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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 14 maggio 2012

Per una storia del Frente Amplio in Uruguay (seconda parte) di R. Achilli



In questa seconda parte del saggio sulla storia del Frente Amplio, dopo aver illustrato, nella prima parte, i lunghi anni di fondazione ed opposizione (1971-2004) si analizzano gli anni di governo di tale forza politica (2005-oggi).

L’ascesa al potere di un socialista



Dopo tanti anni di opposizione, dopo il disastroso governo di Batlle e la crisi economica profonda, arriva finalmente il momento della sinistra. Momento che però, stanti le regole elettorali vigenti con la nuova costituzione, sembra potersi avverare soltanto se uno dei due partiti tradizionali subisce un tracollo storico, scendendo di molto al di sotto delle sue percentuali “normali”, altrimenti gli apparentamenti fra blancos e colorados al secondo turno rischierebbero, nuovamente, come nel 1999, di far perdere il candidato del FA. Alle elezioni del 2004, avviene proprio il tracollo di uno dei due partiti tradizionali. La gestione disastrosa di Batlle accelera la crisi politica dei colorados, non tanto derivante da differenze programmatiche o politiche fra sinistra e destra, che oramai sono molto sfumate, stante il fatto che le correnti ancora sinceramente socialdemocratiche, dentro quel partito, sono molto minoritarie, e che la maggioranza ha adottato il paradigma liberista. Le contrapposizioni laceranti fra i colorados derivano, oramai, soltanto da conflitti di potere, personali, fra caudillos.

I colorados, oramai completamente screditati agli occhi dell’opinione pubblica per la mala gestione della grave crisi economica, presentano candidati alle primarie di modesto carisma, stante la rinuncia dei “pesi massimi” a competere in elezioni dai risultati quasi sicuramente disastrosi. Viene designato quindi, come candidato, Guillermo Stirling, ex Ministro dell’Interno di Sanguinetti (ed esponente della corrente capeggiata dallo stesso, il Foro Batllista) che sconfigge due oscuri travet, Iglesias per il pachequismo e Lombardo per la lista 15. Il modesto spessore del candidato non aiuta il Partido Colorado, che, con il 10,4% dei suffragi, ottiene il peggior risultato elettorale della sua storia, aprendo una crisi gravissima in tale partito.

Tabaré Vázquez, che si ripresenta per l’ennesima volta in tandem con il moderato Nin Novoa, corona la fase di crescita elettorale del FA vincendo al primo turno, con il 50,5% dei consensi, schiacciando al 34,3% il suo avversario blanco, Jorge Larrañaga. Sicuramente tale risultato eccellente è il prodotto dell’ampliamento della base elettorale del FA al centro, poiché il Nuevo Espacio di Michelini, dopo essersi presentato per anni da solo, rientra nel FA in modo organico, apportando un risultato elettorale pari al 4% circa, che però non pesca fra i delusi del PC, che si suddividono fra astensionismo (in crescita rispetto alle precedenti elezioni) e travaso di voti verso Larrañaga e quindi il PN, dimostrando come l’affievolimento progressivo della vocazione socialdemocratica del batllismo, dopo che tale corrente si è divisa fra due uomini di destra come Sanguinetti e Batlle, rende il PC del tutto intercambiabile, e politicamente affine, ai blancos, superando completamente l’acerrima rivalità storica che nel passato aveva diviso tali partiti (facendo somigliare l’arena politica del Paese in una specie di campo di calcio fra opposte tifoserie). Ma di fatto è a sinistra che si misura la vittoria del FA: le liste collegate all’MPP sono le più votate all’interno del FA, conquistando complessivamente il 15% dei voti complessivi.

Nonostante l’enorme investitura popolare (che si replica alle municipali, quando il FA, oltre a riconquistare per la quarta volta Montevideo, grazie a Ricardo Ehrlich, vicino all’MPP, conquista per la prima volta nella storia molti dipartimenti interni e rurali, vincendo in 7 dei 18 dipartimenti dell’interno del Paese) e la maggioranza parlamentare assicurata (solida nella Camera dei Rappresentanti, con 52 deputati frenteamplistas su 99, appena sufficiente, e quindi fragile, al Senato, con 16 frenteamplistas su 30) Vázquez si trova di fronte ad una presidenza molto difficile, innanzitutto per lo stato disastroso in cui versa il Paese, che eredita dopo oltre 30 anni di governi di destra, prima militari e poi civili. Deve amministrare un Paese in cui circa 250.000 cittadini, su 3,3 milioni, sono emigrati; in cui il 40% della popolazione guadagna meno di 72 euro al mese, mentre l’indice complessivo dei salari reali è pari ad appena il 76% del valore, già molto basso, del 1996; la povertà colpisce il 40% della popolazione, l’indigenza il 5%, mentre il tasso di disoccupazione si attesta al 13%.

La privatizzazione della sanità e della previdenza costringe centinaia di migliaia di lavoratori a dover ritagliare, sulle loro misere paghe, i soldi necessari a pagare la mutua sanitaria o l’AFAP. Nel solo anno 2005, anno di inizio del mandato di Vázquez, in un Paese così piccolo, si registrano 104.000 furti (in crescita del 37% rispetto al 2002), 8.300 rapine (+20% sul 2003), 9.500 reati di lesioni personali (+10% sul 2002), 1.200 reati sessuali e 188 omicidi. Il traffico di pasta-base è in piena fioritura: le condanne penali legate al traffico di stupefacenti sono cresciute del 47% fra 2001 e 2005, cioè in soli quattro anni. Interi quartieri di Montevideo, come il Barrio Marconi, sono controllati dalle bande di spacciatori, e la polizia rinuncia anche ad effettuarvi le normali operazioni di pattugliamento.

Persino gli sforzi di risanamento delle finanze pubbliche, pagati con decenni di salassi sociali, sono stati vanificati dalla crisi: il bilancio pubblico è nuovamente in disavanzo, ed il debito pubblico rispetto al PIL è di nuovo in forte crescita, specie nella sua componente estera, come si è visto nella prima parte di questo saggio.

In sostanza, il neo Presidente deve prendere in carico un’economia in grave difficoltà, ed un tessuto sociale lacerato. E con una coalizione scissa fra la sua ala sinistra, in forte crescita e che reclama un maggiore peso nelle decisioni di politica economica e sociale, e le componenti socialdemocratiche più moderate, guidate da Astori, che invece rivendicano la loro competenza esclusiva su tali decisioni. Il tutto con una maggioranza, al Senato, molto labile.

In tale situazione drammatica ed in questo scenario politico molto delicato, il programma di Governo proposto da Vázquez durante la sua campagna elettorale è la sintesi di decenni di lenta, ma progressiva, svolta socialdemocratica del Frente Amplio (che rispetto al programma originario del 1971 abbandona quindi ogni indicazione circa un possibile superamento del capitalismo) indotta dal peso crescente, esercitato nel dibattito interno al FA, da parte di Astori (per quanto riguarda le politiche economiche) e dello stesso Vázquez, sostenuti dall’ingresso nel FA di componenti centriste, come Alianza Progresista di Nin Novoa o il Nuevo Espacio di Michelini. Tale programma è quindi incentrato sui seguenti punti: 

-          Lotta all’esclusione sociale più estrema, tramite meccanismi redistributivi;

-          Maggiore ascolto, da parte delle istituzioni, alle istanze provenienti dall’opinione pubblica;

-          Ripresa del processo di ricerca dei resti dei desaparecidos della dittatura;

-          Politiche di promozione dell’innovazione tecnologica, della scienza e dell’istruzione;

-          Rilancio di una nuova politica economica, a sostegno delle attività produttive (agricoltura, industria) e delle PMI;

-          Maggiore integrazione nel Mercosur.

Detto programma, di chiara ispirazione socialdemocratica, ed a parere di chi scrive eccessivamente prudente rispetto agli enormi fabbisogni sociali del Paese, viene messo sotto forte tensione dalla spettacolare crescita del peso elettorale del MPP, spinta dal disastroso impoverimento del proletariato nazionale. Vázquez, un negoziatore navigato, riuscirà però a impedire al MPP di esercitare una pressione significativa per spostare più a sinistra il suo programma molto moderato, stipulando un patto politico con “Pepe” Mujica: in cambio di un sostanziale lasciapassare rispetto al programma di governo di Vázquez, a Mujica viene assicurato un incarico ministeriale molto pesante e di grande potere, ovvero il dicastero dell’Agricoltura ed Allevamento (va ricordato che tale settore rappresenta il 12% del PIL nazionale, ed è quindi più importante persino dell’industria manifatturiera), un luogo di grande potere, dove è possibile crearsi reti di consenso fra gli agricoltori e le associazioni di categoria, utili per consolidare una leadership che, nelle intenzioni di Mujica, avrebbe dovuto portarlo ad essere il prossimo Presidente della Repubblica, mentre un altro dirigente dell’MPP, “el bicho” Eduardo Bonomi, viene spedito al Ministero del Lavoro e della Sicurezza Sociale, in modo da consentire all’MPP di fregiarsi, di fronte ai propri elettori, dei risultati delle politiche di contrasto all’esclusione sociale che sono parte fondamentale del programma di governo. Viene inoltre creato ex novo il Ministero dello Sviluppo Sociale, affidato alla comunista Marina Arismendi, che durante la dittatura militare ha vissuto nella DDR. In cambio, il socialdemocratico Danilo Astori viene nominato Ministro dell’Economia, in modo da garantire l’attuazione del programma economico socialdemocratico di Vázquez, ed impedire all’MPP di mettere il naso nella conduzione della politica economica.

