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i Quaderni di Bandiera Rossa "La Storia è finita" di Norberto Fragiacomo
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domenica 21 aprile 2013

CUPIO DISSOLVI di Riccardo Achilli





CUPIO DISSOLVI
di Riccardo Achilli



Oramai la vicenda delle elezioni per il Quirinale è finita nel peggiore modo possibile: con un ulteriore, strappo, denso di conseguenze potenzialmente nefaste, i partiti, oramai ridotti ai minimi termini, incapaci di riflettere le istanze della società, incapaci anche solo di trovare un accordo politicistico esogeno alla società da cui sono oramai alieni, chiedono a Napolitano l’ultima scialuppa di salvataggio prima della fine: un secondo, inedito mandato, condito da un Governo scelto, dal primo all’ultimo esponente, programma politico compreso, da Napolitano stesso, anche se con la foglia di fico di un passaggio partitico/parlamentare per salvare le apparenze. Il tutto per sopravvivere un annetto, due, allontanare in qualche modo lo spettro di nuove elezioni, che sarebbero, almeno per il PD, principale responsabile di questa farsa, la definitiva campana a morto. Ma che pagherebbero carissimo anche il PDL e la Lega, corresponsabili del disastro, incapaci di concordare un Governo o un nominativo di Presidente della Repubblica capace di andare oltre i problemucci personali di Berlusconi, usati come merce di scambio impropria nel negoziato politico.

E’ a ben vedere l’ultimo fortino rimasto a disposizione dei partiti, che, incapaci di leggere la società, si sono ridotti a tentare di “difendersi” da essa. Fortino peraltro inutile. La resa dei conti arriverà comunque, solo un po’ ritardata. Questa disperata, inutile difesa della peggiore classe politica che questo Paese abbia avuto dai tempi di Nerone, viene pagata al prezzo di una enorme distorsione dei principi fondanti della nostra Repubblica parlamentare, introducendo un presidenzialismo “de facto”. Affidandosi peraltro ad un Presidente che  accetta il secondo incarico contro la sua stessa volontà, e che, con il suo Governo basato sulle proposte dei saggi, non potrà che riproporre la ricetta neoliberista e merkelliana che ha messo in ginocchio il Paese. Perché è evidente che le proposte più innovative comunque presenti nel per altri versi banale documento dei 10 saggi (che sarà incorporato nel programma politico del Governo presidenziale) saranno impallinate dai veti del PDL o da quelli del M5S, essendosi liquefatto il partito che avrebbe dovuto costituire l’architrave della legislatura, ovvero il PD.

Le responsabilità sono di tutti.
Certamente il PD porta la colpa principale. E’ arrivato al pettine il duplice nodo di un partito nato su una analisi sociale sbagliata e su una analisi organizzativa inesistente. L’analisi sociale sbagliata parte dal presupposto di una società che ha superato il conflitto di classe, in cui il conflitto sociale è semplicemente una questione di rivendicazioni di singoli gruppi di interesse, anche interclassisti, e che non mettono in discussione il paradigma liberale dominante dopo la caduta del Muro di Berlino, per cui è sufficiente un “arbitro” che componga queste rivendicazioni in un equilibrio relativamente stabile, nel quale, come negli equilibri Pareto-efficienti, si generino le risorse atte a compensare le componenti sociali che perdono nel gioco di raggiungimento di un equilibrio di first best. Analisi organizzativa inesistente, perché un partito concepito per costruire egemonia politica sulla base dell’idea togliattiana di fusione fra le principali culture politiche popolari, non ha mai previsto al suo interno i meccanismi organizzativi atti a superare tali culture, fondendole in una soluzione nuova ed originale. Poiché tali meccanismi avrebbero dovuto transitare per una maggiore apertura alla società ed una maggiore democrazia interna, quel partito è rimasto congelato in un gioco di componenti di apparatchik,  riproducendo le stesse correnti e le stesse strutture direttive, e finanche lo stesso personale dirigenziale, che esistevano nei partiti preesistenti (Ds e Margherita). Il cammino verso l’autoreferenzialità delle classi dirigenti e l’incapacità di rimettersi in gioco nell’interesse del Paese era quindi segnato fin dall’inizio. Era evidente che un partito senza una corretta analisi sociale e privo di meccanismi organizzativi di rinnovamento, se poteva sopravvivere alla meno peggio (e comunque mostrando continuamente segni di cedimento e caos interno)rimanendo all’opposizione, con l’effimero cemento dell’antiberlusconismo, dovesse poi distruggersi alla prima prova seria, ovvero alla prima prova di governo, in una fase sociale di profonda crisi, polarizzazione e lacerazione dei legami di comunità come quella attuale, dopo aver volutamente evitato il ricorso ad elezioni anticipate nel 2011, che lo avrebbe consegnato quasi sicuramente ad una responsabilità di governo che gli sarebbe stata fatale già allora.

