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sabato 26 maggio 2012

LA TERZA REPUBBLICA IN SALSA MONTEZEMOLIANA E LE SFIDE DELLA SINISTRA di Riccardo Achilli



LA TERZA REPUBBLICA IN SALSA MONTEZEMOLIANA E LE SFIDE DELLA SINISTRA

di Riccardo Achilli



La sempre più probabile discesa in campo di Montezemolo, di fatto annunciata due giorni fa sul Corriere della Sera, spariglierà le carte della politica italiana in modo netto. Si tratterebbe infatti di un vero e proprio salto di qualità di ciò che resta dell'industria italiana, che decide di rompere il tradizionale diaframma con la politica, nel quale gli imprenditori si sono sinora affidati a politici a loro vicini per curare i loro interessi. In questo caso, la sfiducia totale nei confronti della classe politica indurrebbe la borghesia industriale italiana a mettere direttamente i piedi in politica, anziché affidarsi alla sua intermediazione.Ed il discorso di inizio mandato di Squinzi, insolitamente aggressivo rispetto ai passati discorsi di insediamento dei Presidenti di Confindustria, sembra lasciar presagire tale scenario di ingresso a gamba tesa e piedi uniti della borghesia industriale nelal politica nazionale.
Una simile scelta sarebbe una rottura netta negli equilibri sociali ed in quelli politici. Dal punto di vista sociale, romperebbe il blocco borghese di potere, sostanzialmente rimasto intatto nel passaggio fra prima e seconda repubblica, con l'alleanza Berlusconi-Bossi-Fini che si è incaricata di preservare l'alleanza fra piccola borghesia produttiva, semi-classi impiegatizie e grande borghesia, cementatasi nel corso della prima repubblica all'interno delle forze del pentapartito.
L'ingresso di Montezemolo segnerebbe la cesura di tale patto sociale: egli infatti è un uomo della Fiat, quindi della grande industria, che sostiene politiche iper liberiste e di recupero, anche con metodi semi-terroristici, dell'evasione fiscale annidata nella pancia di una piccola borghesia che si trova oramai al di sotto della soglia di sopravvivenza, e che viene spinta letteralmente ad un suicidio di massa dalle politiche del Governo Monti.

Niente di nuovo sotto il sole: Marx infatti ci avverte che, nelle fasi di crisi strutturale, la piccola borghesia si proletarizza. Per tutti gli ignoranti in mala fede che pensano di mettere in cantina Marx, vorrei riportare questo passo del Manifesto, assolutamente attualissimo nel leggere le dinamiche recenti fra grande e piccola borghesia:

"Quelli che furono finora i piccoli ceti intermedi, i piccoli industriali, i negozianti e la gente che vive di piccola rendita, gli artigiani e gli agricoltori, tutte queste classi sprofondano nel proletariato, in parte perché il loro esiguo capitale non basta all'esercizio della grande industria e soccombe quindi nella concorrenza coi capitalisti più grandi, in parte perché le loro attitudini perdono il loro valore in confronto coi nuovi modi di produzione".

Dunque, lo sviluppo stesso del capitalismo (sviluppo che passa irrimediabilmente attraverso fasi cicliche di crisi, che servono anche per distruggere gli assetti sociali oramai obsoleti per le esigenze dell'accumulazione, e per costruirne di nuovi, più funzionali alle stesse) taglia il cordone ombelicale fra grande e piccola borghesia, gettando quest'ultima nel proletariato.
Tutto ciò avrà inevitabilmente una conseguenza enorme sugli assetti politici. Probabilmente, come la discesa in campo di Berlusconi segnò la funesta nascita della più che mediocre seconda repubblica, quella di Montezemolo sarà il segnale del sorgere della terza. Egli ha dichiarato che non farà alcuna "alleanza gattopardesca". Si presenterà da solo, ingoiando i resti del terzo polo, ovvero del progetto di Casini miseramente fallito, ed attirando i voti di destra in uscita dal Pdl, oramai in via di dismissione. Ed attirando anche i voti "moderati" che sono transitati nel PD tramite la ex Margherita, e che oggi non trovano un collocamento soddisfacente in un partito, come quello di Bersani, eternamente in dubbio su cosa farà da grande, e per di più colpito da uno scandalo (lo scandalo-Lusi) che colpisce in modo particolare proprio la componente "moderata" della ex Margherita.