Con tale assetto, il primo Governo del FA affronta la situazione difficilissima in cui versa il Paese con un certo successo, seppur largamente al di sotto delle esigenze del proletariato, per via dell’eccessiva prudenza dell’approccio. Implementa nel 2006 una radicale riforma tributaria, che elimina 12 imposte, semplificando il sistema, con la cancellazione di imposte di basso gettito, o distorsive del funzionamento del mercato, e comunque implicanti una grande farraginosità nell’attività amministrativa di gestione, sostituendole con tre grandi imposte, una sulle società, che prevede una serie di facilitazioni per l’attività imprenditoriale (aliquota più bassa rispetto al passato, ampliamento del periodo di deducibilità delle perdite per gli start up a lenta maturazione, regime semplificato per PMI ed imprese agricole, deducibilità degli utili reinvestiti nell’impresa), una sul reddito delle persone fisiche, basata sul sistema duale (ovvero una tassazione progressiva sul reddito da lavoro ed assimilato ed una fissa sul reddito da capitale) e che per la prima volta colpisce anche i redditi da pensione (ovviamente qualora siano di ammontare superiore al reddito minimo garantito, non imponibile) generando quindi un aggravio di pressione fiscale per le pensioni medie e alte e per i titolari di redditi da capitale (ivi compresi i titolari di conti correnti bancari). Viene inoltre mantenuta l’imposta sul patrimonio, modificandola in modo da favorire la patrimonializzazione delle imprese. Infine, l’IVA viene ridotta, con l’aliquota di base che passa dal 23% al 22%, e quella sui beni di prima necessità (essenzialmente i prodotti alimentari di base) che passa dal 14% al 10%, ma estendendo l’applicabilità dell’IVA anche a beni e servizi prima esonerati.

Nell’insieme, la riforma del sistema tributario è mirata a ridurre il carico fiscale sui redditi più bassi (azzerando la tassazione per i titolari del reddito minimo garantito, che peraltro viene incrementato per legge), ed a aumentarlo su quelli medio-alti, ad universalizzare le basi imponibili, eliminando le fattispecie esonerate da imposizione (spesso fattispecie economicamente privilegiate) oltre che a stimolare l’attività produttiva, la ripresa degli investimenti privati, l’attrazione di investimenti esterni, lo start up di nuove imprese e la patrimonializzazione delle stesse. Comporta una riduzione strutturale di gettito molto importante, che secondo alcune proiezioni potrebbe essere pari al 6,1% del PIL. Suscita però grandi proteste fra i pensionati titolari di pensioni medie, quindi in un settore importante del ceto medio, precedentemente esonerato.

Viene inoltre riformato parzialmente il sistema sanitario, con la costituzione di un fondo sanitario pubblico, alimentato da contributi dei lavoratori e delle imprese, che estende la copertura finanziaria pubblica ad una serie di categorie di reddito e socio-professionali, senza però arrivare ad una copertura  sanitaria pubblica integrale (lasciando quindi categorie ampie del ceto medio alle prese con le assicurazioni sanitarie private) e quindi marcando una vittoria solo parziale rispetto agli interessi del business sanitario privato.

Si mette in campo un piano di emergenza sociale, gestito dalla Arismendi, basato su trasferimenti monetari diretti, programmi socioeducativi di comunità, lavori socialmente utili, programmi sanitari pubblici mirati su specifiche patologie, costruzione di rifugi per i senza tetto, tessere per acquisti di prodotti alimentari di base, programmi di assistenza alla ristrutturazione e miglioramento di abitazioni precarie, incentivi per l’avvio di nuove imprese gestite da soggetti in condizioni di esclusione sociale.

Si affianca a tale piano anche il “plan Ceibal”, mirato alla costruzione di competenze informatiche ed al superamento del digital divide già nelle scuole primarie pubbliche, fornendo agli alunni dei computer portatili, lavagne digitali e corsi di informatica. Più in generale, il Governo del FA inverte la tendenza degli anni precedenti, marcata da un continuo calo del budget per l’educazione pubblica, riportandolo su valori prossimi al 4,8% del PIL.

Va anche a merito del Governo-Vázquez la reintroduzione dei Consejos de Trabajo, cioè dei luoghi della contrattazione collettiva di comparto dei salari e delle condizioni di lavoro, che, come si ricorderà, furono abrogati da Lacalle, e non più reintrodotti né da Sanguinetti né da Batlle, conducendo ad un modello sindacale di tipo aziendale, molto penalizzante per i diritti dei lavoratori.

Nell’insieme, la politica sociale del Governo del FA raggiunge risultati solo parziali, stante la gravità della situazione, difficilmente migliorabile in tempi brevi, nonostante l’ampiezza dell’intervento messo in campo. Le condizioni di indigenza più gravi vengono effettivamente ridotte in modo notevole, con la quota di persone in povertà assoluta che passa dal 4% nel 2005 all’1,6% nel 2009. Ma la povertà relativa rimane alta, anche se in riduzione, passando dal 37% al 21%. Le categorie di reddito medio-basse, ovvero coloro che stanno appena al di sopra della linea di povertà, in pratica quasi non beneficiano degli effetti delle politiche sociali e fiscali messe in campo, mirate a combattere la povertà più estrema.

In materia economica, di fatto, durante la Presidenza di Vázquez l’Uruguay ha beneficiato certamente di un nuovo sviluppo del mercato interno grazie alle politiche keynesiane e redistributive adottate, ma ha anche beneficiato di un ciclo macroeconomico esogeno molto favorevole, e della crescita rapida dei mercati interni brasiliano ed argentino ,che assorbono il 70% dell’export uruguayano, ed ha potuto quindi sperimentare una fase di crescita del PIL su tassi molti alti (mediamente il 7% all’anno) senza praticamente fare alcuna politica industriale vera e propria, né alcuna riappropriazione di una capacità di programmazione pubblica delle politiche economiche, che fosse basata anche sulla rinazionalizzazione di imprese nei settori strategici (ed anche le politiche di potenziamento dell’innovazione tecnologica si fermano ad alcuni risultati di tipo meramente istituzionale, ma senza un vero e proprio rilancio dell’attività di ricerca scientifica ed innovazione, il che condurrà l’Universidad de la Republica a criticare duramente l’operato di Vázquez in questo ambito). In materia di politiche industriali, il Governo si limita soltanto a fare, oltretutto in modo non sistematico e soltanto occasionale, un po’ di attrazione di investimenti esteri (ed in proposito, la concorrenza fatta all’Argentina nello strappare l’investimento della multinazionale della cellulosa, la spagnola Botnia, ha creato un lungo strascico di problemi, con una ritorsione commerciale molto grave esercitata dall’Argentina, e tradottasi nel blocco quasi totale dei principali viadotti di collegamento fra Argentina ed Uruguay fino a tutto il 2010, che ha richiesto, per la sua rimozione, addirittura una sentenza del Tribunale internazionale dell’Aia, ed incalcolabili danni economici al settore turistico uruguayano).

In sostanza, il Governo di Vázquez ha beneficiato di fattori esterni, ovvero degli effetti di trascinamento della crescita economica dei suoi vicini, facilitati dalla appartenenza del Paese al Mercosur: la ripresa è infatti chiaramente export-oriented, e quindi guidata da fattori esterni al Paese, nella misura in cui le esportazioni, fra 2004 e 2009, crescono ad un tasso esplosivo del 130%, soprattutto grazie a boom economico del Brasile di Lula (infatti l’export uruguayano verso il Brasile cresce del 130% fra 2004 e 2009) e dell’Argentina (Paese verso cui l’export uruguayano si incrementa di oltre 56 punti) ma anche grazie all’export alimentare verso la Cina, il cui mercato interno è in piena crescita (+110%). Tale rapida crescita export-oriented favorisce una netta discesa del tasso di disoccupazione (-7 punti).

