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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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lunedì 11 marzo 2013

INTERVISTA A IGOR PRIBAC a cura di Norberto Fragiacomo





IGOR PRIBAC: “LE ISTANZE DEGLI INSORTI SLOVENI SOMIGLIANO A QUELLE DEL MOVIMENTO DI GRILLO”
Nostra intervista al noto intellettuale sloveno che, venerdì 22 marzo, sarà a Trieste per spiegare alla cittadinanza cosa sta succedendo nella vicina Repubblica (la conferenza si terrà nella sala al pianterreno della Scuola interpreti e traduttori di via Filzi 14, a partire dalle ore 16:30)
di
Norberto Fragiacomo


Igor Pribac, nato a Koper/Capodistria nel ’58, si è laureato in filosofia e sociologia all’Università di Lubiana, dove attualmente insegna. Apprezzato studioso di Hobbes e Spinoza, ha pubblicato numerosi saggi, interessandosi, tra l’altro, ai temi del diritto naturale e del ruolo della televisione nel mondo contemporaneo; si è segnalato anche come traduttore di testi filosofici dall’italiano e dall’inglese. In Slovenia (ma pure all’estero) il professor Pribac è ben conosciuto, oltre che per l’attività scientifica, per l’impegno civile e politico; progressista convinto, ha sostenuto la sfortunata candidatura di Danilo Türk, Capo di Stato uscente, alle elezioni presidenziali dell’autunno 2012.
Fin qui la scheda biografica, ridotta veramente all’osso; merita aggiungere che Igor Pribac è persona disponibile e alla mano, che si esprime in un italiano perfetto. Malgrado l’uso, nell’intervista, del “Lei” di prammatica, nelle nostre conversazioni siamo presto passati al “tu”, su sua proposta. A Trieste è di casa, così come nel natio litorale (i genitori vivono a Koper) - particolare curioso: sembra che apprezzi molto la verdura in vendita nei nostri negozi, “migliore di quella che si trova a Lubiana”.
Di seguito l’intervista, un gustoso antipasto di quello che il professor Pribac ci dirà venerdì 22 marzo, quando sarà ospite del Comitato No Debito di Trieste nella sala della Scuola interpreti e traduttori di via Filzi 14, l’ex Narodni dom progettato da Max Fabiani.
Inutile aggiungere che tutta la cittadinanza è invitata ad assistere attivamente alla conferenza, che verterà sulla difficile situazione politico-economica slovena e le proteste in atto da mesi.
D: Professor Pribac, cominciamo quest’intervista, se non le spiace, dalle più recenti vicende italiane che Lei, in qualità di commentatore politico, immagino avrà seguito con interesse. Come valuta il risultato delle elezioni parlamentari e, in particolare, la clamorosa affermazione del movimento di Grillo, primo partito alla Camera dei deputati? Referendum sull’euro, rinegoziazione del Fiscal compact e dei trattati UE, ristrutturazione del debito pubblicoitaliano e concessione di un reddito minimo di cittadinanza: qual è il suo giudizio sulle proposte del MoVimento 5 Stelle?
R: Il successo del movimento di Grillo ha stupito un po' tutti. Dato che la coalizione di Bersani non è andata poi tanto male, sembra che i voti per il MoVimento 5 Stelle siano arrivati un po' da tutto l'arco politico. Direi che il suo progetto base è scardinare l'elite politica italiana. Lo conferma con il suo atteggiamento dopo le elezioni rifiutando di stringere un accordo con Bersani. Se il movimento riuscirà a non svendere la sua innocenza politica, provocare altre elezioni anticipate nel futuro prossimo e non essere percepito come responsabile dell'ingovernabilità dell'Italia, potrebbe riuscire in pieno nel suo intento e pensionare politicamente un’intera generazione politica.

