IL CANTO DEL CIGNO
Sono
circa trentacinque anni che partecipo alle lotte dei lavoratori e
degli studenti, nelle piazze, con gli scioperi e con le
manifestazioni, memore della lezione che ebbi quando iniziai nel
lontano '77.
Allora
infatti capii che la creatività, la fantasia, l'inventiva e
soprattutto la determinazione ad agire contavano molto di più dei
programmi, delle parole, delle ideologie, delle coalizioni politiche
o dei proclami.
Circa
cinque anni fa mi sono lasciato indurre ad entrare nella politica dei
partiti, perché ritenevo fosse importante dare un contributo
affinché le istanze della sinistra, fuoriuscite dal parlamento a
causa delle dabbenaggini dei cosiddetti “forchettoni rossi” e per
la volontà scientifica di desertificazione del Partito Democratico,
di tutto ciò che compare alla “sua sinistra”, potessero tornare
ad emergere e a risaltare di nuovo nelle istituzioni politiche, in
nome di quello che nel mondo è ancora un nobile ideale ed anche un
concreto e fondamentale indirizzo di vita: il Socialismo.
Mi
sono quindi impegnato per far nascere e crescere una associazione
socialista in grado di rilanciare e, se possibile, rendere
trasversale, nella sinistra, questo nobile intento, affinché fosse
condiviso e rinnovato, e magari attuato in una nuova e più concreta
aggregazione politica.
Purtroppo,
allo stato attuale delle cose, devo ammettere senza mezzi termini ma
con molta onestà, il mio pur "nobile" fallimento.
Quella
che allora era una speranza aggregativa, la Lega dei Socialisti, si è
prima divisa in varie altre correnti e strutture associative, più o
meno eterodirette da altri partiti..PSI..SEL..PD, e poi è
definitivamente naufragata nella sua inerzia, proprio nel momento in
cui ci si aspettava da essa uno scatto decisivo, un colpo di reni, la
capacità cioè di emergere con le proprie forze, diventando a tutti
gli effetti un soggetto politico vero. Mi sono infine rivolto a un
piccolo partito che ritenevo fondamentale per far lievitare di nuovo
un progetto di sinistra avanzata, culturalmente evoluta e ben
determinata nel perseguire programmi e indirizzi concretamente
innovativi: il nuovo Partito d'Azione, non contaminato dai giochi
sporchi della politica di palazzo. Ma temo che anch'esso vada a
cercare spasmodicamente uno spazio politico nelle stanze del potere,
in lista con altri o da solo.
Nel
frattempo, in questi ultimi anni, ho visto peggiorare il tessuto
politico, economico, morale e civile di questo Paese in maniera
esponenziale, tanto che mai, e dico mai, mi sarei aspettato nella mia
vita, iniziata in un tempo in cui c'erano grandi speranze e un
avvenire assai luminoso, e continuata nella lotta strenua contro
nemici implacabili della democrazia italiana, come il terrorismo e le
mafie, che si potesse arrivare alla sua pietosa abdicazione nei
confronti di una legge elettorale infame prima, e prostrarsi infine
alla tutela di un tecnocrate timocratico a cui sono state consegnate
le sue spoglie inermi e ormai violentate.
Lui,
che con toni altisonanti e accorati ha cercato persino di
accreditarsi come salvatore della Patria, nominato da chi la Patria
l'ha vista soprattutto con il caleidoscopio delle sue mutazioni, ma
che, concretamente, ne ha celebrato il funerale, massacrando gli
italiani di tasse, togliendo loro diritti essenziali e tutele nel
mondo del lavoro, accanendosi con tagli indiscriminati nei servizi
sociali anche a danno delle categorie e dei soggetti più deboli,
come i disabili. Regalando altri milioni alla scuola privata, tolti a
quella pubblica, tentando persino di aumentare il carico di lavoro
degli insegnanti di un terzo a costo zero. E soprattutto continuando
a buttare i nostri soldi in opere faraoniche e in armi di distruzione
scientifica.
Di
fronte ad una vera e propria dittatura del profitto, a cui mai nella
intera storia d'Italia si era mai arrivati, considerando che pure
durante il fascismo uno stato sociale, pur demagogico e apologetico,
fu mantenuto, che sta mietendo nel silenzio e nell'indifferenza
centinaia di vittime destinate al suicidio, all'emarginazione, alla
sottoccupazione, al precariato cronico, o peggio all'arruolamento
nelle varie mafie, che ormai imperversano nel silenzio compiacente di
istituzioni prostituite al verbo della ripulitura dei guadagni
illeciti, ci si sarebbe aspettata una vera e propria insurrezione,
una rivolta civile, con milioni di cittadini indignati, offesi e
arrabbiati, che avrebbero dovuto essere continuamente in sciopero,
occupando piazze, strade, città, luoghi di lavoro, scuole, senza
soluzione di continuità e disposti a tutto, anche a farsi massacrare
di botte, pur di non recedere dalla necessità di rivoluzionare un
sistema marcio ormai fino al midollo.