Nonostante l’evidente vantaggio del Mercosur, come strumento di emancipazione dal colonialismo economico e commerciale statunitense, e come strumento di spinta alla crescita economica interna, Vázquez, mettendo in luce una certa ambiguità ed opportunismo, nel 2006 riprova a stipulare un accordo di libero commercio con gli USA, come provò a fare Batlle, e viene anch’egli sconfitto dalla intransigente opposizione effettuata dal MPP, dai comunisti e addirittura dai suoi stessi compagni del partito socialista, capeggiati da Reynaldo Gargano. Ad ogni modo, favorisce anche l’ingresso del Venezuela nel Mercosur e ripristina i rapporti diplomatici con Cuba.           

Ambiguità ed opportunismo che si ritrovano anche nella gestione dello scottante dossier sui crimini della dittatura, altra promessa elettorale di Vázquez. Da un lato, il Governo ha iniziato ad effettuare scavi nelle caserme dell’Esercito e della Marina, alla ricerca dei resti dei desaparecidos, ed ha sottoposto a processo, ed a dure condanne carcerarie, i principali responsabili della dittatura ancora in vita (Bordaberry, Alvarez, Fons, Gavazzo, Larcebeau, Ramas, Silveira, Gilberto Vázquez, Arab, Medina, Lima, mentre l’arresto di Troccoli, rifugiatosi in Italia, sarà reso impossibile dal rifiuto italiano di estradarlo) derogando quindi di fatto alla ley de caducidad approvata nel 1985 da Sanguinetti, ma rifiuta di prendere una iniziativa legislativa per cancellarla anche formalmente, giustificandosi con il fatto che il referendum per la sua abrogazione, tenutosi nel lontano 1989, non ha ottenuto la maggioranza necessaria, ed in questo modo vengono processati soltanto i principali responsabili, mentre centinaia di militari e poliziotti di rango medio-basso, che avevano comunque preso parte ai sequestri, alle uccisioni ed alle torture, rimangono impuniti.

Così come è impossibile tacere circa l’atteggiamento di Vázquez molto amichevole nei confronti della Chiesa cattolica, e dei suoi settori più integralisti, un atteggiamento assolutamente inaccettabile per chi, richiamandosi ai valori socialisti, dovrebbe difendere i principi di laicità dello Stato, e che lo conduce a non prendere nemmeno in considerazione progetti di legge sul testamento biologico o sul matrimonio omosessuale, ed a usare le sue prerogative presidenziali per porre il veto al disegno di legge che introduce l’aborto.              

In definitiva, il giudizio politico sul quinquennio di Tabaré Vázquez è a luci ed ombre: certamente i risultati in materia di politiche sociali si sono visti sulle fasce estreme dell’esclusione sociale (ma molto meno su quelle di povertà relativa) e quindi sulla domanda interna, così come estremamente importanti sono i progressi fatti in materia di pubblica istruzione e di relazioni industriali.  Tuttavia, soprattutto in relazione alle aspettative che aveva suscitato la lunga marcia verso il potere del FA, Vázquez fallisce, in buona misura, l’obiettivo di trasformare in profondità le basi sociali del Paese, limitando la sua azione, complessivamente scarsamente coraggiosa, ad apportare alcuni correttivi ad un assetto sociale ed economico divenuto, dopo più di 30 anni di neoliberismo, francamente insostenibile.

Si può sostenere, con ragione, che il compito di trasformare in profondità il Paese era improbo, stante il livello di degrado raggiunto, la precaria maggioranza al Senato, la vivacità del dibattito interno al FA e le posizioni anche molto diverse. Però, d’altro canto, il Governo di Vázquez è stato benedetto dalla congiuntura macroeconomica internazionale più favorevole che fosse possibile immaginare, da una condizione di eccezionale debolezza dell’opposizione borghese, con i due partiti tradizionali, ed in particolare i colorados, divisi da faide interne, e avrebbe potuto appoggiare una politica più radicale tramite la ritrovata forza elettorale e politica del lato sinistro del FA, ed in particolare dell’MPP.

Invece, il nostro preferisce dialogare, se non addirittura appoggiarsi, sui poteri forti della destra, sulla Chiesa, sulla borghesia imprenditoriale (beneficiata dalla rinuncia a qualsiasi politica industriale interventista) ed i suoi rapporti con gli USA. Si tratta di una scelta precisa, da parte del luminare dell’oncologia prestato alla politica. Una scelta che, a sommesso parere di chi scrive, non è all’altezza dei problemi sociali enormi che il Paese affronta, che richiederebbero ben altra determinazione, ben altro radicalismo.


L’ex tupamaro dà l’assalto al Palazzo d’Inverno


In questo clima di aspettative in larga misura deluse, si crea la spinta decisiva per una svolta più radicale del FA, con la candidatura del leader dell’MPP, José “Pepe” Mujica, per le presidenziali del 2009. Alle elezioni primarie del FA, infatti, Mujica schiaccia letteralmente il candidato unitario delle componenti centriste del FA, sostenuto anche da Vázquez e dai socialisti, ovvero l’ex Ministro dell’Economia e leader di Asamblea Uruguay Danilo Astori, l’autore della riforma fiscale nella precedente legislatura. Mujica ottiene infatti il 52,1% dei voti, a fronte del 39,7% di Astori e dell’8,3% dell’indipendente, ex socialista ed ex comunista, Marcos Carámbula. I risultati di tale processo elettorale rappresentano il culmine di una lunga, e per certi versi lacerante, battaglia interna, iniziata nel 2008, quando Astori, pur essendo chiaramente e nettamente sfavorito nei sondaggi, rifiuta la proposta ufficiale della direzione politica del FA, di presentare Mujica come candidato unitario, e di candidare Astori alla vicepresidenza. Inizia così un lungo e dilaniante dibattito interno, non privo anche di toni molto aspri, e scarsamente comprensibili ai militanti di base, in cui i settori moderati del FA si oppongono in ogni modo all’ipotesi, pur naturale e normale in condizioni di democrazia, che il candidato venga espresso dalla componente politica con più voti, ovvero, per l’appunto, l’MPP.

In sostanza, i moderati del FA rifiutano l’idea che la politica riformista molto prudente di Vázquez, e dello stesso Astori come Ministero dell’Economia, abbia deluso molte aspettative nell’elettorato frenteamplista, ed intendono riproporla per il successivo quinquennio. Adducono come principale ragione il timore di perdere l’elettorato piccolo borghese e centrista, proponendo esattamente lo stesso errore di prospettiva politica che propone il PD in Italia, non capendo cioè che tale area elettorale è già più che coperta dai partiti tradizionali, e che non ha alcun motivo di votare per il FA, e se lo ha fatto negli anni passati, ciò è solamente un fatto eccezionale, legato al particolare degrado del tenore di vita di tali strati sociali, che li porta temporaneamente ad assumere posizioni più radicali (come peraltro insegna lo stesso Marx).

L'errore di Astori, e della componente moderata del FA, con la decisione di andare comunque ad una sconfitta certa alle primarie (nonostante il fatto il candidato socialista, Daniel Martinez, si ritiri, facendo convergere i voti socialisti su Astori) non fa altro che prolungare fino al 2009 un conflitto interno acido, che disorienta militanti e simpatizzanti, con il risultato che il numero di votanti alle primarie del FA è particolarmente basso, e ciò dà ai blancos, ovvero il partito con il maggior numero di elettori alle primarie, un vantaggio di immagine notevole sul FA. Il rifiuto, davvero infantile, da parte di Astori, di presentarsi all’atto di proclamazione della vittoria di Mujica alle primarie, dà un ulteriore colpo all’immagine di un FA che deve presentarsi ad una difficile tornata elettorale, ed accredita il sospetto che i moderati del FA, piuttosto che vedere Mujica vincitore alle presidenziali, preferiscano far vincere un partito avversario del FA.

