesia) non penso che si possa limitare l’antagonismo sociale ad un solo obiettivo, ovvero far pagare la borghesia nazionale, per il semplice fatto che “chi ha creato il debito” è in larga misura il sistema finanziario internazionale, i grandi operatori finanziari che agiscono su scala globale, favoriti proprio dal meccanismo dell’euro, che ha consentito loro di disporre di un mercato finanziario di scala europea, senza più rischi di cambio o restrizioni ai movimenti di capitale. Non credo che si possa creare coscienza di classe semplificando i problemi, ovvero limitandosi a dire “che paghi la borghesia”. Per creare coscienza di classe, occorre presentare il problema nella sua interezza, e ciò include inevitabilmente anche l’esistenza dell’area euro, e il suo smantellamento progressivo. Certo che è difficile politicamente che 5 Stati escano insieme dall’euro, ma è ancora più irrealistico, in assenza di un partito comunista unito e forte, pensare di far pagare la borghesia nazionale. Non ci stanno riuscendo nemmeno in Grecia, dove pure la sinistra antagonista è più forte e radicata che da noi, figuriamoci se ci riusciamo noi. Vogliamo creare coscienza di classe? Benissimo, allora il problema va presentato nella sua interezza. Non c’è solo il problema di chi deve pagare il debito pubblico italiano, se il proletariato o la borghesia. Sarebbe molto riduttivo un approccio simile, e temo che ci condurrebbe diritti alla socialdemocrazia. C’è il problema che tale situazione è stata creata dalla finanziarizzazione dell’accumulazione capitalistica, di cui l'euro è una componente essenziale. Questa è la radice del dramma sociale che stiamo vivendo. E la coscienza i classe va creata portando la lotta alla radice del problema. Saluti comunisti