Ma no,
complici i sindacati di regime, ormai anche addestrati nel canile
municipale in cui si insegna ad abbaiare e non mordere, pur di essere
rimessi in circolazione, ad arruolare altri fedeli cani da guardia
del sistema, complice una compagine politica piena zeppa di frughini,
in fregola di posti, posticini e postarelli al sole, anch'essa
risultato pietoso di quella mutazione antropologica degli italiani,
già mirabilmente profetizzata dal poeta-profeta Pasolini per cui «
Nel quartiere borghese c'è la pace di cui ognuno dentro si contenta,
anche vilmente, e di cui vorrebbe piena di ogni sera l'esistenza. »,
non c'è stato e quasi sicuramente non ci sarà, non si sa per quanto
tempo ancora, alcun moto concreto e generalizzato di sdegno ed alcuna
volontà determinata di cambiamento.
Abbiamo
solo visto un sussulto di dignità affacciarsi con una manifestazione
in verità piuttosto sparuta ed in sordina, almeno rispetto a quelle
che in questi ultimi mesi si sono ripetute in Europa e nei paesi più
massacrati dalla crisi economica. Il No monti Day doveva essere il
primo atto concreto di rinascita della sinistra italiana, ma,
concretamente, esso è apparso più che altro come un timido
affacciarsi e poi rientrare nella cuccia del guaito di un cagnolino
già abbondantemente bastonato.
Morale
della favola?
Ho
sbagliato a credere di potermi impegnare in un qualsiasi partito
italiano, lo ammetto con molta franchezza, se non altro per chiedere
scusa a quel Carlo ventenne che, tanti capelli fa, e con grande
entusiasmo e creatività giovanile percorse quelle strade intrise di
rabbia e di passione che furono tempeste oceaniche, in confronto alle
piccole mareggiate odierne, nei lontani ma indimenticabili mesi del
settantasette.
Scusami
tanto, Carlo, se ti ho forzato, più di 30 anni dopo, a fare scelte
diverse da quelle che già allora avevi capito essere pienamente
fallimentari, non avrei sinceramente dovuto, avrei solo dovuto
limitarmi a scrivere, a testimoniare, ma non avrei mai dovuto mettere
la mia firma sotto l'adesione ad un partito. Conto sul fatto che mi
potrai un giorno perdonare, sapendo che anche gli uomini cosiddetti
maturi, possono sbagliare, quando la loro vita entra nella selva
oscura di un “mezzo del cammin”, in cui la diritta via si perde.
Angelo
mio, custode delle mie speranze e dei miei sogni più puri anche se
straziati, bastonati e sparati senza ritegno e pietà, allora come
oggi, nei compagni ancora più coraggiosi, onesti e puri come
Giorgiana Masi, come Walter Rossi, come i tanti della scuola Diaz,
come i miei figli e studenti di oggi, pestati e massacrati sui
marciapiedi, perdonami, sono solo un povero peccatore, fragile, che
ha ceduto ad una misera illusione.
E che
però si è svegliato e non cederà più, non si addormenterà, o
meglio non si farà addormentare o narcotizzare nemmeno dall'ultima
trovata “pataccara” della cosiddetta “rivoluzione civile”,
blasfemia all'ennesima potenza di un gruppo di personaggi in cerca di
autore, per il titolo di una commedia dell'assurdo..aspettando Godot,
aspettando la sinistra, al suono del martelletto di un giudice:
l'udienza è aperta, entrino i testimoni, il pubblico si alzi..si
prega di fare silenzio..in aula.
Ma le
aule sono deserte, anche se una schiera di fantasmi in fregola per la
consueta fame di predelle e predellini, cerca disperatamente di
affollarle.
E
l'unico suono che le pervade è proprio quello del silenzio, anche se
non tutti sanno ascoltarlo, anche se la maggior parte è affannata
nel rumore mediatico, nella chiacchiera del web.