José Mujica, chiamato familiarmente Pepe, è un ex guerrigliero tupamaro, che si è fatto 15 anni di carcere militare in condizioni particolarmente dure (praticamente era recluso dentro una buca scavata sottoterra) come “ostaggio” (nel senso che, per i detenuti politici come lui, i militari si riservavano il diritto di  condanna a morte, nel caso in cui i tupamaros avessero ripreso la guerriglia armata) ed è particolarmente amato dal popolo per il suo modo di parlare particolarmente franco e diretto, e per le sue “sparate”, ma anche per i suoi comportamenti particolarmente semplici ed umili (rifiuta la scorta, continua a vivere nella sua piccola azienda agricola fuori Montevideo, girando con una scassata Volkswagen Maggiolone). Il primo giorno del suo mandato come senatore, nel 1994, si presenta al Palazzo Legislativo cavalcando una vecchia motocicletta, ed entra vestito con un giubbotto di pelle e gli stivali da motociclista.                                                                         

Per la tradizione del partito che guida, l’MPP, appare l’uomo giusto per dare finalmente la svolta a sinistra alle politiche del FA. Ma il suo programma elettorale risente dell’esigenza di fare un compromesso con il leader riformista, ovvero Astori, al fine di evitare che questa componente esca dal FA, spaccandolo proprio alla viglia del voto. Quindi, di fatto, si accorderà con Astori per una piattaforma politica di tipo socialdemocratico, di continuità con le politiche di Vázquez, benché nei suoi discorsi elettorali parli della necessità di restituire allo Stato la terra, perché la distribuisca a chi la lavora, critichi severamente il capitalismo finanziario, accenni vagamente a progetti di autogestione dei lavoratori, e vari un programma elettorale vagamente socialisteggiante, imperniato sulle seguenti proposte:

1)      Un maggior ruolo dello Stato nell’economia, tramite forme parziali di controllo dei prezzi dei beni di prima necessità, ed il ripristino di controlli e dazi delle importazioni, al fine di evitare la concorrenza sui settori considerati strategici, nonché il recupero di una politica industriale pubblica settorialmente selettiva;

2)      Un potenziamento dell’educazione pubblica, ottenuto tra l’altro anche con l’aumento del numero di scuole a tempo pieno, al fine di innalzare la qualità dell’insegnamento anche per le classi sociali più povere;

3)       Un vasto piano di edilizia popolare;

4)      Il superamento del segreto bancario per finalità di lotta contro l’evasione fiscale;

5)      La creazione di un polo tecnologico di eccellenza specializzato nel settore agricolo e zootecnico;

6)      Il disincentivo alla vendita all’estero della terra, che dovrà essere amministrata da un soggetto pubblico e redistribuita prioritariamente ai residenti che intendano lavorarla.

L’accettazione, da parte di Astori, della candidatura a vicepresidente, con l’accordo che, in materia di politiche economiche, l’ultima parola sarà la sua, segnala che Mujica, in realtà, ha accettato una sostanziale continuità con la precedente esperienza di Governo, magari un po’ più radicale, ma non troppo. Infatti, sin da subito Mujica precisa che Astori sarà molto più di un vicepresidente, qualificandolo come un “primo ministro de facto”.


 
Il tandem presidenziale del FA nel 2009: Mujica (a sin.) ed Astori (a ds.)


Inoltre, ed a prescindere dai tratti socialisteggianti del suo programma, Mujica, per conquistarsi la non ostilità del Capitale, dichiara, in piena campagna elettorale, e provocando un’ondata di polemiche dal settore più a sinistra del FA, che il suo futuro governo avrebbe venduto quote del capitale delle imprese di proprietà dello Stato, e che è necessario “non impaurire il capitale”, e implementare politiche che rendano l’Uruguay più attrattivo per gli investimenti diretti esteri. Per tranquillizzare ulteriormente il Capitale, Mujica sceglie con attenzione le sue visite all’estero durante la campagna elettorale, evitando Chávez, e visitando invece la Bachelet in Cile e Lula in Brasile. Lo stesso Economist, alla vigilia delle elezioni, “sdogana” Mujica agli occhi del Capitale globale, affermando che l’Uruguay non è un Paese a rischio di essere governato dall’estrema sinistra.

Nonostante la moderazione di Mujica, che lascia intendere che non vi sarà una svolta a sinistra rispetto al primo governo frenteamplista, la campagna elettorale è particolarmente aspra, e piena di colpi bassi, e testimonia del nervosismo della borghesia nazionale, spaventata non tanto dalle politiche economiche e sociali del FA, già sperimentate nel 2004-2009, quanto piuttosto dalla possibilità che Mujica possa riaprire i conti, non ancora del tutto chiusi, con gli anni della dittatura e con i suoi responsabili, nonché i suoi fedeli esecutori, ancora annidati nelle Forze Armate, nella polizia e nella pubblica amministrazione, e con la base borghese che fornì consenso alla dittatura. Si ricordi infatti che Vázquez ha fatto processare solo i vertici, e non il corpo intermedio che operò a favore della dittatura. Una espressione poco felice nei confronti degli argentini e del peronismo, che Mujica si fa sfuggire davanti ad un giornalista, diventa terreno di una polemica enorme, con il candidato blanco, il vecchio Lacalle che si ripresenta per l’ennesima volta, che dà del “maoista” al Pepe e lo stesso Vázquez, che anziché starsene zitto, attacca il candidato del suo stesso partito, dicendo che le sue dichiarazioni “sono stupidaggini”. Pochi giorni prima del ballottaggio, “casualmente” la polizia scopre, nella periferia di Montevideo, un tizio, tale Feldman, che in passato ebbe qualche contatto indiretto con i tupamaros, e la cui casa è piena zeppa di armi e munizioni di tutti i tipi. Durante la sparatoria, purtroppo, un giovane agente ai suoi primi giorni di servizio, privo di giubbotto antiproiettile, viene ucciso. Benché sia subito chiaro che tale tizio detiene un magazzino di armi per finalità tutt’altro che politiche, poiché le vende alla malavita comune, immediatamente Lacalle, spalleggiato da Battle, l’idiota che durante il suo quinquennio presidenziale ha mandato il Paese a picco, e che ora, pur non essendo candidato, risorge come un cadavere da una tomba, cercano di far montare uno scandalo, affermando che Mujica è ancora in contatto con una struttura terroristica sotterranea, e che ha intenti eversivi. Dai settori meno deliranti del centro-destra proviene invece una critica allo scarso livello di addestramento ed equipaggiamento delle forze dell’ordine dopo il quinquennio di governo del FA, evitando però di ricordare che il progressivo taglio al budget del Ministero dell’Interno, che ha messo in ginocchio la polizia, è stato attuato proprio dai governi colorados e dal governo blanco di Lacalle. Per finire con la delegittimazione di Mujica, per buona parte della campagna elettorale circola la voce, priva di riscontri oggettivi, che la sua campagna sia finanziata dai coniugi Kirchner.

Nonostante, quindi, l’enorme popolarità ed il carisma personale di Mujica, e nonostante il totale dissesto politico dell’opposizione, che non trova niente di meglio che candidare una vecchia cariatide totalmente screditata agli occhi delle classi popolari, come Lacalle per il PN, ed un giovane politico, dinamico ma imparentato con l’ex dittatore Bordaberry, come Pedro Bordaberry, per i colorados, gli effetti della sporca campagna di discredito di Mujica, e soprattutto delle divisioni interne al FA, si fanno sentire. Infatti, a differenza di Vázquez, Mujica, sia pur per una piccola manciata di voti, non riesce a farsi eleggere al primo turno. Ottiene infatti il 48%, in discesa rispetto al risultato di Vázquez. La differenza con il suo avversario diretto, Lacalle, è però enorme (quest’ultimo prende il 29,1%) tale cioè da lasciar prefigurare un comodo successo al ballottaggio, mentre, grazie alla faccia nuova di Bordaberry, i colorados risalgono la china rispetto al disastroso esito del 2004, prendendo il 17%. Il candidato del Partido Independiente, nato da una scissione del Nuevo Espacio, quando questo è rientrato nel FA, prende il 2,5%. Il FA vede riconfermata la sua maggioranza parlamentare, che però è indebolita rispetto al 2004, e quindi promette di creare problemi di governabilità: ottiene infatti 50 deputati (rispetto ai 52 del 2004) e 16 senatori, esattamente la cifra minima necessaria per avere la maggioranza in ognuna delle due camere.

Il periodo intermedio fra primo e secondo turno è caratterizzato dalla controffensiva dei partiti borghesi, terrorizzati da una presidenza-Mujica, nonostante la svolta socialdemocratica e dialogante di questi: Bordaberry assicura immediatamente i voti colorados a Lacalle, ed esplode il già rammentato “caso Feldman”. Nonostante ciò, al secondo turno Mujica vince con il 52,6% dei consensi, contro il 43,3% di Lacalle ed una quota molto alta, pari al 4%, di voti in bianco o annullati. Il risultato del voto evidenzia immediatamente che settori non piccoli dell’elettorato colorado non hanno seguito l’indicazione di voto del loro leader, ed in alcuni casi hanno addirittura votato a favore del candidato frenteamplista, mentre in altri si sono astenuti o hanno votato in bianco. Evidentemente, il ricordo del macello sociale fatto da Lacalle durante la sua presidenza (cfr. I parte) è ancora vivo, anche perché questi, con le sue dichiarazioni in campagna elettorale (“occorre passare con il tagliaerba sulla spesa pubblica”) non fa niente per farlo dimenticare.  

