di Riccardo Achilli
Le dimissioni di Jürgen Stark, il più fedele rappresentante della Bundesbank, dal Consiglio Esecutivo della BCE, sono molto più che un fatto personale e rientrano nel quadro di una feroce lotta per l'affermazione di una linea di politica monetaria e fiscale in Europa, di fronte alla crisi. Per questo, ciò che sta dietro le dimissioni di Stark (e, ancor prima di lui, di un altro esponente della “Buba” come Axel Weber) va analizzato nel quadro di tale lotta per il potere di imporre una linea di politica economica nell'area-Euro, che contrappone, da un lato, la Bundesbank al proprio Governo, e dall'altro, la stessa Buba all'intero establishment politico europeo (sia ai vertici politici della UE che a quelli dei Paesi membri, in particolare di quelli più indebitati). Una lotta che ha precisi riferimenti negli interessi del mondo bancario e finanziario tedesco, ma che implica anche rilevanti conseguenze sugli interessi dei popoli europei. E per questo, la vicenda merita di essere analizzata anche sotto il profilo di ciò che potrebbe accadere anche a tali interessi.
E' certo difficile pensare che, dietro la scelta del nostro Jürgen, non vi siano stati anche motivi personali. Figlio di viticoltori protestanti, calvinista, rampollo dell'ortodossia monetarista Bundesbank, deve aver vissuto questa fase dell'economia con angoscia, ed anche con sofferenze personali. Immagino i suoi sogni, casti e puri da sempre, come solo possono essere quelli di un retto viticoltore di pura fede calvinista, turbati da incubi difficili da gestire psicologicamente: l'Italiano, con i baffi, il mandolino e la coppola in testa, che gli infila impunemente la mano nel maialino/salvadanaio di porcellana, rubandogli tutti i marchi diligentemente accumulati (marchi, non euro); il losco Greco, che al passo di danza di Zorba gli seduce la moglie; l'ubriaco Irlandese, che, ruttando, con una lattina di birra in mano, gli calpesta le aiuole del giardino, tanto amorevolmente curate con le sue delicate manine da viticoltore. Troppo per lui, ed allora occorreva un gesto forte, per mantenere alto il nome della famiglia (Stark, in tedesco, vuol dire appunto “forte”).
Ma, al di là degli aspetti umani, anche un po' patetici, del funzionario tedesco “tutto di un pezzo”, tutto Banca centrale, chiesa e vigneto, incapace di accettare che il corso degli eventi e le necessità politiche gettassero mettessero in secondo piano la rigida fede monetarista cui ha dedicato la vita, gli interessi in ballo in questa vicenda sono ben più importanti del fatto personale.
Hanno in primo luogo a che vedere con la fede monetarista della Bundesbank, che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto guidare inflessibilmente la BCE, tanta da fare di quest'ultima una semplice appendice della dottrina della Buba. Vediamo di cosa si tratta. Il montarismo puro prevede che esista una variabile di equilibrio, lo stock “ideale” di moneta, espresso in termini reali (M/P, dove M è la massa monetaria, P il livello generale dei prezzi) che gli operatori desiderano detenere e che consente di mantenere stabile il livello dei prezzi. Questo stock ideale di moneta corrisponde al concetto di neutralità assoluta della politica monetaria. Qualsiasi incremento dello stock nominale di moneta al di sopra di tale parametro, effettuato per via di una politica monetaria espansiva, produce un calo del tasso di interesse a breve, indotto dalla maggiore domanda di attività finanziarie resa possibile dalla maggiore liquidità disponibile al di sopra del vlaore desiderato. Ciò stimola, nel breve periodo, la crescita economica tramite un incremento della domanda aggregata, che fa crescere l'inflazione da domanda, azzerando quindi l'iniziale incremento di domanda e di conseguenza cancellando l'iniziale stimolo alla crescita dell'economia reale. L'incremento dei prezzi riporta lo stock di moneta al suo livello di equilibrio, ma ad un tasso di inflazione più alto rispetto a prima dell'intervento di politica monetaria espansiva. In pratica, secondo i monetaristi come il nostro Jürgen il Forte, la politica monetaria è inefficace nel medio termine, ed ha, come unico effetto permanente, quello di far aumentare il livello dei prezzi, con i connessi effetti sociali negativi, sui titolari di redditi fissi, indotti dall'aumento dell'inflazione.
