di Leonardo Boff
È sempre rischioso scegliere un teologo per fare il
Papa. Lui potrebbe trasformare la sua teologia personale in teologia universale
della chiesa e imporla a tutto il mondo. Sospetto che questo sia il caso di
Benedetto XVI, prima come Cardinale, nominato Prefetto della Congregazione della
Dottrina della Fede (ex-l'inquisizione) e infine Papa. Un simile procedimento
non è legittimo e si trasforma in fonte di condanne ingiuste. Effettivamente ha
condannato più di 100 teologi e teologhe, perché
non si inquadravano nella sua lettura teologica della Chiesa e del mondo. Tra le
ragioni della sua rinunzia, il Papa allega «diminuzione di vigore del corpo e
dello spirito» della “sua incapacità" di affrontare le questioni che rendevano
difficile l'esercizio della Sua missione.
Dietro a questa formulazione, penso che si occulti il
motivo più profondo della sua rinuncia: la percezione del collasso della sua
teologia e il fallimento del modello di Chiesa che voleva implementare. Una
monarchia assoluta non è così assoluta al punto di fiaccare l'inerzia delle
invecchiate strutture curiali. Le tesi della sua teologia sono sempre state
problematiche per la comunità teologica. Tre di queste hanno finito per essere
rifiutate dai fatti: il concetto di Chiesa come «piccolo mondo riconciliato»; la
città degli uomini acquista valore unicamente passando attraverso la mediazione
della città di Dio; e il famoso “subsistit” che significa: solo nella Chiesa
cattolica sussiste la vera Chiesa di Cristo; tutte le altre “chiese” non possono
essere designate chiese. Questa comprensione angusta di una intelligenza acuta
ma ostaggio di se stessa, non aveva forza intrinseca e adesione
sufficienti per essere implementata. Benedetto XVI avrebbe riconosciuto il
collasso e coerentemente rinunciato? Ci sono ragioni per questa ipotesi.
Il Papa emerito ha avuto Sant’Agostino come maestro e
ispiratore. Di Agostino ha assunto la prospettiva di base, cominciando con la
sua peregrina teoria del peccato originale (si trasmette
attraverso l’atto sessuale della generazione). Questo fa sì che tutta l’umanità
sia una “massa dannata”. Ma dentro di essa, Dio, attraverso
Cristo, ha instaurato una cellula salvatrice, rappresentata dalla chiesa. Essa è
“un piccolo mondo riconciliato” in rappresentanza (Vertretung) del resto
del’umanità perduta. Non è necessario che abbia molti membri.
Bastano pochi, purché siano puri e santi. Ratzinger la completava con la
seguente riflessione: la chiesa fu costituita da Cristo e dagli apostoli. Perciò
è apostolica. Fa poco caso dei discepoli, delle donne e delle masse che
seguivano Gesù. Per lui non contano. Sono raggiunte dalla rappresentanza
(Vertretung) che il piccolo mondo riconciliato assume.
Questo modello cristologico non
spiega il vasto mondo globalizzato. Volle pertanto fare dell’Europa “il mondo
riconciliato” per riconquistare l’umanità. Ha fallito perché il progetto non è
stato assunto da nessuno e anzi è stato messo in ridicolo. La seconda tesi presa
pure da Sant’Agostino, è la sua lettura della storia: il confronto tra città di
Dio e città degli uomini. Nella città di Dio c’è la grazia e la salvezza: essa è
l’unico pedaggio che dà accesso alla salvezza. La città degli uomini è costruita
dallo sforzo umano. Ma siccome già contaminato, tutto il suo umanesimo e i
rimanenti valori, non riescono a salvare perché non sono passati attraverso la
mediazione della città di Dio (Chiesa). Di conseguenza il cardinale Ratzinger
condanna duramente la teologia della liberazione perché questa cerca la
liberazione attraverso i poveri stessi diventati soggetto autonomo della loro
storia. Ma siccome non si articola con la città di Dio e la sua cellula, la
Chiesa, è insufficiente e vana.
La terza è
una interpretazione personale che dà del concilio Vaticano II quando parla della
Chiesa di Cristo. La prima elaborazione conciliare diceva che la Chiesa
cattolica è la Chiesa di Cristo. Le discussioni, che tenevano conto
dell’ecumenismo, sostituirono la copula ‘è’ con ‘sussiste’ per permettere che
pure altre chiese cristiane, a modo loro, realizzassero la Chiesa di Cristo.
Questa interpretazione sostenuta nella mia tesi dottorale meritò una esplicita
condanna del cardinale Ratzinger nel suo famoso documento Dominus Jesus
(2000). Afferma che “sussiste” deriva da “sussistenza” che può essere una sola e
questo è quanto avviene nella Chiesa cattolica. Le altre “chiese” possiedono
“soltanto” elementi ecclesiali. Sia io che altri noti teologi
abbiamo mostrato che questo senso non esiste in latino. Il senso è sempre
concreto: “prendere consistenza”, “realizzarsi oggettivamente”. Questo era il
“senso dei padri”, il senso dei padri conciliari. Queste tre tesi centrali sono
state rifiutate dai fatti: dentro al “piccolo mondo riconciliato” ci sono troppi
pedofili perfino tra cardinali e ladri di denaro della Banca vaticana.
La seconda,
che la città degli uomini non ha densità salvatrice davanti a Dio, fatica
nell’equivoco di restringere l’azione della città di Dio esclusivamente al campo
della Chiesa. La città degli uomini è attraversata dalla città di Dio, non sotto
la forma della coscienza religiosa ma sotto la forma di etica e di valori
umanitari. Il concilio Vaticano II ha garantito l’autonomia delle realizzazioni
terrestri che hanno valore indipendentemente dalla Chiesa. Contano per Dio. La
città di Dio (la Chiesa) si realizza attraverso la fede esplicita, con la
celebrazione e attraverso i sacramenti. La città degli uomini attraverso l’etica
e la politica.
La terza,
per cui sarebbe soltanto la Chiesa cattolica l’unica esclusiva Chiesa di Cristo
e ancor più, che fuori di lei non c’è salvezza, tesi medievale risuscitata dal
cardinale Ratzinger, fu semplicemente ignorata come offensiva alle rimanenti
chiese. Invece che “fuori la Chiesa non c’è salvezza” si introdusse il discorso
del Papa e dei teologi “l’universale offerta di salvezza a tutti gli esseri
umani e al mondo”.
Nutro il
serio sospetto che, tale fallimento e collasso il suo edificio teologico gli
abbia tolto “il necessario vigore del corpo e dello spirito” al punto, come
confessa, di “sentire incapacità” di esercitare il suo ministero. Prigioniero
della sua stessa teologia, non gli è rimasta alternativa se non quella onesta di
rinunciare.
Traduzione: Romano Baraglia
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