Certamente, a questo blocco elettorale Montezemolo riproporrà un nuovo "blocco sociale", cioè una nuova alleanza fra piccola e grande borghesia. Ancora seguendo Marx, "la piccola borghesia oscilla fra il proletariato e la borghesia e si viene sempre ricostituendo come parte integrante della società borghese " (Il Manifesto). Però l'alleanza sarà riproposta su basi completamente diverse, molto più penalizzanti per la piccola borghesia, rispetto a quelle garantite dal centro-destra della seconda repubblica. Niente più tolleranza berlusconiana per il piccolo imprenditore o il commerciante che evade le tasse; niente più Stato-mamma che consente a coorti di piccoli imprenditori e liberi professionisti di sopravvivere tramite la manna degli appalti, delle consulenze pubbliche, delle gare pubbliche per acquisti di beni e servizi, degli incentivi pubblici a pioggia sulle PMI, che (p. es. tramite la legge 488/92) ne finanziava a migliaia ad ogni bando, perché il programma montezemoliano si incentra su tre perni: tagliare la spesa pubblica, recuperare gettito fiscale e privatizzare tutto, assolutamente tutto, riducendo la P.A. ad uno scheletro imbiancato. Ai singoli membri della piccola borghesia verrà offerta soltanto l'opzione di conquistarsi uno spazio individuale di crescita, "con la meritocrazia"  (parola che suona strana nella bocca di un uomo, come Montezemolo, che proviene da una antica e ricchissima casata nobiliare, che gli ha spianato la strada verso studi prestigiosi e verso una carriera brillantissima, nonostante il fatto che la sua biografia ci segnala come il giovin Montezemolo sia stato tutt'altro che uno studente-modello, e, per dirla tutta, uno scapestrato che, in una famiglia operaia, sarebbe diventato, forse, un drop-out). In pratica, la piccola borghesia passerà da una condizione di semi-assistenzialismo pubblico ad una in cui la sopravvivenza sarà una questione di dura competizione darwiniana.

E a sinistra?
Potrebbero verificarsi almeno due scenari.
Il PD, privato di gran parte del suo elettorato centrista (ed anche, forse, di parte della sua dirigenza ex margheritina) dall'ingresso in campo dei montezemoliani, regredendo a poco più di quelli che erano i vecchi Ds, potrebbe forse basculare a sinistra, recuperando una linea socialdemocratica, e quindi andare a costituire, con SEL, Idv e forse la FED, un blocco socialdemocratico antagonista a Montezemolo. Ma io penso che tale scenario sia estremamente improbabile. Sono infatti più di 22 anni che la dirigenza ex Pds ed ex Ds cerca disperatamente di accreditarsi nei salotti buoni della borghesia finanziaria ed industriale italiana, tanto da aver creato, con i think tank di D'alema ed Amato, e con Scalfari, De Benedetti e quindi Repubblica, un vero e proprio movimento culturale e politico legato solidamente ad un riformismo debole e liberale, che chiede i voti alla componente per così dire "illuminata" delle mezze classi impiegatizie (specie nel comparto del lavoro pubblico, nelle università e fra gli intellettuali).

Personalmente, non credo proprio che D'Alema, Fassino, Bersani, Veltroni, Letta Enrico, Bindi, Scalfari e compagnia cantante si accomoderanno in una posizione socialdemocratica e progressista. Dovrebbero rinunciare al loro sogno di stare con i piedi dentro i felpati salotti "che contano". Per un simile scenario, occorrerebbe che vi fosse un radicale cambiamento della classe dirigente, e non solo del PD, ma anche dei partiti alleati, ma francamente: ci sono oggi giovani leve in grado di rilevare la classe dirigente e portare il PD a sinistra? Chi sono oggi le giovani leve del PD? Matteo Renzi o la Serracchiani? Ma per carità di Dio, preferisco tenermi D'Alema per i prossimi cinquant'anni; in fondo, perlomeno, mi è stranamente simpatico (e di questo probabilmente dovrei parlare con uno psichiatra) e gli riconosco una cultura politica.