Mujica inizia il suo mandato il 1 Marzo 2010, ed è quindi oggi quasi alla metà del suo periodo presidenziale. Fin dal giorno della presentazione del programma di governo, rende ancora più chiara la continuità sostanziale con la linea socialdemocratica di Vázquez. Viene rispettata la decisione, già annunciata in campagna elettorale, di lasciare nelle mani di Astori, e dunque della componente più moderata del FA, la gestione dell’economia: al Ministero dell’Economia viene infatti nominato Fernando Lorenzo, del Nuevo Espacio. All’Industria va il socialista Kreimerman, alle Opere Pubbliche un seguace di Astori, Pintado. Le politiche sociali vanno invece alla sinistra, con la comunista Vignoli al Ministero dello Sviluppo Sociale, la Muslera, dell’MPP, al Ministero dell’Edilizia Popolare e dell’Ambiente, mentre il Lavoro e Sicurezza Sociale viene assegnato a Eduardo Brenta, appartenente alla Vertiente Artiguista, ma molto vicino all’area più radicale del FA. Dopo qualche mese, il Ministero della Sanità Pubblica passa anche esso alla sinistra, con il comunista Jorge Venegas. Si ripete quindi lo schema del governo-Vázquez: economia alla componente più centrista, sociale a quella più radicale.

Il programma di Governo è tipicamente socialdemocratico, essendo imperniato sui seguenti assi:

-          Eliminazione totale dell’indigenza assoluta e dimezzamento dell’indice di povertà relativa;

-          Potenziamento dell’educazione pubblica, tramite l’aumento delle scuole a tempo pieno;

-          Attrazione di investimenti diretti esteri, soprattutto nel comparto industriale ed estrattivo, anche tramite la privatizzazione di parte delle partecipazioni statali;

-          Aggiustamento della riforma fiscale fatta da Astori nel precedente Governo frenteamplista, per renderla più equa;

-          Riforma della pubblica amministrazione, per renderla più efficiente e veloce;

-          Varo di un piano socio-abitazionale, denominato “Juntos” (cofinanziato dalle imprese, dalla vendita di proprietà pubbliche in disuso, ma anche dall’87% dello stipendio presidenziale dello stesso Mujica) mirato a costruire case popolari ed a ridurre la popolazione stipata nelle bidonville;

-          Rilancio di una politica energetica in grado di assicurare l’autosufficienza energetica al Paese.

Come era del tutto prevedibile, le componenti più “socialiste” del programma elettorale di Mujica (come ad esempio la pubblicizzazione della terra o i progetti di autogestione operaia) vengono rapidamente cancellate e dimenticate.

L’attuazione di Governo di Mujica, finora, è assolutamente in linea con quanto fatto da Vázquez, con l’unica differenza di uno stile meno compassato e più popolano, per non dire casereccio. Le politiche economiche e sociali proseguono sulla falsariga di una socialdemocrazia nemmeno particolarmente radicale, con un Governo che fa i ponti d’oro per attrarre investimenti esteri purchessia, anche quelli i cui benefici economico-sociali per il Paese sono dubbi, mentre l’impatto ambientale è devastante. E’ il caso del tanto dibattuto progetto Aratirí, il progetto di una enorme miniera di ferro a cielo aperto, da realizzarsi nell’entroterra agricolo dell’Uruguay, su una superficie gigantesca (si parla di 6.200 ettari solo per la miniera vera e propria) con annessa una condotta di trasporto del minerale e la realizzazione di un terminal portuale a Rocha. Il progetto pone più di un interrogativo in ordine al suo impatto economico ed ambientale: l’azienda proponente, l’indiana Zamin Ferrous, non è del tutto trasparente quanto ad assetto societario, l’impatto ambientale complessivo riguarderebbe un’area molto vasta, di 150.000 ettari, coinvolgendo anche alcune zone umide ecologicamente molto delicate, mentre d’altra parte non è stato realizzato nessun vero e proprio studio di fattibilità indipendente, per misurare i benefici economici ed occupazionali della realizzazione di tale progetto per il Paese (quindi manca un’analisi costi/benefici che includa anche costi e benefici ambientali e sociali, oltre a quelli meramente finanziari).

Da questo punto di vista, il Governo Mujica, fin dall’inizio favorevole al progetto, tanto da tentare addirittura di modificare il Codice minerario per facilitare l’impresa proponente, si è ritrovato ad essere scavalcato a sinistra non soltanto dalle popolazioni dell’area interessata al progetto, del tutto contrarie, ma anche da intellettuali di tutte le tendenze politiche, che hanno sottoscritto un appello contro il progetto, e dalla stessa opposizione: il blanco Larrañaga, insieme a molti colorados, si oppone con decisione. Il rischio che tale progetto distrugga definitivamente vocazioni produttive di grande interesse prospettico, come l’agricoltura di qualità, l’agriturismo ed il turismo rurale, per implementare un’attività estrattiva le cui ricadute economiche sono del tutto dipendenti dalla volubilità dei mercati internazionali delle materie prime, mentre i danni ambientali e sociali sarebbero permanenti, dovrebbe portare un Governo di sinistra a riflettere molto approfonditamente. Ed invece Mujica, insieme al FA, ha fatto il gioco del “poliziotto buono e del poliziotto cattivo”, aggiungendo ambiguità alle posizioni ufficiali della sinistra: mentre da un lato il Presidente si decide a congelare il progetto, in attesa di uno studio di fattibilità più preciso (che però, anziché essere affidato ad un soggetto indipendente, è lasciato alla stessa impresa proponente, traducendosi in una presa in giro) l’MPP, come partito, lancia una campagna a favore del progetto minerario.

Così come, sempre rimanendo in tema di attrazione di investimenti, è riprovevole l’atteggiamento opportunistico del Governo uruguayano rispetto alla vicenda della nazionalizzazione, da parte dell’Argentina, dell’azienda spagnola YPF, quando invita gli investitori esteri ad andarsene dall’Argentina per venire in Uruguay, dove “nessuno mai gli nazionalizzerà l’azienda” (dopo aver ipocritamente denunciato la “prepotenza degli europei contro il popolo argentino”). E tale atteggiamento opportunistico e non solidale con il popolo argentino non è giustificabile dal comportamento altrettanto folle della presidentessa argentina Cristina Fernandez, che prima fomenta il blocco dei ponti di transito fra i due Paesi come ritorsione per la vicenda-Botnia, e poi ripristina forme di protezionismo contro le importazioni uruguayane, in contrasto con le regole del Mercosur. In realtà, boicottandosi a vicenda con miseri argomenti campanilistici da derby calcistico, sia Mujica che la Fernandez stanno giocando a chi è più scemo fra i due. I colpi ferali che stanno infliggendo al Mercosur, in questo modo, sono un ottimo modo per ripristinare il controllo imperialistico degli Stati Uniti su un’America Latina che faticosamente sta cercando di rendersi autonoma.

Una linea di condotta moderata che si replica anche in materia di politica economica: se è vero che proseguono importanti investimenti pubblici in politiche sociali, che stanno ulteriormente abbattendo l’area della povertà assoluta e che stanno rimettendo lentamente in piedi il sistema nazionale dell’educazione, d’altro canto ogni velleità in materia di riforma sanitaria e di riforma previdenziale sembra essere stata riposta, perdendo l’occasione storica di ripubblicizzare due capitoli fondamentali del welfare, che incidono in profondità sulla vita dei cittadini, come la sanità e le pensioni, che oggi rimangono privatizzati. Non si propone alcun serio progetto di riduzione della precarietà lavorativa, che diventa una piaga sociale per molti giovani, e la riforma della pubblica amministrazione non sembra prevedere seriamente di stabilizzare l’ampio bacino dei precari pubblici. La manovra governativa di lotta alla povertà ed all’esclusione si limita dunque a ritoccare di qualche punto verso il basso l’aliquota IVA su alcuni beni, a discussioni feroci, all’interno delle varie componenti del FA, in materia di imposizione sui redditi fondiari, ed a alcuni programmi sociali, sia pur importanti, come il già rammentato “plan Juntos”.

Sul piano della sicurezza pubblica, poi, il Governo Mujica non riesce ad evitare la tentazione di inseguire le fobie securitarie della piccola borghesia, ed anziché proporre una politica di sinistra per affrontare il tema, che passi per il tramite della legalizzazione delle droghe leggere, e spinga maggiormente sui progetti di integrazione sociale e lavorativa nei quartieri “difficili”, oltre che su una lotta senza quartiere contro l’abbandono scolastico, il Presidente preferisce lasciarsi andare a dichiarazioni come quella in cui chiede di sottoporre i drogati ad addestramento militare, oppure adotta progetti, proposti dalla destra, come la trasformazione di caserme dell’Esercito in nuove carceri, oppure il passaggio di contingenti dell’Esercito sotto il controllo del Ministero dell’Interno, per effettuare compiti di polizia. Con dei veri e propri paradossi: quando un deputato blanco, come Lacalle Pou, presenta in Parlamento un progetto di legge per liberalizzare l’uso di droghe leggere, si alza una ridda di voci contrarie dallo stesso FA, invertendo l’ordine degli schieramenti, con i blancos che fanno proposte di sinistra ed il FA che si colloca in una posizione conservatrice. L’inseguimento della destra nelle politiche sulla sicurezza, peraltro, non conferisce alcun vantaggio elettorale al FA, come è del resto evidente: perché mai gli elettori dovrebbero premiare un partito di sinistra che fa politiche di destra, quando possono direttamente votare per la destra? E così, il FA ottiene il brillante risultato di non conquistare consensi a sinistra, scolorendo la sua identità per inseguire al centro le paure della piccola borghesia, e di non sfondare nell’elettorato moderato, che continua ad attribuirgli la colpa del dilagare della criminalità, accusando il FA di essere troppo lassista.