Perché
dunque affannarsi, perché affrettarsi compulsivamente nella
spasmodica ricerca dell'ennesima firma per entrare in quello
che continua ad apparire come il castello dei fantasmi, specialmente
con questa legge elettorale porcona e porcata che ha portato e non
potrà che portare altri immancabili candidati alla norcineria
parlamentare, a mostrare le loro appetitose frattaglie, magari
mascherate da “società civile”, in un luogo di pochezza, di
inerzia e soprattutto di corruzione?
Non
chiedetemi dunque di raccogliere firme di condanna alla morte civile,
non mandatemi più a fare una questua tanto inutile quanto infame.
Non ammannitemi con la solita litania dei “mali minori”, non
insultatemi con l'apologia del simulacro di un cadavere di
democrazia.
Se
volete incontrarmi, a viso aperto, sapete bene dove sarò, ancora una
volta a camminare, fino all'ultimo respiro e fino all'ultima mia
flebile voce, in quelle stesse strade e piazze in cui cominciai tanto
tempo fa..una vita fa, ma una vita vera, non virtuale.
Adesso
mancherebbe solo l'acuto finale, e quindi non posso che menzionarlo
come m'è d'uopo.
Cosa
sono mai un impegno, un cammino, un sacrificio, una strenua e magari
dolente lotta rivoluzionaria senza la ricerca di una dimensione
collettiva?
E
soprattutto senza una esegesi profonda del cammino rivoluzionario?
Se ci
si chiede, in definitiva, quale cammino rivoluzionario si debba
intraprendere, non potrò che citare Carlo Rosselli, perché mai
definizione di tutto ciò fu tanto azzeccata quanto la sua:
“Chi
accetta la impostazione rivoluzionaria della lotta, chi si elegge un
compito così gigantesco come quello di rovesciare un potere
dispotico saldamente costituito, non deve avere fretta. Il
rivoluzionario che ha fretta che si scoraggia perché la vittoria non
appare ancora vicina, che diventa facile preda del pessimismo, non è
un vero rivoluzionario. Il vero rivoluzionario deve sapere sfidare il
tempo, specie quando il tempo si misura ad anni, come nel caso di noi
italiani. Dalla calma risoluta del rivoluzionario si misura la sua
forza. Egli è tanto sicuro della bontà della sua causa che accetta
con serenità il trascorrere degli anni e anche la propria morte
prima che la battaglia sia vinta, nella certezza che altri la
proseguiranno”
La
dimensione del vero cammino del rivoluzionario non si misura dunque a
patacche elettoralistiche, talora sconfinanti addirittura nello
scazzo querelante, come quello tra Sgarbi e Ingroia sulla parola
“Rivoluzione” da appendersi al bavero, ma su un lavoro arduo,
continuo e indefesso di risveglio della coscienza e delle energie
necessarie a propiziare una azione consapevolmente e radicalmente
rivoluzionaria, rispetto ad un perdurante stato di cose da cui ci si
sente oppressi.
Ci
si sente oppressi collettivamente, e quindi altrettanto
collettivamente ci si dovrà emancipare, non potrò quindi che
menzionare un altro grandissimo rivoluzionario della storia del
Novecento: Ernesto Che Guevara: "Ricordatevi
che ognuno di noi, da solo, non vale niente"
Bene,
siamo arrivati al dunque: per intraprendere davvero un cammino
rivoluzionario, non bisogna scoraggiarsi mai e non agire mai da soli.
Io,
devo dire sinceramente, che solo agli albori del mio impegno, nel
settantasette, non mi sono mai sentito veramente solo, perché allora
si respirava una dimensione collettiva di rabbia, di rivolta e di
volontà di cambiamento, anche senza appartenere a nulla, tanto meno
ad un partito e ad una associazione, forse allora era Lotta Continua
ad avere la fisionomia più vicina e più concreta di un autentico
movimento rivoluzionario. Ma quella Lotta Continua di allora non c'è
più, e francamente non ne vedo una simile nemmeno oggi.
Oggi
esistono le nicchie, i “monasteri” rivoluzionari, come un tempo
c'erano coloro che non potendo più contrastare la barbarie in armi,
cercavano almeno di porvi un argine “spirituale”
Così
anche oggi, muovendosi con attenzione, senza lasciarsi traviare dalla
ricerca di una facile soluzione ad un approdo “mistico”, nel
variegato panorama del “monachesimo spirituale” rivoluzionario
odierno, ho trovato Utopia Rossa.
Utopia
Rossa un tempo era una piccola abbazia rivoluzionaria, forse
paragonabile a quelle cistercensi del Medioevo, ma ora sta diventando
una vera e propria “universitas”, avendo allargato i suoi
orizzonti in vari continenti in cui il “verbo” dell' “isola
che, si badi non è che non c'è, ma non c'è ancora” si sta
propagando rapidamente.