Lo scenario più probabile è a mio avviso il secondo: che il PD entri nell'area di gravitazione dei montezemoliani, e che, per quanto in fase di campagna elettorale Montezemolo non si allei con il PD, finisca poi per farci un Governo di coalizione dopo il voto. Ciò consentirebbe al PD di evitare dolorose fratture, di conservare il suo elettorato centrista, e di cercare di tenere anche il suo elettorato di sinistra, ubriacandolo con la favoletta che Montezemolo va già raccontando, secondo cui non esiste più la sinistra o la destra, ma solo i riformisti, cui lui appartiene, ed i conservatori (cui appartiene la vera sinistra storica, che infatti vuole conservare una vita decorosa per i lavoratori e i pensionati). In questo modo, partecipando ad un Governo di "riformisti", il PD potrebbe replicare la fortunata illusione veltroniana del "riformismo" come presunta evoluzione storica della sinistra. Illusione che, non dimentichiamolo, ha fruttato al PD il più alto risultato elettorale della sua storia (il 33,4% conquistato nel 2008).
Si creerebbe quindi un panorama politico di questo genere: una destra xenofoba, statalista e con venature di fascismo sociale, composta da Storace, dagli ex AN non confluiti con Fini, e dai resti dei berluscones; un centro composto dai montezemoliani, che avrebbero cannibalizzato i voti del terzo polo e di gran parte del Pdl, e dal PD; ed alcune "schegge" individuali, come il M5S oppure una Lega tornata (ammesso che rimarrà in Parlamento) alla sua vocazione di partito di lotta. E la SEL, e l'Idv, e la FED? Molto probabilmente alcuni di loro (forse non tutti, conservo qualche traccia di ottimismo circa l'onestà e la coerenza di alcuni) sgomiterebbero a più non posso per entrare in coalizione con il PD e Montezemolo, rischiando grosso, però, di sentirsi rispondere "no, grazie, non ci servite". A quel punto, SEL, Idv e FED sarebbero costrette a fare...ciò che Ferrero ha proposto di fare, ma Vendola ha rifiutato, e che De Magistris propose qualche anno fa, ma Di Pietro rifiutò, ovvero un processo unitario a sinistra del PD. Ma costituire una unità a sinistra prima che tale secondo scenario si configuri, e costituirla dopo che tale scenario si sia verificato, non sono la stessa cosa. Nel secondo caso, infatti, tale processo non sarebbe visto dagli elettori come una nuova proposta di cambiamento della politica italiana, ma come una mera reazione difensiva al rischio di estinguersi da parte di partiti messi alla porta dall'aleanza di Governo Montezemolo-PD. E naturalmente il "premio" elettorale di una operazione vista come mera esigenza di sopravvivenza sarebbe molto modesto.Tra l'altro, nel frattempo, vi sarebbe anche il rischio che il progressivo consolidamento elettorale e politico di Grillo privi tale operazione unitaria di molti voti potenzialmente di sinistra.

La storia ci insegna una cosa: è nei momenti di transizione che occorre gettare il cuore oltre l'ostacolo a fare le grandi scelte, non dopo che la transizione è passata e si è costituito un nuovo equilibrio. Perché in questo caso non ci sono più spazi di manovra. Adesso, che Montezemolo scenda in campo o meno, siamo comunque in un momento di transizione. E' adesso che occorre avere coraggio, uscire da tattiche elettoralistiche o di coalizione assurde, tipo "foto di Vasto sì, foto di Vasto no", oppure "è progressista o no un'alleanza con questo piuttosto che con quello?" (perché in una fase di transizione, molto instabile, tali tattiche sono costruite sulla sabbia) e proporre qualcosa di nuovo. E se non ci sono interlocutori disposti a farlo insieme, questo è il momento di provare a proporre in autonomia, al Paese, un programma socialista e radicalmente antiliberista. Avere il coraggio di andare da soli, se non si riesce a costruire la compagnia (che è comunque l'opzione da preferire, poiché l'unità a sinistra è sempre la cosa migliore da fare).
Dopo, quando si saranno cristallizzati nuovi equilibri e non ci saranno più gli stessi spazi di manovra di oggi, non ci sarà più tempo. Ci sarà solo il tempo di piangere per il rimorso di non essersi mossi, per il Sol dell'Avvenire che è tramontato. E dobbiamo perlomeno ai nostri figli il tentativo di evitare che ciò avvenga.

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