Aggiunge le sue riflessioni il compagno Mortara

Col compagno Achilli ne avevo già parlato in privato, ora ne parlo pubblicamente: l’idea della uscita a tappe dall’euro non mi convince molto, perché mi ricorda troppo la rivoluzione a tappe degli stalinisti, che altro non è che la controrivoluzione che procede a passo spedito. Il compagno Achilli, ovviamente, non è uno stalinista, tuttavia il mio istinto proletario mi dice che c’è qualcosa che non quadra nelle sue tesi.
Anzitutto uscire dall’euro, per i liberali, vuol dire Italia fuori dall’Europa, ma per noi però vuol dire almeno due cose, ovvero due opzioni: o esce la borghesia italiana dall’Europa, o ci esce il proletariato. È qui mi pare il dilemma: chi traghetterà l’Italia fuori dall’euro? Perché l’unica borghesia che possa traghettare fuori l’Italia dall’Europa è la borghesia tedesca, la quale può decidere qualora la situazione precipiti di parcheggiare momentaneamente la borghesia italiana nell’Europa di serie b. La borghesia italiana non uscirà mai dall’euro finché riuscirà a far pagare il debito ai lavoratori, cioè a intascare la quota che sui mercati finanziari le spetta dei profitti fatti coi 55 miliardi della manovra Berlusconi, più i 28 della manovra Monti. Se ci uscirà sarà perché schiacciata e battuta dalla borghesia tedesca. Ma in questo caso, per la borghesia italiana, significherà scaricare ancora di più le perdite sul proletariato italiano, non allearsi con le borghesie di Spagna Grecia e Portogallo. Perché proletari di tutti i paesi unitevi, suona bene, ma borghesie di quattro paesi unitevi, stona con il carattere “individualistico” della borghesia. La borghesia è sempre in guerra con le borghesie concorrenti e lo è tanto di più in tempi di crisi, quando come ha ricordato in maniera precisa e puntuale Achilli in un altro articolo – La premiata compagnia dei tecnici... – tende a chiudersi a riccio nel nazionalismo, tende cioè a separarsi non ad unirsi.
C’è un altro problema da considerare: ammettiamo per un attimo che la borghesia italiana voglia suicidarsi e uscire lei dall’euro. Le svalutazioni competitive, favorendo le esportazioni, anziché dirigersi verso una specie di Bric coi paesi PIIGS, si dirigerebbero immediatamente verso la Germania che comprerebbe praticamente gratis le “nostre” produzioni. In breve la “nostra” economia, dopo essere uscita dall’euro, nel giro di pochissimo si ritroverebbe integrata e dipendente come mai prima dall’Europa, riproponendo gli stessi problemi. Il che, è quello che sta succedendo all’Argentina, come registrano puntualmente i marxisti argentini in questo editoriale di El militante. L’argentina cioè, come l’Islanda, non son uscite dalla crisi, han solo preso un attimo fiato per rituffarsi più a fondo nella burrasca del capitalismo. Chi ha cantato troppo l’elogio dell’Argentina, vedi Barnard e soci, non ha fatto i conti con l’oste per troppa miopia. E l’oste è il capitalismo, e solo noi marxisti lo vediamo benissimo per quello che è.
Questo schemino evidentemente un po’ troppo statico, deve ancora essere inserito nel dinamismo della lotta di classe. Dobbiamo, cioè, vedere ancora come potrebbe muoversi il proletariato. Mi pare molto improbabile che il proletariato subisca a ripetizioni le cure da cavallo senza reagire. Già in Grecia abbiamo una notevole risposta, se ancora non ha dato grandi risultati, non credo sia dovuto alla mancanza di un partito comunista o all’isolamento, tutti questi fattori indubbiamente incidono, ma non bisogna dimenticare che il proletariato greco si trova addosso oltre agli artigli della borghesia greca ed europea, anche la zavorra delle burocrazie sindacali e degli stalinisti del KKE in particolare. Liberarsi di questi tangheri sarà un processo molto lungo e doloroso, e non bisogna aver troppa fretta di scoraggiarsi. L’aiuto ai greci può venire anche dal proletariato italiano che si sta incamminando nello stesso tunnel o dagli altri proletari che lo imboccheranno. Ma più di tutto l’aiuto può venire dalle contraddizioni stesse del sistema, che a furia di strozzare il proletariato, potrebbe finire impiccato lui con un crack che moltiplichi all’ennesima potenza le pressioni di oggi, scatenando la rivolta su scala almeno europea. In quel caso vedo due soluzioni possibili: o la rivoluzione proletaria sempre che sbuchi in tempo un partito oppure il riequilibrio dei rapporti di forza all’interno dell’unione con grandi conquiste del proletariato. Insomma l’uscita dell’euro, sotto il comando del proletariato, è l’entrata nel socialismo, un’unica tappa senza soluzione di continuità.
Nel frattempo però come ci comportiamo? Con le nostre solite rivendicazioni, aumento di salari, accorciamento dell’orario di lavoro, e nessun pagamento dei debiti. Naturalmente finché il proletariato non si muove difficilmente con le semplici parole d’ordine porteremo a casa granché, ma per dirla con Trotsky, non sono parole d’ordine sterili, ma daranno il massimo nelle condizioni date. E daranno il massimo perché saranno le rivendicazioni di chi ha inquadrato il problema. Non pagare il debito, non significa non pagarlo nelle condizioni attuali, ma mettere pressione addosso alla borghesia perché lo si paghi il meno possibile.


