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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 13 agosto 2015

IL RITORNO DI IONEL di Sara Palmieri





IL RITORNO DI IONEL*
di Sara Palmieri



PROLOGO



LENTISSIMO

Aspettava da tempo quel momento. Con la sua immaginazione l’aveva accarezzato un’infinità di volte, eppure, adesso, non ce la faceva proprio a viverlo davvero, e se ne stava immobile, sulla soglia, con le scarpe in mano (1). E anche con il cuore. Perché non può essere facile tornare, sia pure in punta di piedi, sia pure coi piedi simbolicamente nudi dopo essersene andati sbattendo la porta e aver girovagato per tutta l’Europa senza fermarsi mai e senza trovare un posto in grado di sostituire quella casa, quella città, quella famiglia. Non è facile per un uomo chiedere scusa, ammettere di aver sbagliato, ripresentarsi dopo trent’anni come se nulla fosse e pretendere di ricominciare daccapo, dal momento esatto in cui se n’era andato, per riprendersi – così aveva urlato – la sua vita!
E tornava con una compagna fedele che era invecchiata insieme a lui, la sua spinetta.
Lo strumento era stato di suo nonno, era intarsiato e istoriato, e, all’interno, sollevando il coperchio di legno di cipresso, appariva la figura di una donna mollemente adagiata su un prato verde, coperta a malapena da un lenzuolo bianco che ripercorreva le pieghe di un corpo tondo, tipico delle modelle di una volta. La spinetta era italiana, ma il nonno l’aveva avuta in regalo da un commilitone francese appartenente ad una famiglia di cembalari, conosciuto a Parigi durante la guerra.

ADAGIO

Con la sua spinetta Ionel aveva battuto le strade di Germania, Francia, Spagna e Italia.
Si era fermato a suonare negli angoli delle città, nelle piazze, nelle vie piene di gente e di vita e nei viali solitari, d’inverno e d’estate, dormendo dove capitava, per strada o nei ricoveri per i senza tetto, rimediando pasti offerti da anime buone o comprati con gli spiccioli del suo raro pubblico.
All’inizio quella vita bohemien gli era piaciuta. Vivere senza regole, senza padroni, senza la schiavitù che a volte anche gli affetti comportano, senza orari, senza quelli canonici del mangiare e del dormire, dell’onorare le feste, gli anniversari, le ricorrenze.
Per lui la vita era solo musica, la sua musica e nient’altro. Pensava che per essere felice gli sarebbe bastato suonare. Bach, Chopin, Mozart. Sinfonie struggenti e arie da operetta, valzer viennesi e ballate popolari, mazurke, polke, tanghi latini.
Dieci anni di conservatorio a cui era seguito il diploma in clavicembalo, studiando con i maestri più famosi dell’Accademia Musicale di Bucarest, avevano formato un artista completo ed eclettico, capace di scivolare dalla musica più raffinata a quella popolare, arricchendo il repertorio di virtuosismi azzardati e di sapienti commistioni tra i generi.
In quei primi anni di assoluta estraniazione sul palcoscenico del mondo, era perfino riuscito a comporre sonate lievi e aperte con le quali aveva attratto e trattenuto gli ascoltatori più giovani che si erano entusiasmati, lanciandosi in danze improvvisate quanto originali.
Vedere la gente distesa, serena, perfino allegra davanti alla sua musica, gli dava un piacere inaudito, lo ricompensava della fatica che la vita per strada alla lunga cominciava a comportare.

