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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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mercoledì 7 settembre 2011

NOTE SU CHÁVEZ di L.Mortara


di Lorenzo Mortara


a Jacopo


Un mio lettore chiede delucidazioni in merito a un paragrafo del mio ultimo scritto Della Libia e di altre rivoluzioni. Quel che non gli è chiaro è come Chávez, schieratosi dalla parte di Gheddafi, possa essere al contempo per le masse venezuelane, in Venezuela, e per il capitale venezuelano nel mondo, nella fattispecie in Libia. La contraddizione rilevata dal mio attento lettore, è effettivamente presente nel mio articolo, per la semplice ragione che trattasi proprio di una contraddizione reale e concreta. Provo a spiegarmi meglio, sperando di riuscire a chiarire un po’ di più la questione.

Nel processo rivoluzionario apertosi in Venezuela, Chávez, schierandosi con le masse e spostandosi progressivamente a sinistra, ha finito con l’attirarsi contro l’oligarchia venezuelana. Appoggiato dalle masse, il colonnello bolivariano, ha potuto dare inizio a una stagione non ancora terminata di ridistribuzione del reddito a favore delle masse più sfruttate. E tuttavia, nonostante il continuo richiamo a questo o a quel rivoluzionario del passato, tale processo, ancorché non concluso, si è svolto su basi capitalistiche. L’odio che i capitalisti venezuelani gli hanno subito tributato, è dovuto proprio al fatto che queste basi capitalistiche, sono state per così dire usate “innaturalmente”, cioè anziché a favore della concentrazione della ricchezza, a favore di una ridistribuzione più equa.

Riuscire a ridistribuire completamente la ricchezza rimanendo sul terreno capitalistico è ovviamente impossibile. Far girare al contrario il capitalismo è possibile solo per un po’, dopodiché o gli si dà il colpo di grazia, passando davvero al modo di produzione socialista, oppure quel processo che si è innescato, comincerà a burocratizzarsi e a involversi fino al completo arresto, regresso e fallimento. Qualche segnale dell’inizio di questa fase, già si comincia ad intravedere, già si sente parlare di boliborghesi che approfittano del processo rivoluzionario, tuttavia, a tutt’oggi, ritengo che in Venezuela Chávez giochi ancora un ruolo progressista a favore delle masse.

Se in Venezuela possiamo considerare Chávez un rappresentante delle masse sfruttate, la cosa si complica non appena il colonnello mette il naso fuori dal Venezuela. Se in Venezuela può contare sull’appoggio delle masse, fuori dal suo Paese, non dovendo fondarsi direttamente su di loro, Chávez diventa il rappresentante di tutta la Nazione Venezuelana. Non essendo piantato saldamente sul marxismo, Chávez non si sente il capo della classe operaia venezuelana, ma il rappresentante interclassista dell’intero Paese. È l’oligarchia venezuelana a vederlo come rappresentante delle masse per la sua politica ridistributiva. Purtroppo, la struttura economica capitalista, strappa Chávez alle masse, non appena queste, fuori dal Venezuela, pesando indirettamente sulla politica del colonnello, finiscono per essere subordinate agli accordi diplomatici con questo o quel governo “amico”. Infatti, se in Venezuela Chávez può operare per la ridistribuzione del reddito, fuori, la sua struttura economica capitalistica, lo porta direttamente nell’arena del mercato internazionale, a combattere con le altre nazioni per la conquista di quote di mercato. È in questo senso che vanno intesi tutti gli accordi petroliferi che Chávez ha tentato di fare in questi anni con le altre potenze del greggio. Lo scopo era ritagliare uno spazio maggiore all’economia venezuelana, cambiando i rapporti di forza con le altre potenze internazionali, in primis quelle imperialistiche.

