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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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giovedì 28 luglio 2011

La resa dei conti, di Riccardo Achilli


La questione del limite legale al debito pubblico federale USA è in parte una falsa questione, un tecnicismo che sicuramente fra poche ore, o giorni, verrà superato, con un accordo democratici-repubblicani per l'innalzamento del tetto all'indebitamento e un piano, del valore di circa 3.000 miliardi, di minori spese (molte) e maggiori entrate (pochissime, nell’ultima versione presentata da Reid, capo dei demcoratici in Senato, praticamente quasi nessuna) assolutamente inadeguato anche solo a contenere il problema del crescente dissesto dei conti pubblici USA, buono solo per tenere buoni i piccoli risparmiatori sui mercati finanziari. Basti pensare che fra 2010 e 2011 il debito federale è cresciuto di quasi 2.000 miliardi! Le elezioni presidenziali del 2012 rendono assolutamente impensabile il varo di una manovra finanziaria più robusta, che sarebbe indispensabile per evitare il crollo.
Ma dietro la soluzione del tecnicismo sul tetto del debito, che ovviamente verrà venduta dalla stampa e dagli economisti borghesi come epocale riforma del welfare, il probema rimarrà intatto. Il debito pubblico federale, secondo stime diverse da quelle del Governo, che includono il settore pubblico allargato, raggiunge il 140% del PIL (è quindi ampiamente superiore anche al rapporto debito/PIL italiano). Cui va aggiunto il dissesto delle amministrazioni locali: 42 Stati su 50 avranno, nel 2012, un deficit di almeno 103 miliardi. Il Minnesota ha chiuso il Governo per 3 settimane in questo mese, per non aver trovato l'accordo sul budget; 16 città sono già in default, e sottoposte alle procdure di tutela dei creditori previste dal Chapter 9. Di fatto già adesso l'enorme peso del debito pubblico impedisce all'economia reale statunitense di consolidare una ripresa produttiva ed occupazionale: il credito bancario, ancora alle prese con gli strascichi della crisi del settore immobiliare, oltre che a causa delle incertezze sul debito federale (che in gran parte è detenuto dalle banche USA, sotto forma di Treasury bonds) non cresce a sufficienza; le imprese, di conseguenza, non investono. l'occupazione cresce troppo lentamente, e quel poco che si crea è di scarsa qualità: a giugno, il tasso di disoccupazione è cresciuto di nuovo di 0,1 punti su base mensile, e solo 18.000 posti di lavoro nel comparto extragricolo (contro gli 80.000 previsti) sono stati creati. I tassi di interesse ed il dollaro sono a livelli troppo bassi per poter scendere ulteriormente, quindi non vi è più alcuna possibilità di stimolare il rilancio dell'economia tramite la politica monetaria o quella valutaria, oramai impotenti (anche perché l'inflazione sta crescendo rapidamente, nonostante l'assenza di qualsiasi significativa ripresa produttiva e lo stato catatonico della domanda: in un anno, fra giugno 2010 e giugno 2011 è passata dall'1,1% al 3,6%).
L'accordo bipartisan sull'innalzamento del tetto del debito non potrà che ritardare di qualche mese l'ineluttabile: gli USA sono in default. I credit default swaps per il debito federale USA, strumenti derivati per coprirsi dal rischio di default sovrano, sono quotati a livelli simili a quelli della disastrata Indonesia. La domanda aggregata è stagnante, e l'enorme voragine del debito federale la farà ineluttabilmente diminuire nei prossimi mesi, trascinandosi dietro la miserrima ripresa produttiva sin qui registratasi. Il debito, che è endogeno alla crescita, non potrà che aumentare ulteriormente, quindi l'abbassamento del rating sovrano degli USA è ineluttabile. Ciò comporterà l'esplosione di una fase di panico sui mercati finanziari globali. I creditori stranieri degli USA,che detengono il 32% del debito pubblico americano, Cina in primis, che detiene da sola 1.100 miliardi di Treasury bonds, cheideranno di rientrare dalla loro esposizione, il che porterebbe il Governo USA al fallimento, oppure negozieranno condizioni politiche ed economiche severissime, in cambio di una rinuncia a tale pretesa, di fatto segnando la fine dell'egemonia politica ed economica degli USA sul mondo, aprendo quindi una fase di instabilità degli assetti geo-politici di dimensioni imprevedibili. I tassi di interesse saliranno in tutto il mondo, strangolando la ripresa dell'economia globale. Una ondata di vendite di titoli denominati in dollari trascinerà di nuovo verso il basso i mercati finanziari, provocando fallimenti a catena di banche, investitori finanziari, semplici risparmiatori, ed imprese industriali quotate, che non potranno più rifinanziarsi sul mercato borsistico. Una nuova recessione appare inevitabile, da qui ad un anno o due al massimo (ma forse anche prima). La macchina del capitalismo globale è rotta e non può essere riparata.
Quali sono gli esiti possibili di una simile situazione? Difficile dirlo, ma alcune tendenze già si intravedono, e peraltro sono coerenti con la storia stessa del capitalismo. Il fallimento della "nuova socialdemocrazia" incarnata da Obama porterà probabilmente ad una estremizzazione neo-liberista, con uno smantellamento, su scala globale, delle tutele dei lavoratori residue, ed una ritirata dello Stato dall'economia e dal welfare di dimensioni epocali. Ma naturalmente ciò non farà altro che peggiorare la situazione economica, ed esasperare la deriva dell'antagonismo sociale, di fronte all'inevitabile rapidissimo incremento delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito. Se la storia ci insegna qualcosa, la risposta a tale deriva sarà una svolta autoritaria, con esperimenti di neo-fascismo. L'esplosione di una miriade di micro-conflitti locali si accelererà, come risposta al vuoto di potere nello scacchiere geo-politico derivante dal declino economico, e quindi politico-militare, degli USA. E' arrivato un drammatico momento di svolta della storia: niente sarà più come prima e tempi di cataclisma si annunciano. Il linguaggio da armageddon è sicuramete da evitare in generale, ma molto sangue scorrerà e molta povertà si creerà nelle contorsioni di un capitalismo non più all'altezza delle sue contraddizioni. Le preghiere non basteranno. Nemmeno i buoni propositi o i richiami alla purezza degli ideali. Occorre che chi si richiama agli ideali del comunismo trovi la strada di una riunificazione e di una proposta internazionalista a difesa del proletariato globale.

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