E così, come verificatosi qualche giorno fa, quando alcuni minorenni reclusi in un carcere minorile evadono, a seguito di una ribellione in cui un poliziotto ci lascia la vita, il Ministro dell’Interno Bonomi viene letteralmente crocifisso dall’intera opinione pubblica. E questo episodio dà la spinta decisiva per la raccolta di firme sull’indecente e vergognosa proposta di legge popolare promossa dai colorados, che chiede di abbassare l’età di punibilità penale, e quindi di rendere penalmente perseguibili anche i ragazzini di 16 anni, con la rilevante risposta popolare (si parla di oltre 300.000 firme) che diventa una netta sconfitta politica per il FA.

La delusione popolare per le aspettative di svolta che erano state riposte in Mujica non tarda a farsi sentire. Il Paese, da mesi, è letteralmente sommerso da un’ondata continua di scioperi e manifestazioni, con i sindacati che spingono per una più equa redistribuzione delle ricchezze, ed il Governo che si erge a difensore delle esigenze del profitto. Alle elezioni municipali del 2010 il FA interrompe il suo cammino di continua crescita di consenso nel Paese, che durava dal 1971, e rimedia una brutta sconfitta. Ad appena due mesi dall’inizio del mandato di Mujica, il FA perde quattro dei sette dipartimenti rurali conquistati nel 2005, acquisendone soltanto uno. Ma anche il dominio incontrastato che il FA esercita su Montevideo sin dal 1989 inizia a vacillare: per la prima volta, infatti, rischia di perdere il controllo della capitale, la sua vera e propria roccaforte, con la candidata comunista Ana Olivera costretta ad una vittoria molto sofferta e difficile. 

Non giova nemmeno il perpetuarsi di una guerra sotterranea fra l’ala astorista e quella mujiquista del FA, che perdura anche dopo le elezioni, e che rischia addirittura di far saltare la stessa tenuta del FA. Guerra sotterranea che, stanti le posizioni socialdemocratiche assunte da Mujica, non è più da attribuirsi a fattori politici, ma ad un semplice conflitto di potere fra le personalità dei due leader. Tale conflitto diventa evidente quando il FA inizia a discutere delle modifiche alla riforma fiscale di Vázquez, con Astori ed il suo scudiere Lorenzo schierati da una parte, e Mujica, con il suo ex compagno di partito Gabriel Frugoni, oggi direttore dell’ufficio pianificazione e budget della Presidenza della Repubblica, nonché con il sottosegretario al Ministero dell’Economia, Pedro Buonomo, dall’altro. Tale conflitto diviene così palese da far parlare di una “cabina di regia” sotterranea che gestisce le politiche economiche del Governo in difformità dalle indicazioni del Ministro dell’Economia. Il conflitto fra la componente astorista e quella mujiquista continua poi su tutti gli altri aspetti della politica dell’esecutivo, finisce per ostacolare il tentativo di portare avanti un disegno di legge che legalizza l’aborto, si traduce in interminabili quérelles giornalistiche, in cui gli uomini di Astori criticano Mujica per la sua abitudine a non frenare la lingua, ed a dire tutto ciò che gli passa per la mente.

I contrasti interni al FA si traducono, peraltro, nel fallimento di derogare definitivamente la ley de caducidad per vie parlamentari, provocato dalla defezione di due deputati dell’MPP, defezione scattata dietro chiara indicazione di Mujica, che in questo modo (in perfetta sintonia con le posizioni assunte da Vázquez ed Astori) indica chiaramente come non vi sia nessuna volontà di proseguire nella ripulitura delle Forze Armate e di polizia dai responsabili di atti illegali durante gli anni di dittatura, e che la carcerazione di una decina di responsabili di vertice del regime effettuata durante la presidenza di Vázquez è, per il vertice dirigente del FA, più che sufficiente a chiudere il dossier. Il vertice del FA, andando contro i sentimenti di gran parte della sua base, si incarica quindi di rassicurare la borghesia nazionale, spaventata dall’ipotesi di una “vendetta” per gli anni della dittatura.  

Ad aggiungere confusione, si verifica anche una scissione interna alla componente più radicale del FA, con il senatore (ed ex tupamaro) “el ñato” Eleuterio Fernández Huidobro, che esce dall’MPP e fonda il CAP-L .Lo stesso Fernández Huidobro sarà poi scelto da Mujica nel 2011 per succedere al malato Rosadilla come Ministro della Difesa, segnando un passo in direzione di una nuova politica di distensione e dialogo con le Forze Armate. Infatti, “el ñato” fu, durante gli anni della dittatura, il negoziatore informale fra tupamaros e militari quando, dal carcere in cui era recluso, spinse l’organizzazione di guerriglia ad abbandonare progressivamente la lotta armata, guadagnandosi il profondo disprezzo di alcuni dirigenti storici dei tupamaros, come Zabalza, che lo accusano di tradimento. Chiamato a gestire una fase delicatissima, di ristrutturazione complessiva delle Forze Armate, riduzione degli effettivi, passaggio al Ministero dell’Interno di alcuni contingenti chiamati a svolgere funzioni di polizia, ammodernamento del materiale, rilancio della sanità militare in grave dissesto, rinnovo delle nomine nello Stato Maggiore, in circa un anno di attività governativa “el ñato” sarà al centro di perenni polemiche, anche piuttosto gratuite, come quando si guadagna una reprimenda ufficiale da parte delle gerarchie ecclesiastiche per dichiarazioni pubbliche poco rispettose su Gesù Cristo, o quando è costretto a smentire ufficialmente la Topolanski (che nel frattempo è divenuta moglie di Mujica) quando questa annuncia una riduzione del numero di generali nella pianta organica dell’Esercito, suscitando moti di inquietudine nello Stato Maggiore.  


 
Mujica con Fernandez Huidobro (a sinistra)


Lo stesso FA, al suo interno, è attraversato da correnti di dissenso che rischiano di distruggerlo. La crescente burocratizzazione del partito, i cui organi dirigenti non consultano più la base per decidere candidature e nomine, né tantomeno per determinare la linea politica, crea un malumore sempre più evidente fra i militanti, che si traduce nella nascita di movimenti di base, fra militanti stessi del FA, denominati “redes frenteamplistas”, che reclamano maggior coinvolgimento dal basso e maggiore democrazia interna. Tali reti, facilitate dai social networks, chiedono in sostanza un rinnovamento profondo, una vera e propria rifondazione, del FA, i cui apparati burocratici sono considerati troppo pesanti, ed inadeguati alle esigenze attuali. La richiesta di riforma del FA avanzata dalle reti è però accolta con freddezza da gran parte dell’apparato. Dopo una lunga e lacerante discussione interna, a fine novembre 2011 il plenario del FA raggiunge finalmente un accordo per modificare alcune parti dello statuto, modifiche peraltro timidissime (si prevede l’istituzione di un comitato di aderenti che affianchi il plenario e si affida ad un comitato apposito lo studio di eventuali forme di partecipazione agli organi dirigenti delle reti frenteampliste) ed insufficienti a soddisfare le esigenze avanzate dalla base del partito.


Un bilancio degli anni di governo del FA e alcuni insegnamenti utili per l’Italia



In sintesi, la seconda esperienza di governo del FA appare come una riproposizione, indebolita e più stanca, della linea socialdemocratica adottata nel primo quinquennio. Se volessimo tracciare un bilancio sintetico dell’esperienza di governo del FA, dovremmo certamente premettere che i risultati ci sono e sono notevoli, dal punto di vista economico. La crescita si è riavviata a tassi interessanti: fra 2006 e 2011, mentre il capitalismo occidentale precipita nella crisi, il PIL uruguayano cresce ad un tasso medio reale del 6% all’anno circa. Oltretutto tale processo di crescita si verifica su basi macroeconomiche più robuste del passato: l’inflazione è domata, poiché cresce ad un tasso medio annuo del 7% fra 2005 e 2011, un valore che, rispetto alle crisi da iperinflazione del recente passato, può considerarsi moderato; alcuni settori produttivi si sono sviluppati in modo rapido, come il turismo; altri settori, come l’industria manifatturiera, si sono ripresi dal loro declino, con l’indice di produzione industriale, al netto delle attività di raffinazione di idrocarburi, che cresce del 7% medio annuo fra 2004 e 2011; l’attrattività internazionale migliora, poiché gli Ide in entrata passano da 811 milioni di dollari nel 2005 a 1,63 miliardi di dollari nel 2010; la dipendenza energetica, tradizionale tallone d’Achille del Paese, si riduce, poiché l’offerta netta di energia, grazie anche agli accordi internazionali stipulati all’interno del Mercosur, cresce del 23% fra 2004 e 2010, dopo una riduzione del 7,7% nel sessennio precedente.

