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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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martedì 22 gennaio 2013

IL RIMPIANTO DEL SILENZIO di Carlo Felici




IL RIMPIANTO DEL SILENZIO
di Carlo Felici



Sulla morte di Prospero Gallinari ne ho sentite di cotte e di crude, tanti sproloqui apologetici, tante infime denigrazioni, ma poche analisi serie, anche da parte di direttori di giornali dalle grandi tirature, che oggi fanno la morale ad una sinistra che non esiste.
Già, perché la sinistra ha evidentemente deciso di darsi l'ultima letale randellata in testa andando a braccetto con personaggi che di sinistra non sono mai stati, e anzi, si sono messi in lista, pur avendo avuto un passato in formazioni di destra. Quella destra che ai tempi di Gallinari, menava e ammazzava ragazzi di sinistra.
Quindi, più che altro verrebbe da chiedersi: ma di che cosa stiamo parlando?
Stiamo parlando di un uomo? Stiamo parlando di un tempo, che sembra più che mai remoto? O stiamo parlando di un presente di pietosa desertificazione di autentici valori e di rappresentanze di sinistra?

Perché se consideriamo rappresentanza solo il tentativo dell'ultima falce e martello rimasta di farsi disperatamente propaganda, candidandosi alle elezioni e cannibalizzando quella che ha buttato la bandiera rossa, con tutto ciò che l'accompagna, nello stanzino di una procura, oppure parliamo di quella che ha firmato la carta di intenti e si presenta per mettere una toppa nel vestito assai lacero per altro di chi ha stracciato i diritti dei lavoratori, tagliato servizi essenziali e tartassato tutti, a partire dai pensionati e dai lavoratori a reddito fisso, attribuendo la fiducia a chi si è fatto sbeffeggiare pure dal Financial Times, che non è proprio un giornale bolscevico, beh, siamo alquanto fuori strada.
E poi, guardiamola la sinistra cosa è oggi: un continuo abbaiarsi gli uni contro gli altri di compagni o ex compagni fino a qualche tempo fa nello stesso partito e che oggi, dopo varie e certe volte meschine giravolte, non hanno di meglio da fare che azzannarsi vicendevolmente, quasi stessero in un cerchio di cani pitbull da combattimento, piuttosto che in una competizione elettorale
Ecco come è finita oggi la sinistra italiana: in una pietosa quanto scassatissima cagnara.

Io me li ricordo con un misto di tenerezza e di amarezza, gli anni delle BR (ma non loro), che nacquero quando alcuni cosiddetti compagni, incazzati neri perché il PCI stava incamminandosi verso la lunga marcia che lo avrebbe condotto tra non so quante mutazioni alla conquista del potere, erano ossessionati dal fatto che non potesse esistere un partito comunista che non fosse rivoluzionario, nell'unico modo in cui lo si può essere, e cioè prendendo le armi.
Tutto questo assomiglia tanto ad un incubo rancoroso piuttosto che a un vero sogno di libertà. E come tale, è cresciuto e ha fatto le sue vittime, in primis l'intelligenza e la vera arma rivoluzionaria: la coscienza di classe, abbandonate in nome di una incoscienza cronica da combattente indefessamente e idiotamente inesausto.

Ma poi, contro chi si decise di combattere? Spesso contro vittime inermi, bersagli disarmati, figure che venivano individuate come nevralgiche ma che il sistema che si voleva rivoluzionare era perfettamente in grado di sostituire, anzi che, dalla loro eliminazione, spesso traeva pure vantaggio in vari casi.
E questo lo abbiamo visto soprattutto con la tragica morte di Aldo Moro, più scomodo che per altri, al suo stesso partito, a quello di opposizione con cui cercava un compromesso, e a quell'impero bipolare che allora teneva in scacco l'Italia facendone anche il teatro della sua losca guerra fredda, ma non tanto, perché sicuramente un giorno, anche se non so ancora quando, purtroppo, certe stragi saranno finalmente collocate nelle ondate di calore che quella stessa guerra non poi così fredda generò.
Le BR sono di fatto servite per stabilizzare quel sistema, non sono servite né per combatterlo e tanto meno per contrastarlo, prova ne è che sono finite con esso. Erano solo pedoni con velleità di re e regine. Quel sistema, cessate le ondate di calore da esso stesso generate, si è semplicemente riciclato ed adattato ai nuovi tempi in cui la guerra non è più condominiale tra est e ovest, ma globale tra nord e sud del mondo.
E per questa nuova incombenza non servono più finti antagonisti ma solo un blocco monolitico di potere che copra tutto il cosiddetto “arco istituzionale”, magari impregnandolo trasversalmente di losche congreghe autoreferenziali che garantiscano meglio l'efficienza del divide et impera.
Lo stesso blocco imperante che vorrebbe oggi, come ieri, autolegittimarsi ritirando fuori lo spauracchio di un passato che è sepolto sotto tonnellate di macerie morali, economiche, sociali, ideologiche e politiche, magari scatenandosi contro un funerale di vecchietti che cantano l'Internazionale, al passaggio non tanto di una bara ma della loro stessa vita, persa e sconfitta per sempre.
Certo che fa più compassione la silente memoria di chi è stato ammazzato e non ha avuto da quello straccio di stato che difendeva nemmeno un giusto riconoscimento per il merito di averci creduto e di avere cercato di difenderlo.
Certo che ci viene un po' di rabbia a sentire l'Internazionale ridotta ad un lugubre lamento funebre, quando dovrebbe essere ancora l'inno ad un avvenire migliore, alla concreta speranza di una umanità redenta dalla tragedia del profitto.