Tale teoria, il cui nocciolo è stato esposto da Milton Friedman e dalla scuola di Chicago, è profondamente errata e anche pericolosa. Tralascerò in questa sede i problemi teorici di determinazione dell'offerta ottimale di moneta, che sonpo enormi, perché, a differenze di quanto credo i monetaristi, la domanda di moneta dipende anche dal livello della sua offerta, rendendo il legame tra queste due quantità di fatto inestricabile ,e rendendo impossibile la determinazione del lvello ottimale di offerta monetaria. La teoria è erronea soprattutto perché presuppone che la crescita dell'offerta di beni non possa adeguarsi immediatamente a quella della domanda indotta dall'intervento monetario espansivo, eliminando così le tensioni inflazionistiche, assumendo automaticamente rigidità produttive e sui mercati dei fattori che non necessariamente si verificano (tra l'altro, la teoria non tiene conto degli effetti di moderazione inflazionistica derivanti dall'incremento dell'offerta estera, tramite le importazioni) e perché nega l'opportunità, ed in alcuni casi la necessità, di imprimere shock temporanei di politica monetaria per far ripartire il ciclo, in una fase recessiva, oppure semplicemente per proteggere il sistema bancario dal tracollo.
Tuttavia, ciò che è più importante notare è che tale teoria richiede, come corollario essenziale, non solo un atteggiamento totalmente passivo da parte delle autorità monetarie, che devono offrire agli operatori soltanto quella quantità di moneta strettamente necessaria agli scambi, e che devono anzi sterilizzare quantità eccessive di moneta in circolazione, ma richiede anche che la spesa pubblica venga minimizzata, proprio per ridurre al minimo le esigenze monetarie del sistema, e di conseguenza le tensioni inflazionistiche. Quindi presuppone lo smantellamento dello Stato sociale, oltre che una rigidissima moderazione salariale. Una piena applicazione di tale dottrina, con effetti sociali spaventosi, si ebbe nel Cile di Pinochet.
Ora, nelle analisi giornalistiche di questi giorni, circolano interpretazioni a mio parere erronee circa il gesto di Jürgen il Forte. Si dice che la volontà sia quella di smantellare l'area-euro così come è configurata attualmente, spingendo all'esterno i Paesi PIIGS (fra i quali rientra anche l'Italia) per mantenere una unione monetaria più ristretta fra Paesi virtuosi. Non concordo su tale interpretazione. Stark è stato uno dei fondatori dell'euro, partecipando in prima persona alla fase di costruzione del progetto. Inoltre, il sistema bancario tedesco è esposto, rispetto ai debiti pubblici dei Paesi PIIGS, su livelli tali da provocare fallimenti a catena dell'intero apparato creditizio nazionale, qualora tali Paesi, uscendo dall'area-euro, fossero più liberi di ripudiare il loro debito estero (solo con la Grecia, la Germania è esposta per 33,9 miliardi di euro, fra crediti a banche ed imprese e titoli di Stato posseduti, ed è il secondo creditore estero di quel Paese). La Bundesbank sarebbe allora costretta ad enormi operazioni di salvataggio, comportanti l'emissione di una enorme quantità di moneta, il che è proprio ciò che il suo credo monetarista le impedisce di fare. Infine, non è nell'interesse dell'industria tedesca quello di ritrovarsi a due passi da casa delle economie, che, avendo recuperato la propria sovranità monetaria, sono in grado di alimentare la loro competitività di prezzo tramite svalutazioni competitive aggressive. Ricordiamo che la possibilità di far cessare le svalutazioni competitive delle valute deboli, come la lira, che creavano sul mercato tedesco posizioni competitive molto solide, fu uno dei motivi principali che indussero la Germania ad accettare l'euro ed a abbandonare l'amato marco.
Il vero disegno di Jürgen Il Forte, di Weber e più in generale della Bundesbank è chiaramente esposto, se lo si volesse leggere, in un'intervista agostana che il nostro amico (si fa per dire...) Jürgen ha concesso al Sole 24 Ore: in tale intervista, egli sostiene con chiarezza che non si può avere una unione monetaria in un contesto in cui permane la sovranità nazionale sulle politiche fiscali, senza rigidi, automatici e credibili sistemi di sanzioni per i Paesi che non adottano serie discipline di bilancio. Allora, il progetto della Bundesbank non contempla necessariamente l'espulsione dall'area-euro dei PIIGS, quanto piuttosto:
come “first best”, una unificazione delle politiche fiscali su basi europee, ovviamente con un taglio molto austero e restrittivo, realizzando la “gamba reale” che ancora manca per avere tutti gli strumenti atti a trasferire all'Europa il degradante esperimento fatto dai “Chicago Boys” nel Cile di Pinochet;
se ciò fosse irrealizzabile, come è, perché nessun Paese europeo è disposto a cedere la sua sovranità fiscale, introdurre un sistema automatico e rigido di sanzioni sui Paesi che non rispettano la disciplina di bilancio richiesta dal disegno monetarista. Ciò significa che i Paesi “inadempienti” dovrebbero vedersi automaticamente tagliati i trasferimenti europei, come ad esempio i fondi strutturali, o i fondi per la PAC, e dovrebbero non poter accedere a strumenti finanziari salva-Stati come l'Efsf seza aver prima concordato un credibile piano di rientro, con tappe e scadenze fisse e controllabili.