Su basi capitalistiche, in un primo momento, ritagliarsi una quota migliore sui mercati internazionali a scapito delle economie più forti, significa spuntare gli artigli dell’imperialismo. Tuttavia, in una seconda fase, se la propria economia capitalistica non viene rovesciata nel modo di produzione socialista, quella quota strappata all’imperialismo diventa solo il punto di partenza perché a una antica potenza in declino, se ne sostituisca una nuova in ascesa. La Cina, anche se non so se riuscirà nell’impresa, anzi ho forti dubbi, è l’esempio più evidente di un simile processo.

Dunque, su basi capitalistiche, il Venezuela di oggi sotto il giogo dell’imperialismo, è solo il Venezuela imperiale di domani che schiaccerà con la stessa violenza i paesi che oggi lo sovrastano.

Anche se Chávez può ignorare queste cose, tuttavia è in quest’ottica che vanno visti i suoi accordi petroliferi internazionali, perché più della sua buona fede, pesa la struttura economica su cui si appoggia. Quando è scoppiata la rivolta libica, Chávez ha avuto paura che gli interessi del Venezuela potessero essere intaccati. Chávez si è posto sul terreno diplomatico, interclassista. Nella sconfitta di Gheddafi ha visto la messa in discussione dei suoi accordi. Ecco perché si è schierato per Gheddafi, non certo perché sia uno stalinista. Semplicemente, non essendo un marxista, non ha visto il risvolto in termini di classe. Schierandosi dalla parte di Gheddafi, Chávez si è posto di fatto dalla parte del capitale venezuelano. Se si fosse posto interamente dalla parte del proletariato venezuelano, che cosa avrebbe dovuto fare? Dal punto di vista di classe, il compito di Chávez era ed è quello di appoggiare la rivolta libica, facendo al contempo tutto il possibile per minare le mire imperialistiche già presenti nel Cnt di Bengasi. Tagliare i fili capitalistici che legano i suoi accordi a quelli stipulati con Gheddafi. Chávez avrebbe dovuto vedere nel processo rivoluzionario libico, un’accelerazione dello stesso processo venezuelano; incitare i rivoltosi a prendere possesso di tutti pozzi petroliferi libici, senza lasciare una goccia di greggio all’imperialismo, ecco quello che doveva fare. Una presa di posizione di tal genere, da parte di un uomo influente come lui, oltre a contribuire notevolmente al progresso della coscienza dei rivoltosi libici, con conseguente spauracchio e indebolimento della Nato, avrebbe senz’altro scatenato le ire dei petrolieri di casa sua, ovvero delle multinazionali americane con cui sono legate a doppio filo. Appoggiandosi interamente sulle masse venezuelane, però, e gasandole sull’esempio libico, Chávez avrebbe potuto a sua volta spingere avanti il processo rivoluzionario bolivariano, prendendo la palla al balzo per nazionalizzare ancora di più l’economia venezuelana, tagliando sempre di più i fili che la legano ai capitalisti e alle loro pretese. Chávez, insomma, avrebbe posto le basi per i primi accordi socialisti tra la Libia e il Venezuela, dando impulso alla rivoluzione sia nel mondo arabo che nel continente sudamericano. Purtroppo, l’interclassismo da cui ancora non riesce a liberarsi, ha fatto perdere un’occasione a Chávez. Col suo appoggio a Gheddafi, scegliendo il cavallo sbagliato, oltre a rischiare di perdere quote nel mercato globale – e questi sono problemi del capitale venezuelano che non ci interessano – Chávez ha rafforzato la presa della Nato su Bengasi – e questi sono problemi nostri, del proletariato. In ultima analisi la sua presa di posizione a favore di Gheddafi, anziché rafforzare il marxismo, si è risolta per ora in un soccorso al liberalismo.

Ecco tutta la contraddittorietà di Chávez, la contraddittorietà delle rivoluzioni attualmente in corso, dalle Ande all’Africa, al mondo intero.



Stazione dei Celti

Domenica 4 Settembre 2011

Lorenzo Mortara

Delegato Fiom


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