Ma la responsabilità è anche del centrodestra, semplicemente incapace di fare politica sul serio, concentrato com’è sulle problematiche personali del suo padrone, attorniato da una schiera di autentiche nullità politiche, che vivono esclusivamente del rapporto semi-feudale che intrattengono con il loro Signore di Arcore, in cui le componenti che portavano ancora una sia pur deleteria identità politica, come gli ex-An o la Lega, e prima di loro i pochi veri liberali italiani che hanno commesso l’errore di non ascoltare i moniti di  Montanelli, hanno visto questa identità sbriciolarsi e scomparire, sotto i colpi dell’esigenza di essere candidati in una lista elettorale che, grazie al Porcellum, veniva decisa personalmente dal Signore/Padrone, o, come nel caso della Lega, sotto i colpi di scandali giudiziari che ne hanno messo a nudo la degenerazioni partitocratica e romanocentrica. L’ultima perla di un ventennio di vuoto pneumatico riempito solo con demagogia da show televisivo e federalismi da operetta è stato il rifiuto di votare per Prodi, un uomo che, quando è stato al Governo, ha fatto esattamente le stesse politiche privatizzatrici, di finanziarizzazione dell’economia e di precarizzazione del mercato del lavoro fatte da Berlusconi, o fatte da Monti con l’appoggio di Berlusconi. Un rifiuto che nasce soltanto da ostilità personale del Grande Capo, quindi da un elemento personalistico di un individuo, che niente ha a che vedere con i problemi concreti di milioni di italiani, o quantomeno con una valutazione autenticamente politica della candidatura stessa.
E la responsabilità è anche di Grillo, che ha giocato tutta questa partita con l’unico obiettivo di mettere a nudo le debolezze dei partiti, per poi distruggerli, fottendosene completamente, come suo costume caratteriale, del fatto che il legame fra partiti e cosa pubblica (quello che Barca chiama “catoblepismo”) è talmente forte, che distruggendo i primi inevitabilmente si assestano colpi mortali anche alla seconda. Una sorta di furordestruens, che ha esaltato, traendone nutrimento, le peggiori tendenze antipolitiche ed anticomunitarie degli italiani, la loro tendenza alla sovversione individualistica ed incosciente di cui parlava Gramsci. Un furordestruens privo di qualsiasi pars costruens, perché con l’esito finale cui andiamo incontro, il programmino di quinta elementare stilato da Casaleggio non sarà mai attuato, e non è accettabile che per attuarlo occorra attendere una sorta di bagno di sangue purificatore, in cui si distrugga tutto, incuranti delle gigantesche sofferenze che i più deboli riceveranno da questa distruzione totale, per poi ricostruire su basi che la propria fede presume migliori di quelle precedenti, se non perfette. Questa sorta di messianesimo crudele e spietato, che troviamo nel video introduttivo del sito Internet della Casaleggio (in cui si preconizza la morte di miliardi di persone prima di avere un mondo migliore)e che in fondo ricorda il messianesimo di un autentico assassino come Robespierre, appare in modo trasparente in tutti gli atti compiuti sinora, dal rifiuto di accettare un Governo basato esattamente sugli stessi punti programmatici del MoVimento, all’idea di bruciare la candidatura al Quirinale di una persona perbene come Rodotà, sbandierandolo in pubblico senza aver prima cercato di tessere riservatamente la tela della alleanze sul suo nome, e soprattutto legandolo ad una ipotesi successiva di collaborazione di Governo, in modo da suscitare l'allarme in tutte quelle componenti del PD che guardavano alle larghe intese (dai dalemiani passando per Renzi ed i centristi) al fine di impedire a Bersani di convergere su di lui, e poi accusarlo di non averlo voluto fare, anche se era cristallino che un Rodotà “adottato” dal PD sarebbe stato impallinato come minimo dal 30-40% dei suoi grandi elettori. I sostenitori di Grillo potranno pensarla come vogliono, ma in politica contano i fatti: i fatti sono che il comportamento infantile ed incapace di un compromesso costruttivo tenuto dal M5S ha portato all’esito attuale, alla prorogatio del Governo Monti, ad un nuovo incarico di Napolitano, ad un Governo del Presidente legato agli interessi finanziari globali. E francamente mi stupisce molto Rodotà che quasi ingenuamente dice “ma perché quelli del PD non mi cercano?” E’ così difficile da capire, che se sei presentato come il candidato “anti-partitico, i partiti che cercano di sopravvivere ti isolano come un appestato? Possibile che non ci fosse un approccio più morbido alla presentazione della candidature di Rodotà, che lo rendesse più “digeribile” e facilmente accettabile anche da parte della classe dirigente dei partiti, anziché presentarlo, da parte di Grillo ma anche di molti suoi sostenitori della sinistra, come una sorta di Nemesi della Giustizia sugli Empi?