Ma poi, di che stato stiamo parlando? Di quello che allora si voleva migliorare e che oggi non solo non ha saputo fare un passettino avanti, ma nemmeno trovare mandanti e assassini di stragi tuttora impunite, e che si rende pure complice di altre che si fanno ai danni di popolazioni inermi a migliaia di chilometri da casa nostra bombardando le case e i villaggi dove dimorano vecchi, donne e bambini? In paesi in cui si vorrebbe esportare la democrazia ma in cui prospera la maggiore produzione di droga al mondo? Di quello che sta smantellando sistematicamente il frutto della lotta partigiana e dei lavoratori in durissime battaglie per la loro dignità ed emancipazione? Di quello che ha ridotto il futuro dei giovani a deserto senza miraggio? Che si accanisce contro disabili e pensionati?
Di quello che infine ci chiede “per migliorarsi”, di votare con una legge definita dai suoi stessi artefici “porcata”? Che affronta le emergenze sociali ed economiche, massacrando tutti ma senza minimamente pensare almeno di cambiare i privilegi dello stesso “porcile”?
Io voglio invece ostinatamente pensare che sia lo stato che è nato da una Costituzione tuttora tra le migliori del mondo, purtroppo immeritata da un popolo che si è genuflesso per millenni a papi, re e imperatori e adesso si genuflette ai plutocrati e ai guitti da baraccone.
E' questo, in definitiva il motivo del fallimento di ogni anelito non solo rivoluzionario ma anche onestamente riformista: il perdurare di un popolo complessivamente “porco”
E' però uno stato che deve ad una minoranza di giusti la sua esistenza, quella dei partigiani-patrioti a cui le BR usurparono ignominiosamente il nome, e a denunciarlo fu allora uno di loro, il più amato da un popolo che forse non aveva ancora subito la paurosa mutazione antropologica che lo ha fatto diventare animale da postribolo: Sandro Pertini, che combatté le BR a viso aperto, valorosamente, da Presidente della Repubblica, così come aveva combattuto a viso aperto la dittatura nazifascista e che un giorno disse, dopo il funerale di una delle loro vittime, agli operai della FIOM : “Io oggi non sono qua come Presidente della Repubblica, ma come il compagno Sandro Pertini, io le Brigate Rosse le ho viste in faccia durante la Resistenza, quelle erano le vere Brigate Rosse, quelli di oggi sono solo dei codardi, ricordatevelo”
Ce lo ricordiamo, caro compagno Presidente, ancora oggi, dopo tanto tempo, ma lo sapevamo anche allora, quando il nostro grande sogno di cambiamento veniva spezzato, quando nelle piazze e nelle strade dei lontani anni settanta, i nostri coetanei cadevano come mosche senza nemmeno capire perché, o rendersi conto di cadere, non se ne rese conto Giorgiana Masi e nemmeno Walter Rossi, e tanti altri come loro a cui il terrorismo e le bombe facevano da lugubre scenario.

Oggi, di allora, conserviamo ancora la nostra schiettezza, il nostro coraggio, la nostra autenticità, almeno quella di chi non ha rinunciato a continuare a lottare nelle strade e nelle piazze, accanto alle nuove e alle vecchie generazioni, senza farsi abbindolare dall'ultimo pifferaio rivoluzionario di turno, ma senza nemmeno chiudersi nell'eremo delle proprie onanistiche prediche postideologiche.
Perché la rivoluzione si fa con la coscienza molto di più che con un mitra, si fa sporcandosi le mani e lottando nei veri luoghi della sofferenza, del duro lavoro e della marginalizzazione.
Resistendo! Resistendo! Resistendo!
Si fa difendendo ed applicando quella Costituzione che ci ha liberato da 85 anni di monarchia autocratica, infame e socialmente iniqua, e da venti anni di una dittatura da lei adottata come figlia degenere.
Guardando i funerali di Gallinari e ascoltando l'Internazionale non ho provato né pena, né compassione e tanto meno rabbia, ma solo un rimpianto, quello di un prolungato e meditato silenzio.


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