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domenica 19 febbraio 2017

ALCUNE IMPRESSIONI SUL CONGRESSO FONDATIVO DI SINISTRA ITALIANA di Riccardo Achilli







 ALCUNE IMPRESSIONI SUL CONGRESSO FONDATIVO DI SINISTRA ITALIANA
 di Riccardo Achilli




Si conclude oggi l’appuntamento congressuale di Sinistra Italiana, così lungamente atteso da un popolo di sinistra rimasto senza casa da troppi anni. Non potendo essere presente fisicamente, ho ascoltato con molta attenzione quasi tutti gli interventi.
Rispetto alle preoccupanti premesse di partenza, allo spirito di Cosmopolitica che replicava acriticamente i difetti originari di SEL, sarebbe ingeneroso dire che non sono stati fatti progressi, in questi mesi, in termini di consapevolezza strategica. Esce il profilo di un partito che sa di dover essere solido e radicato sul territorio, in barba alle suggestioni movimentiste grillin-rodotiane. Emerge, perlomeno nella maggioranza del partito, l’esigenza di autonomia di movimento non solo rispetto a Renzi, ma più in generale rispetto al Pd, se non assumerà, eventualmente nelle sue forme scissionistiche, un profilo più nettamente di sinistra e di rottura con il Governo Gentiloni. Il tentativo, per molti versi penoso, della componente scottian-dattorriana di incasellare il partito nascente dentro un obsoleto e inefficace schema neo-ulivista viene sconfitto, anche se, va rimarcato chiaramente, la minoranza favorevole a questa torsione è numericamente tutt’altro che trascurabile, avendo raccolto attorno all’emendamento di D’Attorre una sessantina di delegati. Si staglia, dalle parole di Vendola, una prima rilevante distinzione fra diritti civili e diritti socio economici, che non si può dire fosse nelle corde del Nichi del passato recente. Più in generale, si intuisce l’intento di costruire un partito radicale, nel senso positivo del termine, ovvero non settario e minoritario, con vocazione di governo ma su posizioni di forte critica al neoliberismo imperante.

Gli aspetti positivi finiscono però qui. Complessivamente, il battesimo del nuovo partito non sembra particolarmente promettente. Il grosso degli interventi è ancora permeato da una preoccupazione di posizionamento tattico rispetto alle torsioni in corso dentro il Pd, in una logica di subordinazione culturale, rispetto a questioni di mera tattica politicistica, non superate. Ad eccezione dell’intervento di Fassina, che contiene la profondità del senso storico del passaggio attuale della crisi del neoliberismo, sembra che lo scenario generale in cui si muova la ricostruzione della sinistra sia del tutto trascurato, oppure letto in modo superficiale o erroneo. Il cambiamento in atto della rappresentanza politica delle destre, con i populismi che crescono, viene affrontato acriticamente, come una minaccia da combattere, senza capire le ragioni profonde del radicamento di tale destra dentro le classi popolari che la sinistra dovrebbe ambire a rappresentare. Ne consegue, in molti interventi, il ritorno verso un globalismo buonista, in cui si contrappone, ingenuamente, un nazionalismo apoditticamente foriero di guerre e presunti fascismi a un internazionalismo pacifista del tutto illusorio. Paradigmatica è al proposito la dichiarazione della compagna Boccia, che parla di una America "traumatizzata" da Trump (che in realtà  lo ha portato democraticamente alla presidenza)associando in modo astorico i populismi di destra ai fascismi, fino a mistificare l’opposizione dei liberal democratici a Trump: la marcia di Washington, esaltata come momento liberatorio di una presunta sinistra da imitare, è stata organizzata dalle peggiori lobby finanziarie e industrial-militari.

Manca un ragionamento di senso compiuto sulla globalizzazione e le sue implicazioni. Non si discute realisticamente dei trattati commerciali internazionali, del tema dell’immigrazione (rispetto alla quale non si capiscono tutte le sfaccettature, alcune delle quali colpiscono gli strati proletari e sottoproletari urbani, per cui, anziché far del bene agli immigrati, li si consegna a soluzioni di destra, inquietanti e pericolose. Ma si continua a denigrare i temi dell'identità nazionale, relegandoli a residui medievali della terra e del sangue). Persino il tema dei temi, dal quale dipende in modo cruciale qualsiasi velleità di fare politiche redistributive e di sostegno al lavoro, ovvero quello dell’euro, viene derubricato ad una fantomatica futura conferenza programmatica, perché di fatto la maggioranza di Sinistra Italiana continua a vivacchiare nell’illusione di poter “cambiare l’Europa da dentro”. Evidentemente, gli evidenti aspetti relativi ai rapporti di forza fra i membri dell’area euro, ed il funzionamento di un’area monetaria comune, vengono trascurati bellamente, fino ad arrivare al grottesco intervento di Cofferati, nel quale, dopo un giuramento di fedeltà all’europeismo a qualsiasi costo, si propone il reddito universale di cittadinanza (e dove si reperiscono le risorse per metterlo in piedi, dentro l’euro-austerità imposta da Trattati che non possono essere mutati da istituzioni europee prevalentemente tecnocratiche ed influenzate dai rapporti di forza fra Paese leader, ovvero la Germania, ed economie mediterranee? Mistero irrisolto). Il coraggio anche solo di affrontare il tema dell’uscita cooperativa dall’euro, proposto dall’emendamento di Fassina, è così scarso, che una proroga sine die dell’analisi di tale emendamento viene considerata una fortuna, avanti la sua più che probabile bocciatura.