Inutile allora alzare pianti ed alti lai nei confronti di ciò che è successo. E’ successo ciò che inevitabilmente doveva succedere, in un contesto di liquefazione della democrazia che non può essere nemmeno chiamato weimarizzazione, perché perlomeno a Weimar i primi ministri ed i presidenti riuscivano a nominarli. E anche le conseguenze saranno inevitabili, molto dolorose. Ma ce le siamo cercate. PD, PDL e M5S, i responsabili della crisi politica attuale, sono stati scelti dal 72% di chi ha votato. E chi non ha votato ha torto per definizione. Ed è inutile prendersela con Napolitano, in questo caso. Se i partiti non sono in grado di trovare una soluzione presidenziale alternativa, se non sono in grado di governare il Paese, trasformando il Parlamento in un teatrino di marionette, quale altre strada sarebbe stata percorribile? Chiedere a D’Alema, Fioroni e Marini di sostenere un candidato come Rodotà, migliaia di chilometri lontano dai loro interessi e dal loro modo di vedere la politica? Un candidato che, nella loro mentalità di capi-apparato, verrebbe vissuto, al di là delle qualità del personaggio, come una inaccettabile (per loro)  sottomissione alle posizioni di Grillo? Davvero i sostenitori di Rodotà e del M5S hanno una così modesta comprensione della psicologia di massa dei politici di professione italici per non capire che Rodotà, presentato come l’Unto del Popolo Anti-Casta, non sarebbe mai stato votato da costoro?

Come se ne esce? Soltanto ricostruendo dalle macerie un progetto socialista, ripartendo da SEL, se Vendola continuerà a muoversi nel modo esemplare in cui si è mosso sinora in questa vicenda, mettendosi all’opposizione di un Governo del Presidente, in nome di un progetto alternativo, e che faccia da catalizzatore delle componenti di sinistra in uscita dal dissesto del PD e di ciò che rimane nel socialismo italiano, ripartendo dall’associazionismo, dai circoli di base e dai movimenti in grado di esprimere una cultura socialista e democratica, keynesiana in politica economica, vicina a Sen in materia di welfare e politica sociale, ed europeista nel senso alto, e non certo in quello liberista/merkelliano. Solo così, e senza velleità di “grandsrassemblements” a sinistra, che rimettano insieme spezzoni di ex comunismo rifondarolo, o di ambientalismo pecoraroscanieccio, o di sindacalismo radical velleitario, spezzoni sconfitti dalla storia più e più volte, ed imprimendo anche un profondo cambiamento, nel segno di una maggiore democrazia interna e di una maggiore partecipazione dal basso ad un partito, come SEL, invero piuttosto concentrato su un leaderismo talvolta eccessivo, si potrà ricostruire il socialismo in Italia, senza lasciare l’opposizione di sistema a bimbiminkia dai lunghi capelli e dalle idee sconvolgenti ed a riproposizioni liguri di un Robespierre, che come tutti i Robespierre - possono esserne sicuri quelli che adesso cercano di saltare sul carro del vincitore - prima o poi, ed in genere abbastanza rapidamente, finiscono per essere soffocati dal sangue di Danton. Un lavoro paziente, di lunga lena, senza speranze di poltrone o potere immediato, senza accelerazioni elettoralistiche che passerebbero necessariamente per la contaminazione con questo sistema partitocratico marcio, fatto di ascolto della società, di ricostruzione di reti e relazioni andate perse, di riproposizione della nostra cultura politica, oramai spesso dimenticata e persa, confrontandola con le esigenze che provengono dalla società e quindi aggiornandola di conseguenza grazie a questo rapporto dialettico fra tradizione e realtà sociale attuale, di ricostruzione di un rapporto, specie con i giovani, spesso non facile, ma necessario. In cui si evitino verticismi e leaderismi, ma anche una esaltazione quasi religiosa della democrazia dal basso, cercando costantemente il giusto punto di equilibrio fra identità non negoziabile e linea politica da modulare sulle esigenze della società. 



2 commenti:

Renato Costanzo Gatti ha detto...

Caro Riccardo, come puoi immaginare convengo con te. In questo momento di repubblica presidenziale non voluta da Napolitano ma dal fallimento dei partiti, l'unico governo per qualche mese/anno è un governo del presidente non condizionato dai partiti che invece si devono sottomettere, guidato da Rodotà

massimo ha detto...

Si, vabbe', aspettiamo Vendola ... auguri!

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