GRAVE

Ma i soldi erano sempre pochi, il compenso volontaristico del suo pubblico esiguo.
Ai pochi che si fermavano si alternavano i molti che passavano indifferenti, senza neppure girarsi a guardare per paura di dover lasciare un sorriso o un obolo.
Eppure quella musica era degna di ben altri palcoscenici.
Spesso Ionel si scopriva a pensare come avrebbe reagito alla sua musica un pubblico vero, accomodato in una di quelle sale drappeggiate coi velluti rossi e le poltroncine in stile, gli stucchi, gli arazzi alle pareti e l’atmosfera ovattata. Senz’altro sarebbe rimasto incantato ad applaudirlo e a chiedere – alla fine dell’ esibizione, quando lui fosse stato già dietro le quinte – un’altra esecuzione, un’altra ancora…perché Ionel quando suonava si perdeva nello strumento, diventava un tutt’uno con esso.
Non c’era nulla di romantico, però, nella sua vita in strada con la spinetta.
Perché un uomo ha dei bisogni e non è mai davvero libero. Ha necessità di mangiare, di bere e di dormire, ma anche di lavarsi, di cambiarsi con dei panni puliti e profumati di bucato steso al sole e appena raccolto.

ALLEGRETTO MA NON TROPPO

E in questi casi è facile cadere preda dei ricordi mentre le immagini cominciano a rimbalzare: dall’infanzia e poi dall’adolescenza spensierata per le strade di Bucarest e dalle estati liete trascorse tra i boschi e le pianure della Valacchia. E poi l’amore dei vent’anni con Catinca… Lei incinta, la nascita dei gemelli, il lavoro che non c’è, i genitori arrabbiati che non vogliono essere di nessun aiuto. E la musica, che fine fa la musica? Gli spartiti giacciono sul tavolo di cucina, unti d’olio e di caffè, sommersi dalle bollette da pagare e dai fogli su cui far quadrare i conti. I bambini scalciano e piangono, hanno fame, hanno sete, c’è da comprare questo e quello. Catinca è giovane e inesperta, ma si dà da fare. Accantonata la sua viola - anche lei studia al conservatorio e coltiva dei sogni - in un angolo della stamberga in cui vivono, comincia a fare delle pulizie a ore in casa dei signori, non si lamenta, non recrimina, ma si vede che è delusa e la sera è stanca, si addormenta esausta coi bambini tra le braccia.

VELOCE

Ionel non ce la fa, è più forte di lui, questa variazione sul tema, questo contrappunto dissonante sullo spartito della sua vita, non sono affatto previsti. Pensava di diventare un concertista di successo, suonare nei più prestigiosi teatri del pianeta, diventare ricco e famoso, ammirato, invidiato, adulato, richiesto e invece…
Non prova nulla verso Catinca, in fondo è anche colpa sua: se non gli avesse ceduto, se avesse aspettato di diventare più adulta...
Non prova nulla verso i gemelli: se non fossero nati, se non pretendessero con quel pianto cocciuto di essere accuditi, sfamati, lavati…
Prova solo pietà e compassione per se stesso Ionel e si autoassolve, convinto di aver subito un torto, di essere stato derubato del suo futuro, un futuro di fama e ricchezze.
Così, in un giorno più nero degli altri, mentre diesis e bemolle fanno a cazzotti, ha preso i pochi soldi rimasti per il latte e il pane di Catinca e dei gemelli, la sua spinetta e quel paio di scarpe nuove che teneva custodite per il suo primo concerto da solista ed è andato via, “per riprendersi la sua vita”.
E’ diventato un artista di strada, senza città e senza patria, senza amici e senza domani e quasi senza accorgersene, lottando per sopravvivere, sono trascorsi trent’anni.