D: L’Italia naviga in pessime acque, ma a leggere i giornali non pare che la Slovenia stia meglio: un articolo pubblicato una settimana fa, sulla rivista L’Espresso, descriveva un Paese a rischio Grecia. Al di là del “terrorismo” dei media, cui siamo da tempo abituati, la situazione appare piuttosto seria: mercoledì scorso il premier Janša, di centrodestra, è stato sfiduciato dopo appena un anno di governo, e al suo posto si è insediato un esecutivo di centrosinistra guidato da Alenka Bratušek, una donna poco più che quarantenne. Si tratta di un segnale importante e di una buona notizia, ma il problema resta l’instabilità. Quanto è grave la crisi economica e politica in cui versa la Slovenia, e quali conseguenze ha sulla vita quotidiana dei cittadini?
R: Sì, anche la Slovenia sta traballando. Il sistema bancario è in tilt e molte ditte non riescono ad ottenere i finanziamenti di cui avrebbero bisogno. L'intero settore dell'edilizia è andato in rovina. Il debito pubblico non è alto, c'é però instabilità politica e una diffusa perdita di fiducia nel ceto politico che desta preoccupazione e proteste. E' proprio questa incapacità dei politici ad inspirare fiducia nel loro operato che sembra il problema più grave. Ciascuno degli ultimi due governi è durato la metà del governo precedente. Ed anche il governo che si appresta a prendere le redini in mano si prefigge di andare in parlamento a chiedere la fiducia a fine anno, il che potrebbe significare che non si sottrarrà alla «legge» enunciata poc'anzi. Sempre più spesso si sentono voci autorevoli che osservano parallelismi tra Slovenia ed Italia.

D: Professor Pribac, è noto che Lei ha dato un suo contributo alla campagna elettorale dell’ex Presidente della Repubblica Danilo Türk che, a sorpresa, nell’autunno scorso non è stato riconfermato in carica, malgrado fosse considerato favorito. Ha vinto invece Borut Pahor, anche lui proveniente dalle file della sinistra (moderata). Stupisce che in un Paese governato dal centro-destra arrivino al ballottaggio due candidati progressisti: in che cosa principalmente si differenziano i due esponenti politici, e quali forze li sostenevano? Risulta che l’affluenza sia stata bassissima, intorno al 40%, una percentuale che, in Italia, avrebbe dell’incredibile: come se lo spiega?
R: Vero. Per via di un cedimento di salute che l'ha colto di sorpresa il dott. Gaber, ex ministro dell'educazione in più legislature, capo prescelto dell'ufficio elettorale del dott. Türk, non ha potuto svolgere il suo ruolo, e così ho avuto un ruolo di un certo rilievo. All'inizio, secondo i pronostici, sembrava una campagna che non potevamo perdere, invece siamo riusciti nell'impresa, e per di più in maniera molto netta. Come mai? Cercherò di spiegarlo più a fondo a viva voce. Decisivo è stato il fatto che mentre le preferenze dell'elettorato di sinistra si sono state ripartite in maniera più o meno equa fra i due candidati in ballottaggio, il popolo del centrodestra ha appoggiato in maniera massiccia l'attuale presidente.  

D: Più che l’elezione del nuovo Presidente, comunque, la notizia dell’autunno sloveno è stata la comparsa del movimento di protesta denominato, da un suo slogan, “Gotof je” (=è finita): decine di manifestazioni si sono svolte a Maribor, Lubiana e persino in piccoli centri come Ajdovščina. Le proteste, ancora in corso, sembrano dirette principalmente contro la classe politica (i sindaci delle principali città, lo stesso Janša). Ci sono analogie con il movimento di Beppe Grillo o con gli Indignados spagnoli, visto che, a quanto leggiamo, il movimento non è di sinistra né di destra? C’entra qualcosa il discusso gruppo serbo Otpor, coinvolto nell’organizzazione delle c.d. Rivoluzioni colorate? C’è, infine, continuità tra i fenomeni “Occupy” del 2011 e “Gotof je”? Sul quotidiano locale leggiamo di poliziotti e militari che scendono in piazza: può anticiparci la Sua interpretazione di quello che sta succedendo?
R: Sono d'accordo che l'insorgere del movimento di protesta è il fatto politico di maggior rilevanza degli ultimi mesi in Slovenia. Le radici sono un po’ le stesse di quelle degli Indignados. Il movimento di Beppe Grillo è forse ancora più vicino all'impostazione degli autoproclamati Insorti. Anche il loro messaggio base è indirizzato ai politici corrotti, qualunquisti ed incompetenti che secondo loro dovrebbero andarsene. Nelle viscere giovanili dei movimentisti si parla molto di democrazia diretta e di socialismo democratico. Moltissimi davanti ai televisori li appoggiano moralmente, d'altro canto non è chiaro se questi contestatori andranno a votare. Sembra però che siano decisi ad assumere la forma di un soggetto politico. Vedremo che aria tirerà a Lubiana sabato, data per la quale è stata indetta la quarta manifestazione di protesta. Sarà la prima dopo la caduta del governo di Janez Janša e si vedrà quanta voglia di insistere a protestare anche contro il governo di centro sinistra guidato da una persona che non ha un passato politico di rilievo ci sarà.