Inutile dire che con una simile rigida disciplina Grecia ed Irlanda sarebbero già fallite, ma poco importa ad un sacerdote del monetarismo come il nostro viticoltore. Sarebbero infatti fallite restituendo ai creditori esteri tutto il restituibile, spennate come polli, senza pesare sul bilancio europeo, ed anzi garantendo alla Germania, principale contribuente a tale bilancio, notevoli risparmi nei versamenti all'Efsf ed alla politica di coesione, risparmi che potrebbero essere utilizzati per ripagare le banche tedesche del residuo dei crediti non rimborsati dai Paesi falliti. A quel punto, gli Stati falliti, dopo esser stati spremuti come limoni, non sarebbero più neanche concorrenti temibili per l'industria tedesca. Sarebbero dei cadaveri senza più un tessuto produttivo e sociale atto a far ripartire la loro economia, e, a quel punto, la loro permanenza o uscita dall'area euro diverrebbe una scelta superflua.
Questo è il vero intento di Stark, di Weber e della Buba. Far uscire dalla crisi il sistema bancario ed industriale tedesco con i minori danni possibili, eliminando per sempre concorrenti mediterranei pericolosi. E sgravando la Germania dall'obbligo di contribuire finanziariamente al bilancio europeo, i cui principali beneficiari sono proprio i PIIGS: basti pensare che la Germania ha, come somma algebrica fra trasferimenti ricevuti dal bilancio europeo e contributi versati allo stesso, un saldo negativo annuo di 6,3 miliardi di euro, e contribuisce per circa il 19% al bilancio complessivo della UE. Viceversa, Spagna, Grecia e Portogallo hanno, cumulativamente, un saldo positivo pari a 6,9 miliardi di euro (dati al 2009). Deve bruciare non poco ai nostri monetaristi-nazionalisti della Bundesbank l'idea di dover mantenere finanziariamente degli stranieri. E particolarmente la fede calvinista del nostro Jürgen deve risultarne offesa e ferita, perché viene mortificato il principio di base secondo il quale la ricchezza va conquistata ed è un segno di privilegio divino, per cui l'eguaglianza è un concetto diabolico e anticristiano.
D'altra parte, la strada alternativa che sta provando la politica europea in questi mesi è impraticabile, per i canoni dogmatici duri e puri del monetarismo-nazionalista dei funzionari della Bundesbank. Gli acquisti di titoli del debito pubblico dei PIIGS effettuati dalla BCE equivalgono ad una importante creazione di nuova massa monetaria, cioè di fatto una monetizzazione del debito, che negli automatismi della mente semplice (ma forte...) del buon Jürgen equivale, sic et simpliciter, ad un rinfocolamento delle tensioni inflazionistiche, classiche forme attraverso le quali, sempre secondo il Nostro, Satana pervertisce le anime di politici e banchieri centrali. Che poi la fase recessiva che le economie europee vivono spenga qualsiasi tensione inflazionistica non è cosa che rientri negli schemi semplici, puri e rigidi della mente del nostro caro viticoltore. Che il tasso di inflazione dell'area-euro, ad Agosto, sia attestato su un modesto 2,5%, addirittura in discesa dal 2,7-2,8% dei mesi di Marzo-Giugno, nonostante le tensioni al rialzo del prezzo del petrolio indotte dalla sciagurata avventura militare in Libia, non è cosa che egli analizzi con la dovuta flessibilità mentale (benché tali dati siano pubblicati dall'ufficio studi della BCE, di cui Jürgen Il Forte era responsabile. Ma per lui contano solo le tendenze di medio periodo, ovvro il fatto che, in un anno, l'inflazione abbia guadagnato, udite udite, ben 0,9 punti. Mi viene da pensare che se Stark fosse vissuto ai tempi dell'iperinflazione di Weimar, si sarebbe suicidato). D'altra parte, per il puritanesimo calvinista/monetarista del nostro inflessibile agricoltore/economista tedesco anche l'utilizzo del fondo salva-Stati è peccato mortale, perché è un modo per allentare la disciplina di bilancio, illudendo i Paesi colpiti dal satanico gusto per la spesa pubblica che alla fine vi possa essere una ciambella di salvataggio che li salvi dal default. L'immane costo sociale ed umano che tali Paesi stanno pagando per accedere al fondo salva-Stati o agli acquisti di titoli del debito pubblico da parte della BCE non è questione che lambisca l'ingenuo e puro Jürgen. In questa ideologia monetarista (perché di ideologia si tratta, non di analisi economica o scientifica) gli Eurobonds, poi, sono addirittura la quintessenza sulfurea di Belzebù in persona, perché opererebbero un trasferimento del rischio sovrano dai singoli paesi debitori all'istituzione europea, quindi indirettamente anche alla Germania, che contribuisce notevolmente a sosteneren il bilancio.