ANDANTE MODERATO

Fino a questo giorno di marzo, quando nella città italiana in cui si trova tira un vento di primavera leggero e la crisi economica che attanaglia l’Europa ha reso indifferenti ed ostili anche gli uditi più sensibili alle suggestioni della musica.
Sta per aprire il suo strumento e cominciare a suonare sotto il portico delle 14,00, quando la gente torna a casa dall’ufficio. Ma la spinetta non vuole saperne: i salterelli, i plettri d’osso, le corde, l’anima dello strumento insomma, sono irrimediabilmente consumati, i tasti cedono, incerti e muti sotto le dita insistenti di Ionel.
La spinetta è morta. Allora si accascia e piange, senza freni e remore, singhiozzando.
Si ferma un signore distinto, che Ionel sembra conoscere, ma chi è, dove l’ha visto.
Si interessa allo strumento, è un intenditore, un musicista senz’altro. Sfiora i tasti con le dita, osserva attento il dipinto che si staglia dall’interno della spinetta. “Venezia, tra il 1850 e il 1860” – afferma con voce autorevole e perentoria, da competente. Gli comprerebbe la spinetta così com’è: rotta! Ma Ionel non può disfarsi dell’unico oggetto con cui si identifica e che gli ricorda da dove viene. Allora chiede a questo signore curioso e interessato di aiutarlo ad aggiustare la spinetta, promettendogli che poi suonerà per lui la più bella delle melodie. Non può fare o promettere altro.
Il signore distinto è più vecchio di Ionel, ma è tuttora un direttore d’orchestra di successo.

CON BRIO

La sua fama è mondiale ed ora Ionel è a casa sua e suona per lui nel salone di quella villa sontuosa, accomodato a un magnifico Steinway lucido e nero, con la stessa lunga coda di quello dell’Accademia di Bucarest.
Il Maestro, il celebre musicista Romolo Ruti, è estasiato dalla musica di Ionel e lo vuole nella sua orchestra.
Ora, finalmente, dopo trent’anni di inutile girovagare, Ionel può riprendersi la sua vita.

EPILOGO


VELOCE

I primi mesi della riacquisita vita di Ionel scorrono rapidi e frastornati.
Ora suona nei teatri, al fianco del Maestro. Nei più bei teatri d’Europa. Esibizioni, applausi, viaggi e finalmente denari e comodità. Compone perfino, una partitura dietro l’altra, note su note, semibrevi, minime, crome e biscrome, in chiave di violino o di basso, con scrittura febbrile come la sua ispirazione. Ma c’è un tarlo che rode, infilato nelle pieghe dell’anima, ogni tanto lo scaccia, ma si ripresenta e allora decide di affrontarlo.

LENTO

Ci ha pensato, ripensato, si è informato sulla vita dei suoi ex familiari nella cittadina rumena, ha immaginato mille volte il suo ritorno fino a quando, dopo l’ultimo concerto, è salito sulla sua auto nuova, ha infilato il CD della sua ultima composizione e ha percorso le centinaia di chilometri che lo separano da Bucarest.

GRAVE

E’ davanti alla soglia, la stamberga è diventata una vera casa. Sa di buono, di pareti appena imbiancate e fiori nei vasi della tavola, di tendine ricamate alle finestre e di pietanze calde come la ciorba o la musaca, le sue preferite. Si sentono le voci di Catinca e dei gemelli, dei figli dei suoi figli. Catinca è diventata un’affermata concertista e i gemelli insegnano clavicembalo al Conservatorio.
Ma loro non sanno che lui sa e soprattutto non sanno che è lì, dietro l’uscio.
Ionel non ce la fa. Un macigno gli sovrasta il cuore e la vergogna frena il passo in avanti che pure vorrebbe compiere. Anche il timore di sguardi freddi, risentiti e ostili lo rende inquieto, fragile, vile. Si rende conto che la dignità perduta nel momento dell’abbandono non può essere recuperata.

Si gira d’improvviso su se stesso e torna indietro, dimenticando sulla soglia le scarpe consunte che portava in mano. 



* Con l’augurio che diventi ricco e famoso anche l’artista di strada che ho incontrato tante volte sotto i portici, di rientro dal lavoro, e che un giorno, invece di suonare, era intento a riparare la sua bellissima spinetta di legno, ispirandomi questo racconto.


(1) L’incipit del racconto è quello assegnato per la partecipazione alla terza edizione del Premio Letterario “Subiaco città del libro 2015”






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