Grazie
soprattutto all'infaticabile e abnegante cammino aperto dal suo abate
priore Massari.
Grande,
anzi, grandissimo nella sua straordinaria e carismatica missione, ma
non meno fustigante quando all'orizzonte può spuntare un movimento
ereticale come quello, ad esempio di Bandiera Rossa, frutto di un
gruppo di “monaci fuoriusciti” ed itineranti, non meno ostinati
nel cammino evangelico, tanto da avere una eco addirittura più vasta
nelle visite del loro “monastero mediatico” di quelle di Utopia
Rossa
I
monaci, si sa, sono dediti alla contemplazione, a volte zappano
l'orto, e per quello non è richiesta una mira infallibile, di cui il
sottoscritto dall'Altissimo ha ricevuto dono beffardo, perché ce
l'ho, ma non so proprio come usarla, a svantaggio di chi e a
vantaggio di cosa, o meglio, un'idea precisa nel merito ce l'avrei
ma, sempre osservando la massima di Guevara, per ora del tutto
inapplicabile.
E
prego sempre che il tempo e l'avanzare dell'età non ne riducano
l'efficienza e l'effetto.
Or
dunque, tali “monasteri” rivoluzionari molto di rado scendono in
processione, almeno per far sentire al volgo la parola altisonante
del Verbo dell'Altissimo Rivoluzionario, per scuotere anche a viva
voce le coscienze addormentate, alla lotta di classe, ovviamente non
dico a quella armata, perché potrei, rebus sic stantibus, incorrere
in blasfemia o bestemmia.
E
allora è già tanto essere ammessi come “novizi” al lungo
tirocinio monacale, ovviamente sempre sorvegliato dall'Abate
superiore, nel caso in cui il monastero si possa degnare di
considerare il cammino del “peccatore” almeno un po'
intenzionalmente confacente a quello dell'ordine supremo.
Più
facile perdurare come “eretici” magari tollerati, ed esortati
continuamente alla penitenza, piuttosto che sperare nella grazia
suprema del vestimento talare.
Ma noi
sappiano, nonostante ciò, che la Grazia dell'Altissimo (Sempre sia
Rivoluzionario) è comunque sovrabbondante, che anche un povero e
ostinato nonché brutto anatroccolo, un bel giorno avrà il suo
canto, il suo assolo finale, magari anche solo sognando, e non
essendo quel cigno che avrebbe ambito sempre di essere.
Il
panorama rivoluzionario italiano è desolatamente mistico e
altrettanto disorganicamente carismatico, e ciò vuol dire, in poche
parole, che il cammino va intrapreso solo seguendo fedelmente quello
degli abati priori, mettendosi, in itinere, in fila dietro di loro e
sotto le loro ali, a covare le loro uova. Che, si badi, non si aprono
nemmeno a Pasqua.
Inutile
menzionare i nomi di tutti gli “abati” in Italia, talmente sono
numerosi e vari, e purtroppo anche piuttosto bellicosi gli uni contro
gli altri, quando dovrebbero esserlo invece insieme e contro lo
stesso nemico.
Sarà
forse per questo che una vera rivoluzione qui non c'è mai stata, e
chissà mai se ci sarà.
Anche
qui ci viene in aiuto Rosselli quando dice: “né
l'ulcera al duodeno, né i carabinieri del re, e neppure l'intervento
straniero, risparmieranno alle masse popolari italiane, nel loro
insieme, l'ardua, lunga e spossante fatica di conquistarsi la loro
libertà e di conquistarsela da sole; di conquistarsela conquistando
il socialismo”
Inutile
quindi farsi venire anche solo le coliche da infervoramento mistico.
Senza
quelle masse, senza provare a starci dentro almeno nelle occasioni in
cui si affacciano nelle strade e nelle piazze, ogni prece sarà vana,
ogni monaco o abate che sia, è destinato a perdurare nelle sue
asfittiche giaculatorie.
Chi
dunque dentro quelle strade, quelle piazze e quelle masse, quei
luoghi in cui si sciopera, si occupa e si prendono anche delle sonore
manganellate, c'è stato sempre e senza soluzione di continuità,
magari più con la veste del giullare che con quella del monaco,
forse avrà peccato, anzi sicuramente ha peccato, ma di sicuro non è
mai stato solo. E se la salvezza è sempre il frutto maturo della
condivisione, non dovrà certo disperare. Mai.
Ovviamente..
fino alla vittoria, sempre !
Carlo
Felici
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