Evidentemente ci troviamo di fronte ad un partito che nasce senza storia, nel senso che nega completamente i dati fondamentali di scenario entro i quali la storia si sta muovendo, e che rischia di non avere una capacità di contestualizzare la sua proposta alle esigenze che vivono dentro la carne ed il sangue della realtà. Tant’è vero che le proposte che echeggiano, dalla tutela del lavoro alla solidarietà ai migranti, dalla lotta al precariato all’ecologismo moderato e “compatibile”, hanno il tono ed il sapore di dichiarazioni di principio piuttosto retoriche. Anche l’aspetto organizzativo lascia molto a desiderare: delle decine di emendamenti proposti dai territori e dalla militanza si discute e si vota un numero trascurabile, dimostrando scarsa attenzione agli spunti provenienti dal basso. Di converso,  e come effetto della difficoltà nel trovare una sintesi culturale e politica, le differenze interne che hanno prodotto una scissione prima ancora che nascesse il partito (un record assoluto) vengono affrontate, ad esempio dall’intervento di Grassi, nei consueti termini moralistici con i quali si ammanta l’unità a sinistra: l’umiltà ed il senso di fratellanza ed unità servono da foglia di fico per nascondere le differenze più profonde di significato dell’appartenenza al campo della sinistra. Differenze non affrontate perché  il processo costituente ha prevalso, come spesso avviene nella sfortunata storia della sinistra, sul necessario approfondimento culturale, nell’illusione che il contenitore, una volta costruito, possa sopperire alla fragilità delle basi teoriche e di pensiero.

Nell’insieme, i progressi fatti appaiono del tutto insufficienti a garantire a questo nuovo soggetto politico una capacità di radicamento sociale significativa. Le prospettive non sono buone, non sembrano cioè poter superare significativamente la marginale incidenza elettorale che aveva la ex SEL, e la fragilità dei riferimenti culturali e programmatici non garantisce né la pretesa radicalità, né l’annunciata autonomia politica, con il rischio concreto di un risucchiamento successivo dentro esperimenti coalizionali costruiti sotto l’etichetta del contrasto ai populismi. Per parafrasare Gorres, il treno della storia, in questo frangente di inizio millennio, accelera con regolarità, sotto la spinta di una rivoluzione tecnologica che minaccia la stessa esistenza del lavoro e riconfigura completamente le relazioni sociali sotto la spinta dell’immediatezza e dell’orizzontalità gerarchica del web, di enormi sconvolgimenti geopolitici, di profonde ristrutturazioni economiche e nella composizione sociale. Avanti a questa accelerazione, la lentezza con la quale Sinistra Italiana progredisce nella comprensione del suo ambiente economico, politico e sociale rischia di produrre un arretramento irrecuperabile ed una distanza sempre più difficile da colmare con un elettorato comprensibilmente smarrito di fronte alle indecisioni nel determinare una linea univoca su temi fondamentali. 

Non è inutile, in conclusione, dire che queste mie critiche non sono “ad personam”, non intendono cioè minare l’impegno e la buona volontà sincera di tanti militanti e dirigenti che hanno costruito Sinistra Italiana. D’altra parte, io stesso non sono estraneo a questo risultato insoddisfacente, avendo fatto parte del processo costruttivo, sia pur da una posizione del tutto marginale. Né queste critiche vogliono essere distruttive. Non c’è da mettere un sasso su questa storia. C’è da lavorarci in modo molto serio, e direi anche in modo molto preoccupato ed impegnativo, senza soddisfazioni fuori luogo. Così, non si va da nessuna parte. C’è tempo per recuperare, ma occorre porsi degli interrogativi reali e costruire un dibattito vero ed approfondito, senza ansie elettoralistiche e senza politicismi tattici da posizionamento rispetto al resto dell’arco politico. Senza l’onestà di riconoscere questa esigenza, è meglio chiudere baracca ed occuparsi d’altro. 





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