I risultati sociali e redistributivi sono anche in questo caso notevoli: i salari crescono, fra 2006 e 2011, del 25,4%, in termini reali, mentre i profitti, sul medesimo periodo, vengono incrementati soltanto del 5,9%, inducendo quindi, per la prima volta dalla fine degli anni Cinquanta, un riequilibrio delle distribuzione dei redditi a favore dei lavoratori. L’indigenza assoluta si riduce dell’82% fra 2006 e 2011; la povertà relativa diminuisce del 60%. Il tasso di disoccupazione passa dal 13,4% di Gennaio 2006 al 6% di febbraio 2012. I consumi delle famiglie, in termini reali, crescono del 30% fra 2006 e 2010, ovvero aumentano del 6% all’anno.


La lotta contro la povertà è uno dei successi maggiori degli anni di governo del FA

Tale miracolo economico si verifica senza aggravi sulla finanza pubblica, poiché la crescita, resa rapida da politiche di tipo keynesiano, alimenta un aumento del gettito fiscale ed una riduzione della spesa pubblica per ammortizzatori automatici, per cui il deficit di bilancio pubblico passa dal 9,3% del PIL nel 2004 al 2,4% nel 2010, e il debito pubblico passa dall’83,2% del PIL nel 2004 al 54,4% nel 2010.

Anche sul versante delle altre politiche, l’esperienza di governo del Frente Amplio raccoglie alcuni risultati di valore: non vi è dubbio che gli otto anni di FA abbiano consolidato ed irrobustito la democrazia uruguayana, riaprendo, sia pur in piccola parte e limitatamente ai soli responsabili apicali del regime militare, la ferita dolorosa delle responsabilità penali per gli anni di dittatura, che, se non fosse stata riaperta, avrebbe segnato con uno strascico di rancori e di sentimenti di mancanza di giustizia la giovane democrazia, con risultati del tutto analoghi a quanto sperimentato dalla democrazia italiana, che, per non aver voluto processare e condannare i principali responsabili del regime fascista, è nata con una pesante ipoteca, contribuendo ad impedire, ad esempio, l’ascesa al potere della sinistra, e contribuendo a mantenere al potere uno stesso assetto partitico ed una stessa classe dirigente per quasi 50 anni, quindi inducendo la sinistra ad una mutazione genetica, in direzione centrista, i cui tristi risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti. La stessa pratica, inaugurata dal Frente Amplio, di consultarsi con l’opposizione parlamentare in caso di provvedimenti importanti, apre uno scenario di normalità democratica che non esisteva ai tempi di Sanguinetti o Batlle, abituati a dipingere i loro oppositori di sinistra come pericolosi sovversivi con cui era necessario evitare il dialogo. Il ripristino della contrattazione collettiva, abrogata durante gli anni di governo della destra, restituisce anche uno spazio di democrazia nelle relazioni industriali e di legittimazione sindacale, che era stato negato da colorados e blancos.

La ricostruzione parziale dell’insegnamento pubblico, distrutto da oltre 40 anni di liberismo, attraverso l’aumento del budget per l’educazione, la ripresa delle scuole a tempo pieno, l’avvio di un sia pur difficile dibattito sul futuro dell’insegnamento tecnico-professionale (e quindi sul futuro dell’UTU) il successo di progetti di superamento del digital divide già nelle scuole primarie, è un paletto fondamentale sulla strada della costruzione di una società realmente ugualitaria. Su questo fronte, dopo il disastro imposto da mezzo secolo di ricette neoliberiste, molto è stato fatto dal FA per invertire la situazione (l’indice di qualità del sistema scolastico, al 2009, è di circa 2,8 volte superiore alla media dell’Ocse, il rendimento degli studenti uruguayani, se misurato con i dati dell’indagine PISA al 2009, mostra un livello aggregato relativamente alto, in confronto con la media sudamericana, ed addirittura il miglior posto, in America Latina, per le competenze legate alla matematica, mentre occupa il secondo posto per le competenze legate alla lettura). Molto però rimane da fare. Ad esempio, la spesa pubblica in educazione rispetto al PIL, al 2008, è ancora pari a poco meno del 3%, a fronte di una media Ocse del 4,8%, ed è nettamente inferiore a quella di Argentina, Brasile, Colombia, Cile, Messico o a quella del Venezuela, che superano abbondantemente il 5%; una spessa pubblica in educazione ancora insufficiente si traduce in elevati livelli di disuguaglianza di risultati fra studenti provenienti da contesti agiati e disagiati, e fra scuole private e pubbliche: ad esempio, il 39% degli studenti provenienti da un contesto socioculturale favorevole ottengono il punteggio massimo dell’indagine PISA nelle competenze in lettura, mentre solo l’1,4% degli studenti provenienti da contesti socioculturali sfavorevoli raggiunge tali punteggi; si tratta di una diseguaglianza enorme, che non trova riscontro anche in altri Paesi sudamericani. Inoltre il fallimento delle politiche sull’ordine pubblico condotte dal FA (cfr. sotto) si traduce anche in un crescente tasso di abbandono scolastico nel ciclo secondario superiore (che è ovviamente collegato, anche se non in via esclusiva, ad una espansione della criminalità minorile). 

E tuttavia…tuttavia manca il coraggio di andare oltre una sia pur riuscita politica socialdemocratica. Manca cioè il coraggio di affrontare la fase successiva alla socialdemocrazia, ovvero la trasformazione in senso socialista delle strutture portanti della società. Manca un progetto di pubblicizzazione delle attività economiche fondamentali, a partire dalle banche, mirato in un secondo momento a dare protagonismo alla gestione diretta, democratica e rotativa dei lavoratori; manca un progetto di welfare pubblico che riporti nella sfera dello Stato i servizi sanitari e la previdenza, oggi in mano ai privati; manca una reale laicità dello Stato, che inizi con l’approvazione di una legge sul diritto all’aborto, e di provvedimenti sull’eutanasia, sul testamento biologico, sulle coppie omosessuali. Manca una riappropriazione delle terre, ed una riforma agraria che elimini completamente i resti del latifondismo che continuano ad esistere. Manca una politica sulla sicurezza che vada oltre il fallimentare paradigma securitario e poliziesco tipico della destra sposato acriticamente dal FA, e che si traduca in una liberalizzazione del consumo di droghe leggere ed in maggiori sforzi di integrazione socio-educativa, specie dei minori (poiché è proprio la criminalità minorile a dilagare in misura più evidente): il fallimento di tali politiche si traduce in un tasso complessivo di criminalità (misurato con il numero dei processi) del 3,26‰ nel 2010, a fronte del 3,14‰ del 2004; alcuni reati tipicamente connessi alle disuguaglianze di reddito, come i furti sono rimasti inalterati sui livelli altissimi del 2003-2004 (cioè sui livelli prodotti dalla grave cisi economica) o sono in crescita costante, come le rapine (+62% fra 2004 e 2009) nonostante la riduzione di tali diseguaglianze operata dalle politiche redistributive del FA e, quindi, più che a fattori redistributivi, appaiono legati all’esplosione del traffico di droga (i processi per traffico di stupefacenti crescono del 164% fra 2004 e 2009). Infatti, il traffico di stupefacenti genera una serie di altri reati connessi all’esigenza di procurarsi il denaro per l’acquisto, o legati agli effetti psicotropi della droga (gli omicidi crescono del 13% sullo stesso periodo); la popolazione carceraria cresce di 3.600 unità in 10 anni, facendo dell’Uruguay uno dei Paesi a maggior tasso di carcerati sulla popolazione di tutta l’America Latina, a fronte di strutture carcerarie sovraffollate, di scarsa qualità e spesso decadenti.  