Ed ecco la chiusura di Achilli

Non ho niente da aggiungere se non ribadire il mio punto di vista: se non si chiede immediatamente la fuoriuscita del Paese dall’euro, come obiettivo immediato del proletariato (ovviamente non della borghesia, pensare che chi scrive proponga uno slogan del tipo “borghesie di tutta Europa unitevi” è al limite del comico), ci si consegnerà al massacro sociale che la borghesia europea porterà avanti fino a quando non sarà comunque costretta ad ammettere che l’economia dei Paesi PIIGS è in default, e che quindi il mantenimento di un’area monetaria unica è insostenibile e il progetto va ristrutturato, creando comunque un’area monetaria forte ed una debole (esistono già in circolazione progetti precisi in tal senso, in ambito Bce, FMI e della Commisisone europea, oltre che naturalmente dei Governi nazionali). Quindi, che noi oggi lottiamo per uscire dall’euro o che ci limitiamo a soluzioni di antagonismo su base nazionale, la soluzione finale sarà comunque la stessa: l’area euro come la conosciamo oggi non è più sostenibile nel medio periodo, e le economie di Paesi come Spagna, Italia, Portogallo e forse Irlanda sono già oggi in una condizione di default potenziale. E tutto questo Monti, Draghi, Barroso e la Lagarde lo sanno benissimo, come lo sanno bene i mercati, dato che lo spread Btp-Bund, nonostante Monti, non accenna a ridursi in modo strutturale. La differenza qual è? Che se lasciamo la borghesia portare avanti tale progetto, lo troveremo realizzato fra qualche anno, e nel frattempo le classi lavoratrici delle economie PIIGS avranno pagato un prezzo durissimo, in termini di impoverimento. Se la soluzione di uscita immediata dall’euro viene invece fatta propria, in forma coordinata, dai proletariati dei Paesi considerati, forse (ed è un forse grande come una casa, è ovvio che una soluzione in tal senso richiederebbe una lotta durissima) potremo arrivare all’inevitabile conclusione risparmiandoci un massacro terribile. L’ “area monetaria debole” sarebbe soltanto una soluzione-tampone per ridurre gli effetti della recessione da fuoriuscita, fino quasi ad eliminarli. Non ho mai pensato che fosse la soluzione (se lo pensassi scriverei per la Repubblica o per il Corriere della Sera, non certo per il nostro blog anticapitalista). Se invece ci si aspetta che la sinistra radicale, in Italia come in Grecia, sia in grado di contrastare il disegno della borghesia (recuperare quanti più soldi possibili dal Governo nazionale facendo pagare il conto al proletariato, prima di dichiarare comunque l’inevitabile fallimento) con una logica di rivendicazione diretta rispetto alle manovre finanziarie che i Governi tecnici ci propinano, allora si pecca di una forma di ottimismo ingiustificabile rispetto ai dati di fatto della realtà. Che in Grecia la sinistra radicale, ben più forte, organizzata e radicata che da noi, non sia riuscita ad ottenere assolutamente niente in mesi di lotta durissima, dovrebbe far riflettere. È vero che probabilmente parte importante della causa di ciò risiede nei vertici del KKE e del PAME, ma se aspettiamo che tali vertici vengano rimossi affidando la sinistra a classi dirigenti migliori, in grado di riorientare la lotta, la borghesia avrà avuto tutto il tempo per concludere, nel modo più comodo possibile, tutto il massacro sociale d cui riterrà di aver bisogno per rientrare dai suoi crediti con il Governo. In Italia la situazione della sinistra, in termini di capacità di lotta, è ancora peggiore di quella greca, che è già inconcludente. Quindi, se si vuole evitare di far pagare alle classi lavoratrici il conto di una massiccia operazione di ristrutturazione dell’intero sistema finanziario globale, non vi è alternativa dall’andare a colpire il problema alla radice, ovvero dal contrastare i meccanismi attraverso i quali il sistema finanziario globale funziona, di cui l’euro è ovviamente una componente molto importante. Tutto il resto è demagogia, o vana illusione di poter contrastare a livello nazionale una operazione di macelleria sociale decisa dai mercati finanziari su scala sovranazionale. Naturalmente l’accenno allo stalinismo ogni volta che si propone una soluzione graduale, e non una rivoluzione immediata, lo trovo davvero quasi divertente, e lo dico senza ironia, perché in fondo conferma il fatto che lo stalinismo è diventato sinonimo di tutto quello che non piace fra le proposte e le posizioni dei compagni. Forse lo stesso Stalin si sarebbe compiaciuto, in una certa misura, di questa inflazione del suo pensiero (chi lo conobbe, infatti, sostiene che, pur essendo un assassino sanguinario, fosse dotato di un bizzarro senso dell’umorismo, magari un po’ macabro, che però è nelle corde dell’animo dei georgiani, popolo davvero molto spiritoso): non posso che dire che tale inflazione dello stalinismo nega alla radice ogni possibilità di articolare la lotta attraverso programmi minimi e successivi programmi massimi o, se si preferisce, attraverso programmi transitori. Questa limitazione mi appare un po’ riduttiva.


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