D: Veniamo alla questione dell’Europa, che riguarda noi tutti – italiani e sloveni. Mi pare di ricordare che, quando i cittadini sloveni bocciarono con un referendum la dura riforma delle pensioni, il Presidente dell’Eurogruppo Juncker “ordinò”, di fatto, al governo di andare avanti con le riforme, malgrado l’opposizione della cittadinanza. Come ha reagito la popolazione a questo autentico diktat della UE (simile a quello sulla privatizzazione dell’acqua) e, soprattutto, è compatibile con la democrazia, secondo Lei, un simile atteggiamento da parte di istituzioni prive di legittimazione popolare?
R: Non ricordo la reazione di Juncker alla bocciatura referendaria della riforma. Però quello di Juncker non è un potere forte. Anzi. E poi la riforma varata, a sentire gli economisti specializzati, bastava per rendere il sistema sostenibile per altri dieci anni, il che è poca cosa. Aver bocciato quella riforma è stato per la Slovenia una grande perdita di stabilità interna e nei confronti del circuito bancario internazionale. A ragion veduta molti che al referendum votarono contro adesso se ne pentono. Se vogliamo parlare di diktat impropri, metterei al primo posto il programma di austerity ad oltranza voluto dalla Germania, che sta bloccando il ciclo economico seminando disaffezione e torpore.
D: In una conferenza, tenuta nel 2011, Lei rilevava che la metafora “siamo sulla stessa barca”, comune a varie lingue europee, sta sparendo dal linguaggio parlato. Se non mi sbaglio, Lei collegava la sparizione del modo di dire al declino dello Stato nazionale (=la barca) e all’aumento del divario tra ricchi e poveri, che recidono i legami sociali e di gruppo: nell’era della globalizzazione non c’è spazio per la solidarietà, i forti si salvano, i deboli annegano. Se guardiamo alla Grecia, alla Spagna… all’Europa intera, vediamo che questo sta già avvenendo. E’ possibile trasformare l’Europa delle lobby e dei tecnocrati in un’organizzazione effettivamente democratica, prima che la crisi travolga tutto e la miseria produca odio e conflitti tra i popoli come negli anni ’30 del ventesimo secolo? In sostanza, cosa dovremmo fare noi europei, per evitare il peggio?
R: Allora mi riferivo al famoso passo della Repubblica di Platone dove la barca è usata come simbolo della comunanza dei destini che si suppone unisca i cittadini di uno stato. Sviluppai il tema dicendo che questa comunanza si sta perdendo, perche l'abbiente può permettersi delle mosse che non sono consentite alla maggior parte della gente. Questa situazione dovrebbe rafforzare la solidarietà internazionale dei discriminati e nella fattispecie l'appartenenza all'identità europea. Invece ciò non avviene. Tira aria di riavvolgimento nel manto della nazione, che si mostra assolutamente inadeguata per mettere su delle politiche sociali forti e sostenibili. C'e bisogno di europeismo e di completare la costruzione costituzionale e politica dell’Unione Europea.

D: Ancora una domanda, professor Pribac: che tipo di società si augura per il futuro? in pratica: è ragionevole ipotizzare (oltre che auspicare) il superamento del modo di produzione capitalista?
R: Darò una risposta di sfida: superare il modo di produzione capitalista significa imporre la comune proprietà dei mezzi di produzione. Mi domando come questo sia possibile oggi, dato che per esempio un personal computer può essere un mezzo di produzione di tutto rispetto. Vogliamo bandirne la proprietà privata dei mezzi di comunicazione personali?

Par di capire, da quest’ultima risposta, che il prof. Pribac non veda alternative praticabili al sistema capitalista, ma ne auspichi la democratizzazione nell'ambito di un'entità politica di dimensione perlomeno europea. Avrò inteso bene? Lo saprò – anzi, lo sapremo – tra un paio di settimane.




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