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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 3 luglio 2014

PANOPLIE CAPITALISTICHE di Fausto Rinaldi



PANOPLIE CAPITALISTICHE 
di Fausto Rinaldi


L'opera di forgiatura della coscienza collettiva perseguita dal potere in atto - declinato in tutte le sue derivazioni ed individuato sulla base delle sue infinite sfaccettature - si prefigge l'obiettivo di legittimare, attraverso un processo di razionalizzazione del principio di autorità, il proprio ruolo; da ciò discende tutto quell'insieme di condizioni capaci di garantire la messa in atto di sistemi di «governance», in grado di assicurare lo svolgimento delle funzioni di conduzione di una nazione. Evidentemente, tutto ciò avviene in condizioni di grave deficit democratico: alla collettività non viene data la possibilità materiale di determinare l'orientamento delle scelte politiche del Paese né, tantomeno, di sviluppare quell'insieme di conoscenze in grado di dare luogo ad una solida coscienza critica. 
Tuttavia, questa negazione di un diritto basilare non viene percepita in tutta la sua gravità, perché le moltitudini vengono sviate dalle sofisticate forme di distrazione  operate dal potere ideologico, esercitato con la complice partecipazione dell' «intellighenzia»  e dei mezzi di informazione.

Tutto sommato, il grande «atout» del capitalismo è stato quello di aver plasmato mente e volontà della gente alla mera concezione feticistica della «forma valore» (merce, denaro, capitale), piegandone l'intelletto, i desideri, le aspirazioni alle religione pagana (ma non troppo: Weber docet) dell'appropriazione, dell'affermazione e della competizione sociale.
A questo punto, che potremmo fare noi, povere anime corrotte?
Abiurare, uccidere il padre, rinnegare l'essenza stessa della nostra cultura?
Come Maslow insegna, soddisfatti i bisogni fondamentali (bere, mangiare, dormire, etc.), si passa inevitabilmente al tentativo di appagare desideri, caratterizzati da minore forza ed urgenza, situati ad un livello superiore: sicurezza fisica, appartenenza ad un tessuto sociale, stima e autostima, autorealizzazione. Su quest'ultimo punto si innesta la cultura capitalista del consumo voluttuario: slegata da bisogni effettivi, e delineata con mirabile lucidità da Thornstein Veblen, la spesa per assicurarsi beni costosi ed ostentativi perviene a rappresentare un segno di distinzione e di prestigio sociale, e va a corroborare quel costruito di qualità personali in grado di connotare l'individuo «di successo»: quindi, il consumo identificato come messaggero di prestigio sociale. Laddove Veblen aveva designato alla classe «agiata» queste logiche di consumo, l'etica capitalistica le espande alla quasi totalità delle classi sociali, ampliando smisuratamente i confini di un mercato destinato a diventare onnivoro, per soddisfare le ipertrofiche necessità produttive del sistema industriale, votato alla produzione materiale infinita.
Ormai avvelenate da logiche produttivistiche e consumistiche, le classi sociali della moderna democrazia planetaria a capitalismo avanzato non sono in grado di saltare fuori dalla schiacciante aporia di un sistema che, per evolversi, deve spingersi sempre più verso la propria estinzione. Siamo ormai lontani dalla possibilità che le masse prendano coscienza della necessità indifferibile di fluire entro meccanismi di produzione e di riproduzione sociale che non sacrifichino a loro stessi le condizioni biologiche di sopravvivenza della specie umana su questo pianeta.
Il capitalismo attuale pervade ogni ganglio della vita umana, interessando non solo la sfera politica ed economica della vita sociale ma anche il rapporto dell'uomo con la natura, i rapporti interpersonali, la psicologia individuale, le relazioni sociali e famigliari, la percezione della realtà.
Cambiare le prospettive future dell'uomo significa uscire dal dominio del feticismo delle merci, delle cose e del denaro, fonte di alienazione e di ripiegamento individualistico delle proprie prospettive esistenziali. Non possono bastare strumenti di politica economica e monetaria a riequilibrare i rapporti di convivenza tra le persone; non sarà la speranza di un ritorno a un capitalismo regolato a far cambiare rotta ad una società perduta dentro il mito dell'accumulazione quantitativa.

In sostanza, servono uomini nuovi per far sì che, con i tempi storici che si riveleranno necessari, la coscienza collettiva possa ergersi a baluardo contro lo spettro, quanto mai vivo e attivo, della subalternità economicistica delle masse, del loro assoggettamento alle vocazioni predatorie del sistema di produzione e accumulazione reclamato dal capitale.








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