La dilagante criminalità, legata anche al traffico di stupefacenti, è stata affrontata dal FA con una logica securitaria, tipica della destra, e sostanzialmente fallimentare



Inoltre, nel momento in cui ci si siede sugli allori dei successi conseguiti (ovviamente al netto delle politiche per l’ordine pubblico, che invece sono totalmente fallimentari), e si rifiuta la prospettiva di un ulteriore avanzamento verso una prospettiva di cambiamento più radicale della società, gettando alle ortiche il concetto di progresso continuo che deve essere proprio della sinistra, non si riesce nemmeno a rimanere fermi sulla frontiera raggiunta: si finisce inevitabilmente per iniziare a tornare indietro. I segnali di stanchezza e di regresso, nel FA, si vedono oramai con una chiarezza solare. I vertici si irrigidiscono burocraticamente, allontanandosi da una base confusa ed arrabbiata; i lavoratori chiedono più coraggio, scioperando ad oltranza ed a ripetizione, mentre il Governo adotta un baricentro di politica economica sempre più favorevole alle ragioni del Capitale, compromettendo la tradizionale unità d’azione con il CNT; di fronte alla questione della criminalità e dell’ordine pubblico, si scivola all’indietro verso soluzioni securitarie e piccolo-borghesi, facendosi addirittura sorpassare dalla destra, su dossier come la legalizzazione delle droghe leggere. Persino l’idea di chi candidare alle presidenziali del 2014 marca un ritorno al passato inquietante, perché non sembra esservi alcuna alternativa alla proposta di ricandidatura di Tabaré Vázquez, che, presentandosi a tali elezioni con la non florida età di 74 anni, sarebbe molto peggio della classica minestrina riscaldata. Eppure, candidati più giovani ed emergenti di spessore non mancano, come la socialista Monica Xavier, sostenitrice del ruolo dello Stato nell’economia, o Bertha Sanseverino, parlamentare astorista, molto impegnata in progetti sociali delicati (come ad esempio il recupero della comunità afroamericana, tradizionalmente molto emarginata e discriminata).

Il FA, oggi, rischia non soltanto di perdere il potere politico, ma anche di disgregarsi, perché il collante originario, ovvero la lotta per la democrazia, per l’affrancamento dai vincoli neoimperialisti, per la giustizia distributiva, si sta allentando, man mano che gli stessi successi della politica socialdemocratica condotta dal FA eliminano i problemi più gravi. I crescenti dissidi interni alla dirigenza frenteamplista, e fra vertice e base, sono chiari sintomi di questo rischio di disgregazione. Se quindi il FA vuole rimanere unito, e ritrovare il senso e la necessità di un cammino congiunto, deve abbandonare le sirene del centrismo e della moderazione. Non è verso il centro il cammino del FA, al più tale cammino può interessare solo alcune delle sue componenti, ansiose di andare a destra. Il cammino è verso il popolo, verso sinistra. Verso il socialismo pienamente realizzato.

E’ peraltro difficile trarre insegnamenti, dalla storia del FA, utili per il difficile percorso di unità a sinistra del nostro Paese. Il contesto in cui, in Uruguay, nasce questa esperienza, è infatti diverso dal nostro, non perché siano diversi i problemi di fondo, ovvero una offensiva neoliberista, condotta essenzialmente dall’esterno del Paese, ovvero dal capitale internazionale, con una borghesia nazionale compradora, ed accompagnata da una deriva autoritaria crescente. Ma perché è diversa la scala del problema: quando nasce il FA, la situazione economica e sociale uruguayana, oltre che quella politica, sono molto più compromesse di quanto siano oggi in Italia. Inoltre, è diverso il tessuto economico e sociale cui si applicano tali problemi. L’economia italiana, con la sua base produttiva ancora ampia e diversificata, ha indubbiamente una capacità di recupero, rispetto alle ricette neoliberiste che gli vengono ammannite, superiore rispetto alla ristretta, povera e sostanzialmente monosettoriale economia uruguayana. Infine, è diverso il contesto storico: il FA nasce ben prima della caduta del muro di Berlino, appena 3 anni dopo il ’68, in una fase storica molto diversa da quella attuale, in cui ancora era possibile pensare che la sinistra avrebbe conquistato e trasformato il mondo. Oggi siamo ben lontani dall’avere questa illusione.

Quindi la storia del FA, che ho qui illustrato, non è stata scritta per lanciare messaggi di ottimismo, né per indurre a facili soluzioni: persino in un contesto come quello uruguayano dell’inizio degli anni Settanta, in cui vi erano moltissimi stimoli che spingevano in direzione di un processo unitario della sinistra, tale processo nasce da una fase di gestazione lunghissima, in cui i primi esperimenti possono farsi risalire, addirittura, a 35 anni prima!

Volendo trarre comunque qualche insegnamento utile, forse alcuni elementi di fondo possono essere azzardati:

-          in primo luogo, l’unità a sinistra non si ottiene da vaghe declamazioni ideologiche, o da un lavorio intellettuale e teorico di (inutile) ricucitura e superamento delle differenze identitarie e politiche. L’unità si forgia nel fuoco della lotta quotidiana. Fu l’esigenza di fare fronte unito innanzi ad un’offensiva straordinaria della borghesia che fece mettere da parte le differenze ideologiche, pur enormi, fra comunisti, socialisti, cristiano-sociali, blancos progressisti, e fu la stessa esigenza a far sì che i tupamaros, pur prendendo la strada della lotta armata, conservassero un legame con il FA, che poi maturerà fino a farli entrare dentro la coalizione, scegliendo la via della lotta politica democratica e pacifica. Fintanto che si discuterà senza fine di cavilli ideologico/identitari del Novecento, fatti apposta per proporre coalizioni “ad escludendum” anziché “ad integrandum” (pippe mentali del tipo “un socialista non potrà mai stare con un trotzkista”, oppure “un vero comunista non potrà mai trovare un terreno comune con un socialdemocratico”, o ancora “libertarismo e marxismo sono agli antipodi ed inconciliabili” ecc.) si farà soltanto il gioco del capitale, e si peccherà di una imperdonabile carenza di analisi della situazione reale, che oggi richiede unità, non settarismi;

-          così come l’unità si forgia nella lotta concreta di ogni giorno, e non in diatribe teoriche, occorre ripartire dai problemi concreti, per trovare la strada utile a risolverli. Ancora una volta, il FA è cresciuto, conquistando il cuore di centinaia di migliaia di uruguayani, non gettando loro in pasto argomenti astratti e teorici, oppure arzigogolati ragionamenti politicistici di bassa lega, incentrati solo sulla tattica elettorale o di coalizione, in cui ad esempio la sinistra italiana eccelle (alleanza di Vasto sì o alleanza di Vasto no? Alleanza con Casini sì o no? Ecc. ecc.) ma offrendo rimedi concreti a problemi concreti: il cibo, la casa, la scuola, la giustizia. E non appena il FA si è burocratizzato, irrigidendosi su ragionamenti politichesi (chi candido alle prossime elezioni? Come mi spartisco con il manuale Cencelli le poltrone nel direttivo politico? A chi do la presidenza di questo ente pubblico? Ecc. ecc.) ha iniziato la sua fase discendente di perdita di consensi;

-          l’unità a sinistra nasce dal rispetto reciproco, e da forme di dialogo civile, pur nelle differenze politiche e nell’asprezza del confronto. Fino alla recente involuzione di tale forza politica, i rapporti interni fra dirigenti sono sempre stati caratterizzati da una certa etichetta formale, e anche dalla preoccupazione di non arrivare ad uno scontro talmente aspro da mettere in pericolo lo stesso FA. Unità, solidarietà, ascolto sono state parole fondamentali per il FA, e il suo declino è iniziato quando queste parole non sono state più usate con la stessa frequenza;

-          occorre saper accettare una certa dose di interclassismo. Lo stesso Marx ci insegna che, in fasi di crisi economica molto acute, la grande borghesia taglia i legami con la piccola borghesia, e la getta nel proletariato. Lo stiamo vedendo nella crisi attuale: è in atto uno scontro fra grande borghesia finanziaria e industriale, interessata alle politiche di austerità di bilancio, e la piccola borghesia, che viene letteralmente indotta al suicidio da tali politiche,  o ad organizzarsi in movimenti di protesta. Se l’interclassismo del FA era, nelle parole di Liber Seregni, necessario per un Paese che ancora non aveva sperimentato la rivoluzione democratico-borghese, l’interclassismo per un capitalismo maturo come quello italiano è invece necessario per costruire un fronte unico, che la stessa crisi economica e dell’accumulazione capitalistica ci impongono di costruire;

-          certamente i meccanismi elettorali contano nel favorire o meno l’unità. Però l’esperienza dell’Uruguay ci dice che il meccanismo elettorale che ha facilitato l’aggregazione non è il maggioritario, come tendono a farci credere i soloni nostrani, che dietro al tema del bipolarismo e della semplificazione dello scenario politico, o dietro al feticcio della “governabilità”, nascondono soltanto la volontà di ridurre gli spazi di rappresentatività democratica. Un meccanismo proporzionale puro, che non ha nemmeno la soglia di sbarramento, e non ha neanche le preferenze, ma che consente il voto doppio simultaneo, sia al “lema principal” che al “sublema”, favorisce l’aggregazione, rispettando la visibilità di ciascuno, e garantisce la massima rappresentatività;

-          la sinistra non può rinunciare ad un’idea di progresso continuo, non può cullarsi negli allori dei successi realizzati, perché se si ferma torna indietro, e si imborghesisce, consegnandosi ad una perdita di consenso ed una sconfitta sicura. Non si può quindi rinunciare all’idea di un minimalismo che si associ ad un orizzonte più massimalistico. 




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