In sostanza, come è facile vedere, gli uomini della “Buba”, pur aderendo al progetto-euro, per motivi di convenienza rispetto alla loro economia domestica, non hanno mai abiurato al loro nazionalismo: l'euro andava bene fino a che serviva gli interessi economici nazionali, quando crea problemi occorre abbandonare i panni ipocriti degli europeisti e chiedere una camicia di forza per i Paesi meno disciplinati.
Sarà interessante vedere che cosa succederà adesso. Sembra chiaro che a subire i danni maggiori dalla vicenda sia stata la Merkel, e la sua politica flessibile di gestione della crisi dei debiti sovrani. Sebbene la prima mossa sia stata quella di sostituire Stark con Asmussen, un socialdemocratico aperto a soluzioni politiche flessibili, la Merkel non può regionavolmente attendersi un sostegno convinto da parte della Spd, che in fondo è suo oppositore, e peraltro un partito la cui linea politica è piuttosto confusa e mutevole. Inoltre, le opinioni della Bundesbank fanno presa su una larga componente dell'opinione pubblica tedesca, facilmente persuadibile che gli si stia facendo “pagare il conto” dell'imprudenza finanziaria altrui (quando invece gli si sta facendo pagare il conto di una costruzione monetaria, come l'euro, fatta esclusivamente a servizio degli interessi dei grandi operatori finanziari e bancari, oltre che delle grandi imprese multinazionali, e che per questo richiede quella demenziale camicia di forza costituita dai vincoli di bilancio racchiusi nel patto di stabilità).
A fine Settembre, il Parlamento dovrà votare una risoluzione sulla legittimità della contribuzione tedesca all'Efsf, che la sentenza della Corte Costituzionale tedesca gli ha affidato. La Merkel, in caduta libera di consensi, non potrà proseguire nella linea relativamente “flessibile” (flessibile si fa per dire, ovvimente, visti gli immani sacrifici imposti ai popoli dei Paesi debitori, ma un estremista come Stark la considera, per l'appunto, flessibile) adottata sinora nella gestione della crisi, di fronte ad un'opinione pubblica radicalizzata, nel suo nazionalismo, dallo stesso gesto di Weber e di Stark. Ecco allora che la Merkel, 48 ore dopo le dimissioni di Stark, dopo un silenzio imbarazzato e stizzoso, dichiara che il sistema sanzionatorio per i Paesi inadempienti rispetto alle regole del patto di stabilità dovrà essere rafforzato, mentre il suo Ministro delle Finanze, Schaeuble, prepara piani segreti per pilotare il default inevitabile della Grecia, minimizzando il danno per le banche tedesche creditrici.
Quali saranno gli sviluppi? Evidentemente la Merkel dovrà adottare sempre più l'approccio-Bundesbank, se vuole conservare il cancellierato. La maggiore intransigenza da parte tedesca non potrà che accelerare la fine dell'euro come lo conosciamo oggi. La Grecia è oramai sull'orlo di un inevitabile default, e nel fine settimana, con un ennesimo gioco di prestigio del suo oramai non più credibile Governo, ha varato l'ennesima manovra restrittiva, del valore di 2,5 miliardi, basata su un'imposta straordinaria sugli immobili, che non potrà che deprimere ulteriormente una domanda catatonica, al solo fine di reperire le risorse per pagare gli stipendi ai funzionari della pubbblica amministrazione fino alal fine dell'anno, quindi solo per evitare la rivolta sociale che conseguirebbe al mancato pagamento dei salari pubblici. Lo spread raggiunto fra i Cds greci e quelli tedeschi equivale ad una probabilità del 97% di defualt del Paese ellenico: oramai, nei mercati finanziari, più nessuno crede che la Grecia possa salvarsi dal default, e tutte le grandi banche creditrici scontano la certezza di un haircut sui loro crediti nei confronti del Governo ellenico. Ma quando il redde rationem arriverà anche per per Spagna e Italia, la fine dell'euro ed il tracollo del sistema finanziario europeo saranno inevitabili. Ed allora gli egoismi nazionali emergeranno in tutta la loro evidenza, senza più nascondersi dietro i panni ipocriti di un europeismo fatto a pezzi dalla crisi finanziaria globale. E come sempre avviene nelle grandi crisi del capitalismo, l'aggressività nazionalistica diverrà sempre più distruttiva per gli equilibri economici e politici, con conseguenze inimmaginabili oggi. Questo è ciò che anche Jürgen Il Forte, con il suo gesto plateale, ha contribuito a creare.
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